Appunti sulla condizione degli Ebrei nei secoli (undicesima parte)

Si impose poi fortemente una volontà politica di controllo delle nascite, intendimento che potremmo definire di durata ultra millenaria.

Basti pensare che dal XII al XVI secolo fu proibito, nella speranza appunto di limitare le nascite, alle donne cristiane di allattare o fare da levatrici per neonati ebrei.

Molte donne ebree dunque per evitare la morte ai propri figli dovettero dunque cederli a famiglie cristiane interrompendo per sempre i contatti con il loro bene[1].

Ancora nel 1347 fu arso sul fuoco un tal Giovanni Alard che aveva come colpa quella di avere avuto più figli da una giudea[2].

In Francia nel 1767 si ritenne di disporre l’assurdo principio per cui i figli illegittimi di genitori ebrei dovevano essere educati secondo la religione cattolica, anche nel caso di susseguente e legittimante matrimonio; e ciò perché i figli illegittimi si consideravano appartenenti al sovrano[3]. E chi avesse deciso di riprendere la fede giudaica dopo il battesimo veniva processato e punito per eresia [4] che comportava anche la confisca dei beni e pure nei confronti dei defunti[5].

Sino al 1837 in Piemonte si ritenne in virtù di questa legislazione e della sua evoluzione che matrimoni simili meritassero la pena di morte e che i figli nati da quest’unione dovessero considerarsi come incestuosi e quindi non potessero ereditare né ricevere gli alimenti[6].

In Roma fu dunque naturale conseguenza della volontà di limitare le nascite stabilire che tra Cristiani ed Ebrei non si stringesse alcun vincolo: non solo i matrimoni erano considerati nulli[7], ma costituivano altresì adulterio (388 d.C.) e venne attribuito ad ognuno lo ius accusandi[8].

Il fatto di considerare il matrimonio misto come adulterio comportava l’applicazione della pena di morte, con il diritto appunto concesso ad ognuno di esercitare l’azione penale; il Cristiano non poteva sottrarsi al giudizio convertendosi all’Ebraismo[9].

Al contrario nel caso in cui fosse stato un Ebreo a sposare una Cristiana e a convertirsi al Cristianesimo sarebbe caduta ogni accusa di adulterio[10].

Prima di  tale intervento di Valentiniano, Teodosio e Arcadio anche Costantino aveva emanato un editto nel 329 che vietava all’Ebreo di prendere in moglie una donna del gineceo (l’industria tessile imperiale) pagana o cristiana che fosse[11].

Fu la Chiesa spagnola che stabilì il divieto di contrarre matrimoni misti già nel Concilio di Elvira (300-306 d.C.), prima ancora che il Cristianesimo fosse riconosciuto come religione permessa.

La fanciulla che sposasse un ebreo non era punita, ma i suoi genitori venivano allontanati dalla comunione per cinque anni.

Il divieto riguardava il solo Cristiano che peraltro non poteva nemmeno avere una concubina pagana od ebrea perché ciò comportava cinque anni di scomunica[12].

La norma del Codex Theodosianus che considerava il matrimonio misto illecito alla stregua di un adulterio poi passò nel Breviarum Alaricianum e nella Lex Romana Burgundiorum.

La Chiesa in quei frangenti comminava la scomunica a tempo indeterminato, se non si cessava il matrimonio, proprio facendosi forza della legge civile[13].

In Spagna la legislazione fu ancora più aspra perché non si puniva il Cristiano, ma la parte ebraica privandola della patria potestà ed imponendo il battesimo cristiano.

Non si consentì[14] poi agli Ebrei nemmeno il matrimonio secondo le loro usanze (393 d.C.)[15]: in particolare venne vietato[16] il matrimonio tra zio materno e nipote[17] e pure il levirato, ossia il dovere del fratello di sposare la moglie di suo fratello, morto senza discendenza[18].

Tra Cristiani ed Ebrei fu assolutamente proibito coltivare reciproci sentimenti di amicizia o d’altro genere.

Nel Medioevo si arrivò a vietare le discussioni tra Cristiani ed Ebrei[19].

Ancora nel 1347 la regina Giovanna di Napoli vieterà addirittura agli Ebrei di entrare in un pubblico lupanare.

Gli Ebrei più in generale non potevano frequentare meretrici cristiane ed i Cristiani meretrici ebree: Giulio Claro, un giurista del XVI secolo, ci racconta che un ebreo fu condannato per questo delitto alla pena di dieci anni di galera[20].


[1] C. CATTANEO, Ricerche economiche sulle interdizioni della legge civile agli Israeliti, op. cit., p. 114.

[2] CATTANEO, Ricerche economiche sulle interdizioni della legge civile agli Israeliti, op. cit., p. 97.

[3] Così come gli Iloti in Sparta appartenevano allo Stato e solo da esso potevano essere liberati.

[4] Questa era la pena per chi abiurava la fede cattolica dal 1298.

[5] C. CATTANEO, Ricerche economiche sulle interdizioni della legge civile agli Israeliti, op. cit., p. 112.

[6] V. J.  SESSA, Tractatus de Judaeis, Augusta Taurinorum, 1717, p. 112.

[7] Peraltro anche per il diritto ebraico il matrimonio misto era vietato tranne il caso che il coniuge non ebreo si convertisse all’ebraismo. Cfr.  A. M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, op. cit. p. 606.

[8] Cfr. C. L. 9. 1. 9. 6. Imperatori Valentiniano, Teodosio e Arcadio a Cynegio, Prefetto del Pretorio. “Nessun ebreo sposerà una donna Cristiana, nessun uomo cristiano una donna ebrea. E se qualcuno compirà una cosa del genere, l’atto sarà considerato della natura dell’adulterio, e a chiunque sarà data la libertà di accusa”. Data in Tessalonica il 30 aprile del 388.

[9] A. M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, op. cit. p. 746.

[10] Ovviamente ciò era condannato dall’Ebraismo.

[11] C. TH. XVI, 8.6.

[12] A. M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, op. cit. p. 497 e 569.

[13] A. M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, op. cit. p. 568.

[14] Solo agli Ebrei di Tiro Giustiniano (Novella 139) consentì di ottenere la validità di matrimoni rituali e la legittimità dei figli nati a patto che venissero versate al patrimonio privato dell’Imperatore dieci libbre d’oro. A. M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, op. cit. p. 813.

[15] Codex L. 9. 1. 9. 7. Imperatori Valentiniano, Teodosio e Arcadio a Infante, Conte d’Oriente

Nessun ebreo potrà scegliere il costume della propria gente nel contrarre matrimonio, né contrarre matrimoni diversi allo stesso tempo”. Data a Costantinopoli il 27 febbraio 393.

In merito ai gradi di parentela per cui era proibito il matrimonio la legge ebraica  era più liberale del diritto romano: di qui probabilmente la proibizione di legge.

[16] I divieti sussistevano già ai tempi di Diocleziano.

[17] Consentito dal diritto biblico e talmudico. Già Costanzo e Costante con una costituzione del 342 stabilirono per il caso la pena di morte. A. M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, op. cit. p. 750.

[18] Usanza questa prevista dal Deuteronomio 25. 4-13.

[19] M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, op. cit. p. 711.

[20] L. VIGNA – V. ALIBERTI, Della condizione attuale degli Ebrei in Piemonte, op. cit., p. 49.

Appunti sulla condizione degli Ebrei nei secoli (settima parte)

1b) Diritto ebraico e diritto romano

È bene forse evidenziare qui l’evoluzione del diritto ebraico Mishpat ‘ivrì): esso è sentito dai Giudei come l’ininterrotta continuazione della Torà[1] che è stata concessa da D-o[2] a Moshé Rabbenu[3] e tramandata poi di generazione in generazione.

La lettura rabbinica che riguarda gli aspetti giuridici si definisce Halachà e si propone di insegnare all’uomo come comportarsi nei vari casi della vita.

Il sistema giuridico ebraico è diviso in norme che regolano i rapporti tra uomo e D-o e i rapporti tra gli uomini: entrambi le norme sono considerate giuridiche, divine, immutabili[4] e senza contraddizioni, ma allo stesso tempo ne è consentita l’interpretazione solo agli uomini.

Per la tradizione ebraica i precetti contenuti nella Torà che ogni Ebreo è tenuto ad osservare sono 613.

Vi sono però sette precetti noachidi[5] che secondo i Giudei devono essere osservati da ogni uomo o donna:

1) divieto di idolatria;

2) divieto di bestemmia o blasfemia;

3) divieto di omicidio;

4) divieto di incesto e di adulterio;

5) divieto di furto e rapina;

6) obbligo di stabilire dei tribunali che assicurino l’ordine, la giustizia e assicurino il rispetto di tali precetti

7) il divieto di mangiare un arto tratto da un animale vivo[6].

Si debbono ricordare inoltre alcuni diritti di epoca biblica inerenti ai rapporti familiari.

Il padre ha diritto di dare in sposa la propria figlia. La madre non ha questo diritto a meno che la figlia non sia orfana.

In base alla Torà il padre non chiedeva il parere della figlia per darla in sposa, ma la dava in sposa in cambio di una somma di denaro[7] o di un’azione compiuta.

Tuttavia dal periodo talmudico la donna poteva opporsi, anche se non le era richiesto il consenso.

In tale periodo il diritto del padre è riconosciuto nel caso di figlia minorenne, ma si pone altresì il divieto per il padre di dare in sposa la figlia sino alla pubertà.

La figlia veniva fidanzata in tenera età ed il padre riceveva il prezzo del fidanzamento.

Per il fidanzamento del figlio che avveniva invece in età avanzata non si riceveva alcun prezzo.

L’adultero e l’adultera erano entrambi passibili di pena di morte, se veniva provato l’adulterio: il diritto biblico è durissimo, mentre altre leggi ammettevano che se il marito perdona la moglie anche l’adultero deve essere tenuto in vita[8].

La figlia adultera, ossia la ragazza che non ha palesato al marito di non essere più vergine e che si è prostituita quando era già fidanzata, ma dopo la maggiore età, veniva lapidata se due testimoni attestavano davanti al Consiglio degli anziani che si è prostituita.

(Continua)


[1] Letteralmente significa “insegnamento”. Essa indica in senso stretto il diritto biblico contenuto nel Pentateutico ed in senso lato, l’insegnamento ebraico della Bibbia sino ai nostri giorni.

[2] Gli Ebrei non scrivono completamente il nome della divinità.

[3] Mosè nostro maestro.

[4] Anche i Greci consideravano le leggi immutabili e preesistenti al diritto: si pensi a Licurgo che le aveva ricevute dall’oracolo di Delfi. La proposta di nuove leggi era pertanto considerata cosa eccezionale. A. BISCARDI, Diritto greco antico, Giuffré, Varese, 1982, p. 65.

[5] Dati da Noè.

[6] V. A.M. RABELLO, Introduzione al diritto ebraico, Fonti, Matrimonio e Divorzio, Bioetica, op. cit. p. 3 e ss.

[7] Il matrimonio-compera era normale anche nel mondo omerico.

[8] Codice di Hammurabi, leggi ittite ed assire.

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