(Per il legislatore)
Nel 1729 quello che possiamo considerare il maggior genio dell’Età dei Lumi, Jonathan Swift, scrisse sull’orlo dell’insania mentale, un libello[1] in cui suggeriva ai poveri irlandesi di alleviare il loro misero stato vendendo centomila figli ai ricchi inglesi, i quali ne avrebbero potuto ricavare così, previa un breve periodo di sostentamento, cibo prelibato.
Swift prese posizione a favore della popolazione d’Irlanda oppressa e immiserita dagli inglesi fingendo di compiacersi della propria compassata proposta di soluzione economica del problema della povertà: vendere centomila bambini poveri nati ogni anno ai ricchi possidenti affinché questi li usino come cibo.
Anche il sottoscritto che non è certo un principe dell’Età dei Lumi e che invece è forse parimenti sull’orlo dell’insania mentale ardisce fare una proposta al legislatore italiano.
Se si legge con attenzione il futuro art. 8 c. 6 del Decreto 28/10 (“Le parti e gli avvocati che le assistono cooperano in buona fede e lealmente al fine di realizzare un effettivo confronto sulle questioni controverse”) e lo si confronta con la definizione che viene data nel 2014 della negoziazione assistita (“Un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza dei propri avvocati”), si può notare che quest’ultima va maggiormente al punto perché parla di “risolvere la controversia”.
Certo l’art. 5 c. 4 del Decreto 28/10 reciterà il 30 giugno 2023: “Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo di conciliazione.”, ovvero si parla di conciliazione.
Ma se leggete bene l’8 c. 6 le parti (i loro avvocati) potrebbero limitarsi a discutere in diritto e in fatto delle questioni controversie e dunque semplicemente a definire meglio l’oggetto del futuro giudizio (“effettivo confronto sulle questioni controverse”) e poi comunicare al mediatore che non intendono conciliare, magari chiedendo di mettere a verbale quanto scaturito dall’incontro e vedendo peraltro regolarmente assolta la condizione di c.p.
Non è un caso dunque per me che la legge delega 206/21 al punto l preveda che “coloro che non abbiano conseguito una laurea nelle discipline giuridiche possano essere abilitati a svolgere l’attività di mediatore dopo aver conseguito un’adeguata formazione tramite specifici percorsi di approfondimento giuridico, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
Questo modo di affrontare la mediazione non è certo nuovo: viene praticato in diversi paesi del mondo e della UE (in alcuni paesi addirittura c’è uno sconto sul c.u. se si arriva dal giudice con una questione meglio definita in fatto ed in diritto).
È probabile che questa strategia verrà presa in considerazione anche dai nostri legali se il costo del primo incontro sarà basso per le parti.
Ma è questo ciò che vogliamo dalla mediazione? Ciò porterà comunque ad una deflazione del contenzioso?
Se approfondiamo questa riflessione possiamo verificare agevolmente che la relazione al decreto legislativo 149/22 non dice niente su che cosa voglia dire “cooperare in buona fede e con lealtà”.
Il che porta il mio primo sospetto ad una certezza.
Nel nostro ordinamento a suo tempo, per la negoziazione assistita si è tirato in ballo l’art. 1137 C.C. che richiama a sua volta il 1175 C.C.
E ci si è messi a discutere sulla responsabilità precontrattuale.
In sostanza si rispetterebbe il dettato della legge nel momento in cui si ottempera al dovere di informare la controparte: A) sulle circostanze rilevanti (invalidità o inefficacia di un futuro contratto), B) sui vizi della cosa oggetto del contratto, C) sulla inutilità della prestazione; quando non si induce la controparte a stipulare un contratto con inganno o a concludere un contratto pregiudizievole; quando si coopera perché il contratto sia efficace o comunque utile; quando non si interrompono le trattative senza una ragionevole giustificazione.
Mi chiedo se basti tutto ciò a perimetrare l’ambito ed il senso della mediazione cooperativa in buona fede e lealtà.
La mediazione viene dagli Stati Uniti e comunque da un mondo di common law dove vigono alcuni valori e le parole hanno un senso peculiare.
Se io importassi in Groenlandia la pasta al pesto la preparerei secondo le regole dove la pasta al pesto è nata.
Se invece semplicemente discuto in fatto ed in diritto e mi limito a rispettare l’art. 1137 C.c. e l’art. 1175 (la cui analisi è peraltro di pertinenza del giudice) faccio la pasta al pesto alla groenlandese.
Non credo, con tutto il rispetto per la cucina della Groenlandia, che soddisferò molti palati.
Cooperare in buona fede e lealtà nel paese dove la mediazione è nata ha un significato preciso che non si può ignorare se non si vuole snaturare l’istituto.
Cooperare significa seguire la dinamica della collaborazione (mantenere una relazione simmetrica) e adottare il metodo di Harvard per negoziare, non discutere semplicemente del fatto e del diritto seguendo le regole dell’art. 1137 C.C.
Certo il metodo del negoziato di princìpi si deve imparare e non viene alla mente per Grazia divina.
Buona fede poi ha nel mondo anglo sassone un significato ben preciso:“That being said, both parties must enter mediation with good faith, meaning that the parties have the sincere intention of trying to find a resolution in the dispute[2].”
Buona fede significa dunque avere la sincera intenzione di provare a trovare una soluzione per la disputa.
La lealtà la potremmo poi definire così: “Oftentimes, loyalty is the act of putting the needs or wants of others ahead of your own even when it is not ideal or convenient. On a personal level, loyalty is shown through trust, selfless acts, dedication to your relationship, and a supportive mindset[3]” (Spesso, la lealtà è l’atto di mettere i bisogni o i desideri degli altri davanti ai propri anche quando non è ideale o conveniente. A livello personale, la lealtà si manifesta attraverso la fiducia, gli atti disinteressati, la dedizione alla relazione e una mentalità solidale).
Quindi deduco che cooperare con buona fede e lealtà significhi usare un metodo di negoziazione cooperativo con l’intenzione sincera di risolvere la disputa e di considerare durante la procedura i desiderata degli altri anche quando per noi possono sembrare non ideali e convenienti.
E dunque ecco la mia insana proposta di modifica dell’art. 1 del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28.
Art. 1 (invariato)
Definizioni
1. Ai fini del presente decreto legislativo, si intende per: a) mediazione: l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa;
b) mediatore: la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo;
c) conciliazione: la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione;
d) cooperazione: utilizzo della dinamica collaborativa;
e) buona fede: sincera intenzione di provare a trovare una soluzione per la disputa;
f) lealtà: l’atto di mettere i bisogni o i desideri degli altri davanti ai propri anche quando non è ideale o conveniente. A livello personale, la lealtà si manifesta attraverso la fiducia, gli atti disinteressati, la dedizione alla relazione e una mentalità solidale;
d) organismo: l’ente pubblico o privato, presso il quale può svolgersi il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto;
e) registro: il registro degli organismi istituito con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 16 del presente decreto, nonché, sino all’emanazione di tale decreto, il registro degli organismi istituito con il decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222.
Ed ora potete farmi tranquillamente un TSO, tanto il modo in cui si farà mediazione dopo il 30 giugno 2023 non mi piacerà.
[1] “Una modesta proposta per impedire ai figli della povera popolazione d’Irlanda dal pesare sui propri genitori e sul Paese per consentire che essi siano di beneficio al pubblico”
[2] Good Faith in Mediation by MARIAN GRANDE November 11, 2020.
[3] https://www.calendar-uk.co.uk/faq/what-are-the-three-types-of-loyalty