L’eremita (Seconda parte) (Scena unica – parte settantottesima)


pietra dell


L’eremita
Mi capita di pensare alla fede dei Santi…ed all’aiuto di Dio che è sceso proprio nel momento in cui avrebbe dovuto regnare lo sconforto… a me non è accaduto mai in modo dirompente… non ricordo un episodio eclatante, di quelli che possono cambiare la vita… forse perché non conosco, né ho conosciuto la vera disperazione… ho quasi sempre la netta sensazioni di recitare una commedia… alla fine, chiuso il sipario, io tornerò ad essere me stesso e mi spoglierò dei panni falsamente lacerati.
È stancante e anche un po’ noioso mentire a se stessi, specie quando non si possa farne a meno o comunque lo si creda.
Perdoni la mia ironia, ma mi sento così inautentico e tuttavia non riesco a concepire una condizione diversa. Il bello è che poi mi lamento pure del fatto che gli altri non mi credano… e questo mi accade anche per cose innocue e di poco conto.
È una brutta emozione quella di sentirsi in difetto anche quando non si fa alcunché di male…ogni piccola conquista diventa il frutto di una fatica indicibile che toglie tutte le forze e ed annulla i buoni propositi ed i progetti.

Abelardo
Guarda il fumo che esce dal camino e che lento si dissolve nel cielo… pensi che questo fenomeno si potrebbe in qualche modo impedire? No. Il fumo diventa  inevitabilmente atmosfera e piano piano si rende invisibile. Il destino di ogni cosa è la trasformazione e questo non significa per forza una perdita di identità, ma semplicemente che Dio ci lascia liberi di  sperimentare tutte le dimensioni del creato. Ogni trasformazione tuttavia ha un suo prezzo: nessuna azione dell’uomo è indifferente. Forse è per questo che ti senti inautentico, ma il tuo dolore non lo è. Dio è uno spettatore attento, non sei mai solo sul palcoscenico, ma piuttosto che applaudirti preferisce amarti. Questa è la grande differenza tra la vita e l’Eternità. Ciò che è eterno non può dare un sollievo momentaneo anche se tu ti sentiresti di pretendere una piccola iniezione di fiducia. Sarebbe come chiedere al mare un po’ di sale…ne ha talmente tanto che sembra assurdo che ci sia bisogno del sole, ma se l’acqua non evapora…
Devi lavorare su te stesso incessantemente, fino a non riconoscerti più…sarà quello il momento in cui riconoscerai l’Amore di Dio come l’unico motivo che ti ha portato a recitare, che è in fondo sempre un’apertura del cuore. Scoprirai che la notte od il giorno per il fumo sono indifferenti, che quel che conta è soltanto l’abbraccio del Cielo. Non pentirti di essere vivo, perché Dio non Si pente mai di averti dato la Vita, non potrebbe nemmeno se lo volesse. Ti salverà, stai tranquillo, se saprai dimenticare senza paura ogni colore, anche l’azzurro. Il Cielo non ha che il colore dei tuoi occhi quando sono chiusi nell’abbandono.


Autore: tieniinmanolaluce

Sono attualmente avvocato, mediatore civile e commerciale, formatore di mediatori e mediatore familiare socio Aimef. Per undici anni sono stato docente di letteratura italiana e storia antica al liceo classico. Sono accademico dell'Accademia Internazionale di Arte Moderna. Scrivo da sempre senza privilegiare un genere in particolare. Ho pubblicato diversi libri anche in materie tecniche. Tra quelli letterari ricordo da ultimo: Un giardino perfetto, Poesie 2012-2016, Carta e Penna Editore, novembre 2016. La condizione degli Ebrei dai Cesari ai Savoia, Carta e Penna Editore, aprile 2017 La confessione, Dramma in quattro atti, Carta e Penna Editore, aprile 2017 Ho iniziato questo blog nel febbraio del 2006 e mi ha dato grandi soddisfazioni. Spero continuino anche su questa piattaforma. Tutto ciò dipende fondamentalmente dalla interazione con tutti voi, cari lettori.

29 pensieri riguardo “L’eremita (Seconda parte) (Scena unica – parte settantottesima)”

  1. proprio così Alberta..e credo che il miracolo vero sia quello che da questa pagina siano scaturite dal cuore di ognuno gemme preziose per questo avvento..da questa pagina iniziamo a costruire il nostro avvento, giorno dopo giorno, silenzio dopo parola…fino ad accogliere Dio in umiltà e gratitudine.

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  2. Deserto, silenzio, parola- digiuno, meditazione e preghiera. Se ci pensiamo bene questi tre fattori, nella loro autentica semplicitá sono le colonne di ogni religione, lo sono sempre stati e sempre lo saranno.Non devo aspettare un segno eclatante, i mezzi per vivere Dio sono dentro di me, mi sono stati dati quando mi é stato dato il mio nome. Guardati intorno Alberta, guarda i segni del Suo amore nelle tue bambine, nel dono che ogni giorno si rinnova nella possibilitá di aprire gli occhi ad un nuovo giorno e alla possibilitá che ti si offre ad ogni alba di poter far si che questo nuovo giorno non sia come tutti gli altri. Ho pensato tanto alle parole di Abelardo, a tutti i commenti, a quella pietra in grado di parlare al cuore, non credo che esista davvero un evento che da solo sia in grado di cambiare la vita, voglio dire che la vita in se é fatta di scelte che bene o male direzionano la nostra vita, ma non credo che un Santo sia diventato tale perché all’improvviso ha avuto una rivelazione, io credo che il Santo sia nato tale e abbia trovato la propria strada nonostante le avversitá di dove sia nato e vissuto. Anche secondo me il messaggio é che ognuno di noi é chiamato se cosí si puó dire a “recitare” la propria parte, diversa per ognuno, e l’amore giusto di Dio nei confronti di tutti noi é che ci ha dato gli stessi mezzi, nella loro semplicitá sono uguali per tutti, digiuno, preghiera e meditazione. Questa pagina la porteró con me fino a Natale, e ad ogni altro Natale che si susseguerá, perché il miracolo si ripete, si ripete ogni giorno e questa pagina mi aiuterá a non dimenticarlo. Alberta

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  3. vorrei sottolineare che il deserto è un luogo di passaggio, un luogo di purificazione, catartico oserei dire. Dio ti chiama ad inoltrarti in esso perchè tu dopo aver infranto tutti gli idoli possa vincere anche le tue paure…esso è scuola di Assoluto. nicola P.

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  4. questo incontro con Dio senza dubbio libera la vita dell’umanità da ogni falsa sicurezza, le apre un rapporto vero con la realtà del creato e ad una comunione di fiducioso dialogo con il Creatore

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  5. ascoltare e accogliere la parola di Dio è sentire di poter corrispondere con le propie parole e di poter camminare con Lui, è acquisire consapevolezza del valore del proprio esistere, della propria vita e della propria libertà.

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  6. vorrei rilevare come le parole di Osea non solo siano rivolte a tutti perchè Dio tutti asma, ma sono rivolte soprattutto a ciascuno di noi nella propria autentica unicità ed irripetibilità, così che da ciascuno di noi esse ricevono quei tratti caratteristici che sono legati alla propria e specifica vocazione ricevuta dal Signore. Mi pare che questo sia il nesso profondo col testo dell’eremita. Patrizia

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  7. E parlerò al suo cuore: la parola di Dio non è qualcosa che rimane in superficie, va dritta al cuore, al centro di noi stessi, al nostro io autentico, là dove tutto il nostro essere e vivere si concentra, prende forma e dinamismo, diviene colloquio personalissimo ed intimo col Padre. E’ il clima dell’amore, o meglio dell’innamoramoramento che tutto trasforma e coinvolge.

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  8. La condurrò nel deserto: Dio chiama e accompagna ogni giorno, ci prende per mano e ci conduce nel deserto, là dove sempre ci attende qualcosa di grande. Che cosa se non lo stesso Dio che ci fa dono della Sua Parola?

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  9. Io penso che le parole di Osea ci svelano i passi d’amore che Dio compie verso l’uomo. Anche di questo Abelardo vuol partecipare con l’eremita. In questi passi vediamo compiersi l’opera di Dio in noi, vediamo riuniti i segreti della nostra vocazione.
    Ecco l’attirerò a me: solo Dio e il suo amore genera la vocazione, fanno sbocciare la chiamata con la quale egli ci raggiunge e ci interpella…è lui che chiede a noi, non noi che chiediamo a Lui.

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  10. credo che non avere risposte per le domande essenziali della nostra vita significa mettersi in una situazione di grande fragilità nella quale il nostro mondo psichico si deteriora, non germoglia non spicca il volo. Dio per parlarci ci porta allora nel deserto, il luogo in cui facciao tacere le altre voci, i nostri pensieri, le nostre preoccupazioni e dubbi e lasciamo parlare Dio Solo qui Dio può parlare. Ecco “l’attirerò a me, la condurrò nel deserto e nel silenzio parlerò al suo cuore!”

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  11. questa risposta arriva di solito quando ci si chiude nel silenzio della propria stanza, perchè è là che Lui parla al nostro intimo, al nostro cuore, perchè Lui è più intimo a noi di noi stessi, Lui solo conosce ciò di cui noi abbiamo veramente, autenticamete bisogno!

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  12. sto cercando di comprendere il nesso che c’è tra l’immagine, la frase dell’immagine e il testo. Perchè un nesso c’è di certo, non l’avrebbero i nostri amici scelta altrimenti. Tre sono le parole che i colpiscono:DESERTO SILENZIO PARLARE.
    Il nesso deve stare qui.
    L’amore di Dio di cui parla Abelardo è insito in queste tre parole, l’eternità stessa viene raggiunta da Abelardo attraverso queste tappe:il deserto, il silenzio, la parola…
    Partiamo ab origine. Abelardo sta dicendo a parer mio all’eremita che per uscire dal suo stato di frustrazione deve dimorare in Dio e per dimorare in Dio (come un fumo) dobbiamo conoscerLo. Già….ma come? Attraverso la Parola! Dio parla attraverso la sua Parola a tutti gli uomini di tuttii tempi e di ogni luogo, parla contemporaneamente a tutti gli uomini, quelli di ieri, di oggi e di domani, perchè per Lui non esiste il tempo, Lui è Colui che è, Lui è l’eterno presente. Per Lui non esiste lo spazio, perchè Lui è in ogni dove, è il tutto in tutti, è il Dio con noi. Se come l’eremita desideriamo avere risposte vere ed autentiche dobbiao per forza porci delle domande vere e questo è il duplice lavoro della Parola, scavare in noi al punto tale da cancellare le domande false e far rimanere solo quelle vere, perchè solo allora Dio ci fornirà risposte altrettanto vere.

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  13. Anche il sentirsi in difetto forse non é poi cosí negativo, forse é un segno anch’esso di questa attrazione che l’amore di Dio ha deciso per ognuno di noi, forse é un primo passo verso quel deserto che ognuno di noi puó costruire nel fluire del giorno e della notte. Personalmente sono attratta da Dio proprio nel mio sentirmi in difetto, nella mia impotenza,nelle mie mancanze, nei miei limiti, a cui solo la preghiera puó dare risposta. Non é una risposta ad una domanda, una soluzione ovvia e tangibile ad un problema, é conforto, é il SIA FATTA LA TUA VOLONTA’, é una sensazione intima che Dio mi ama. Che questo Natale sia davvero deserto per tutti noi, grazie, Alberta

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  14. è molto importante ciò che ha detto ora Annalisa…l’esperienza del ritiro, del deserto è comunque un’occasione per fare silenzio e permettere a Dio di parlare al nostro cuore. Domani incomincia l’avvento e forse questa pagina di Abelardo viene a suo modo a prepararci all’avvento. Su quella pietra c’è un’esortazione a dedicare nei prossimi 24 giorni un atomo del nostro tempo a Dio, per capire di quale grande mistero siamo stati fatti oggetto di dono. Ed è bello iniziare qui, insieme, quest’avvento, alla luce del desiderio di essere condotti un po’ nel deserto, di fare insieme delle tende, di ascoltare una Parola che è rivolta al nostro cuore…parola che è come fumo, si disperde nel cuore stesso, lo invade col suo profumo e il cuore serberà a lungo la gioia dell’incontro avvenuto.
    Vi ringrazio per questo calore che avverto e che dona pace. Filippo

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  15. il silenzio lo troverai se ti lascerai condurre nel deserto…con gli scout ho fatto esperienza di deserto, di ritiro spirituale, ed è senza dubbio un’occasione preziosa per accogliere e gustare la Parola. Ma deve essere una scelta nostra che parte dal cuore, un cuore che desidera orientarsi verso l’unica meta che ha snso perseguire. Annalisa

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  16. ed è il senso dell’abbandono, dell’abbandonarsi a Dio che è lontano da me:non riesco in questo abbandono…è come se non mi fidassi…come si fa ad acquistare fiducia? Marta

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  17. io invece penso che tale orientamento si possa avere anche da laici, siamo semplici uomini, semplici figli e dobbiamo comportarci come tali…il problema è che non sempre ci ricordiamo di avere un Padre…ci si rivolge a Lui solo nel momento del bisogno! Paola

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  18. non avete idea di come dobbiamo impeganrci noi giovani allora. Personalmente io avverto molto la difficoltà di orientare la mia vita a Dio, mi pare quasi sia esclusivamente una scelta di tipo vocazionale. Alberto

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  19. quante volte come l’eremita ho preteso anche io una piccola iniezione di fiducia, un segno, il tocco di quelle dita che mi potessero far capire, sentire che non sono da sola e che nell’Eterno c’è un posto anche per me. E questo probabilmente accade per il semplice fatto che io sono ancora troppo attaccata a questa vita e poco proiettata verso l’eternità. Filippo ha colto giustamente nel segno, san Ignazio aveva visto ben chiaro tutto ciò e spronava a essere indifferente verso le altre realtà che ci circondano..ma spesso esse ci coinvolgono al punto tale da dimenticare che il fine ultimo per cui viviamo non è noi stessi, ma Dio. Io devo camminare ancora moltissimo per orientarmi in questa direzione.

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  20. ti salverà se saprai dimenticare ogni colore…se saprai essere dimentico di te stesso, dei tuoi egoismi, delle tue meschinità, dei tuoi tornaconti…quante volte si fanno cose, si compiono gesti solo nella speranza di averne poi un tornaconto…non è questa l’ottica del Cielo, non significa questo abbracciare il Cielo! Concentrati su te stesso significa:esamina tutte le tue potenzialità di amore oblativo e lavoraci sopra!

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  21. sia l’immagine bellissima che il testo, nonchè i commenti mi fanno venire in mente il pensiero ignaziano, per il quale Dio crea per l’uomo tante realtà e l’uomo se ne deve servire quel tanto che basta per raggiungere il fine di cui appunto parlava Nicola. Nello stesso tempo l’uomo deve però anche sapersi allontanare da quelle realtà che gli sono di ostacolo. Bisogna quindi esserne distaccati, in modo da non desiderare da parte nostra la salute piuttosto che la maattia, la ricchezza piuttosto che la povertà, l’onore piuttosto che il disonore, una vita lunga piuttosto che una vita breve…e così via. Siamo chiamati a scegliere solo ciò che ci può condurre meglio al fine per cui siamo stati creati.

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  22. conta solo l’abbracio del Cielo, il ricongiungersi al Padre. Le vie per arrivarci sono infinite, il ladrone ci è arrivato addirittura sulla croce, ma ci è arrivato. Solo questo conta:l’aver compreso che siamo stati creati per volontà divina e siamo stati creati per lodare, riverire e servire nostro Signore. Tutte le realtà di questo mondo, anche il palcoscenico di cui parla Abelardo, ci sono per aiutae l’uomo a conseguire tale fine. Nicola p.

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  23. non pentirti di essere vivo, perchè Dio non si pente mai di averti dato la vita. Quante volte mi son detto “Ma a che servo io? Che ci sto a fare qui? non ci tengo a stare in vita se comunque la mia vita non sembra avere una utilità, ma spesso ci si sente solo un peso….Ebbene qui Abelardo mi sta tirando le orecchie, mi sta dicendo che la mia voglia di mollare, la mia rassegnazione non è altro che irriconoscenza nei confronti di Dio. se non si pente Lui di avermi creato non si capisce perchè dovrei pentirmi io di essere vivo…chi sono io per decidere cosa è buono e cosa no? Sì, ma c’è pure il libero arbitrio, posso pure fare delle scelte, devo fare delle scelte e la mia scelta può essere quella di pentirmi di essere vivo…in reltà dovrei pentirmi di vivere come un morto! Tante volte Abelardo l’ha fatto notare all’eremita! E forse mi salverà solo se saprò dimenticarmi di me stesso dando l’intera vita mia per chi amo, a Lui in primis. Lavorare su me stesso fino a non riconoscermi più. Fino a dimenticarmi di me stesso a vantaggio del prossimo. Forse solo in tal modo potrò non pentirmi d’esser vivo. Finchè si resta concentrati su se stessi la vita non val la pena d’esser vissuta…il miracolo della salvezza consiste nel comprendere questa piccola gemma di saggezza ed umiltà.

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  24. ecco…ringrazio alessandra perchè ha spiegato molto bene il concetto di recita come apertura del cuore…la vita stessa è recita in quanto nostra trasformazione, nostra crescita…una recita catartica nel senso tragico greco, una rappresentazione che ci porta a prendere coscienza di ciò che realmente e autenticamente siamo, che ci porta a riconoscere che siamo figli di Dio e come tali dobbiamo operare, come tali siamo amati dal Padre ogni istante. Ogni istante! E quanto più ci sentiamo inautentici, tanto più Dio ci raccoglie dal nostro stato di frustrazione e quel che conta ci salva!

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  25. ci sarebbe da scrivere un poema solo se ci soffermassimo su quell’immagine e non è detto che ciò non accada nel corso dei prossimi giorni. E’ sicuramente una pagina assai ricca di spunti questa. Parto dal testo. Parto dal concetto di recitare una parte, di sentirsi inautentico, concetto pirandelliano, espressione del disagio dell’uomo del Novecento che però sembra essersi dilatato sino all’attualità. Dio come spettatore attento, ma presente, che non solo sta lì a guardare, si annoia o applaude, dal suo eterno silenzio lancia messaggi e segni, lì, sul palcoscenico, come rose lanciate agli attori…e spesso lasciamo tutto lì per terra….ad appassire! Non riesco a pensare che l’Amore di Dio possa portarmi a recitare, riesco a pensare che l’Amore di Dio scateni in me, solleciti in me la vera mia essenza, la mia autenticità. Io sono davvero me stesso quando a sera metto nelle Sue mani tutte le mie mancanze, i miei peccati, le mie debolezze e i miei traguardi…durante il giorno abbiamo tutti il nostro ruolo, la nostra parte da recitare, ma lo si può fare rimanendo autentici, è questo che vuol dire Abelardo: la vita è un palcoscenico sul quale siamo chiamati a recitare la parte dei figli di Dio. Ogni giorno.Questo è l’Amore di Dio per il quale viviamo e e siamo chiamati a recitare.

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  26. perchè mentire a se stessi? perchè? qual è il senso di questa menzogna che non porta, non conduce da nessuna parte, è un gatto in gabbia, si morde la coda, è un circolo vizioso, una stanza buia dalla quale non si esce…se mento a me stesso non posso avere la capacità di lavorare su me stesso. Devo partire dalla verità che è in me, dalla verità che in me riconosco per aprirmi al cambiamento, alla conversione. Altrimento rimango fermo, in stallo. Anche se sempre nella mano di Dio. Il libero arbitrio deve solo permettermi di sentire il calore di quelle dita, di avvertire il calore che mi ha generato, quel calore che è mio, mi appartiene e mi rende autentico, perchè sono amato:è un mistero che racchiude forse il senso ultimo della nostra esistenza. Dio ci ama per quel che siamo, possiamo fingere a noi stessi ma non a Dio:Egli tutto sa, tutto scruta, vede nel profondo del nostro cuore:non si recita l’amore. Lo si grida, lo si manifesta, lo si rende palese tanto esso trabocca ed è autentico. Non si può fingere, non possono le nostre mani e i nostri occhi recitare, poichè essi sono lo specchio del nostro cuore. E Dio legge tutti i segni e la loro autenticità…questo ci dona da una parte speranza, dall’altra ci stimola a migliorare!

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  27. devi lavorare incessantemente su te stesso! Certo, tenendo però occhi e cuore rivolto all’altro. Non credo sia un monito a chiudersi nell’egoismo, ma piuttosto la molla che spinge a migliorarsi, che spinge a sperare. lavorare su se stessi, porsi piccoli, piccoli traguardi che porteranno alla fine non solo a migliorare le nostre relazioni con gli altri ma a raggiungere Dio: non riconoscermi più, trasfigurato, Dio a Dio, io a immagine di Dio.
    Lo so che il tutto appare difficile e di una fatica insormontabile, ma quel passo di Osea dobbiamo scriverlo sul nostro cuore, dalla pietra al cuore, perchè è una promessa di Amore eterno che Dio fa a me, a te, a ognuno di noi!
    Grazie ragazzi, per aver ancora una volta spinto i miei passi verso la vera meta! alberto

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