Una giustizia alta e altra

Recensione del volume “Una giustizia alta e altra” della professoressa Maria Martello

A cura di Carlo Alberto Calcagno

Quando si legge un saggio di Maria Martello ci si rende subito conto che ogni parola pesa, ogni frase è densa di significato di per sé e in quanto rimando ad una sapienza antica, ogni capitolo è un estremo sforzo per gettare verso l’alto una cattedrale di significati, un disegno allo stesso tempo in bianco e nero e colorato di quello che non è e potrebbe invece essere una civile convivenza.

Cosí è per “Una giustizia alta e altra” che appunto, già dal titolo, fornisce l’idea di voler lasciare in basso l’attuale imperfetto apparato di regolazione dei conflitti, per un altro, quello di una mediazione che però si distacca enormemente dal concetto che in questo decennio è arrivato agli operatori del settore. Non parliamo poi di quello che è giunto al cittadino o al giudice. Ciò che noi abbiamo conosciuto non ha niente a che fare con gli scritti del Nuovo Testamento e l’Episcopalis Audientia che l’autrice ricorda, non a caso, al termine della monografia.

Ma per comprendere a pieno questi richiami la professoressa Martello, ci indica il viaggio filosofico-umanistico.

Non si può iniziare dal modello mercantile di deflazione del contenzioso che ci ha lasciato la scuola di Harvard (peraltro non nato per la gestione delle controversie ma per i rapporti endo-imprenditoriali) se si voglia comprendere il mondo della mediazione, né dalla sola psicologia che ha comunque fornito ottimi strumenti al mediatore (pensiamo ad es. alla parafrasi); dobbiamo necessariamente cominciare il viaggio da qualcosa di molto più antico che non si traduce solo nei preziosi contributi dei filosofi che tutti conosciamo, ma da un modello che seppure l’autrice non citi esplicitamente, è quello del matriarcato che è riuscito per migliaia di anni, ad attuare una perfetta sintesi del razionale e dell’irrazionale.

È un mondo di idee e di esperienze che già c’è stato e che va solo evocato e riscoperto: non è una nuova ricetta di incerta applicazione.

Quello che noi giuristi chiamiamo consenso all’utilizzo di un determinato strumento di risoluzione, è in realtà molto di più in mediazione, è la fiducia in un terzo mediatore affinché ci aiuti a lavorare con gli elementi razionali e irrazionali.

Non poteva la professoressa Martello non metterci in guardia a più riprese del fatto che un sistema, per dirsi evoluto, non può tralasciare (come l’attuale processo tralascia) gli elementi irrazionali che sono le radici del conflitto e che se non vengono esplorati non potrà darsi uno sviluppo armonico della pianta e dunque di futuri legami.

Perché la mediazione non può e non deve ridursi a chiudere un conflitto, ma è tesa (ed è stata tesa per millenni) a ripristinare legami.

La società ha bisogno di ripristinare i legami; non si può pensare che la legge – come spiega bene la Martello affidandosi al pensiero di Salvatore Natoli – possa costituire la panacea di tutti i mali, come invece la intendono gli uomini di questa civiltà.

I legami nascono dal confronto, dall’ascolto e come specifica deliziosamente l’autrice, dall’emulazione. Non vi può essere progresso senza emulazione, né oserei dire nascita di una nuova famiglia in seno al consorzio umano.

Ma chi sono i sapienti che possono riportare in auge questo sistema antico di vivere le relazioni? Gli avvocati nelle loro consulenze che devono coniugare il diritto con i veri bisogni dei loro clienti; coniugazione questa che può nascere solo dall’educazione all’ascolto del cliente (che immerso nel conflitto non è più capace di ascoltare).

Sono i giudici che per la loro posizione possono veramente ed efficacemente diffondere ed alimentare la cultura del confronto.

Il legislatore, infine, che deve riprendere dall’inizio il filo per entrare nel labirinto della mente umana e non accontentarsi di una mera deflazione del contenzioso; ciò comporta evidentemente una nuova formazione “alta ed altra”, che abbandoni le povere tecniche di gestione economica delle controversia. Non è il denaro che motiva l’uomo e che lo spinge a diventare migliore, una risorsa per la società, ma il riconoscimento completo di sé.

Il mediatore penale a seguito della riforma Cartabia

A system of criminal justice which focuses on the rehabilitation of offenders

through reconciliation with victims and the community at large.

Oxford dictionary and thesaurus

Introduzione

Questa nota non può prescindere da un concetto di base della mediazione, ossia il fatto che la mediazione investe la relazione tra le persone.

    Le categorie specificate dal diritto: mediazione civile e commerciale, mediazione familiare e giustizia riparativa sono solo elucubrazioni di e per giuristi.

    Nella realtà non esistono e soprattutto la mediazione non tollera le gerarchie che sembrano emergere dai primi decreti attuativi della riforma Cartabia.

    Non esiste una mediazione di serie A ed una mediazione di serie B, esiste solo la mediazione.

    Nei paesi ove la cultura della mediazione è  diffusa non si procede ad insegnare la mediazione per settori: si consegna ai mediatori una formazione di base che consente di imparare ad ascoltare e ad aiutare le persone a comunicare e a negoziare, ossia a supportarli in una relazione al momento deficitaria. Poi ogni mediatore si specializza e ogni specializzazione è preziosa e reca indiscutibile esperienza.

    Anche per i magistrati vige la regola che devono cambiare settore ogni dieci anni per non sclerotizzarsi.

    La relazione poi a sua volta non può essere di serie A o di serie B a secondo dell’ambito in cui viene affrontata: tutte le relazioni hanno importanza e la crisi può avere risvolti delicatissimi per la vita delle persone anche in situazioni che appaiono agli occhi di un terzo irrilevanti.

    Non è poi solo il danno economico che deve essere preso in considerazione, ma appunto quello relazionale che va ben al di là.

    La strada della mediazione è dunque unica, anche se costellata di tante tappe: noi siamo tenuti in scarso conto dall’Europa per promozione dell’ADR (nel 2022 eravamo al 21° posto) proprio perché non abbiamo abbastanza specializzazioni, ad es. una mediazione del lavoro e una mediazione amministrativa.

    Il mediatore per imparare deve poter spaziare per fare esperienza ed imparare.

    Questo percorso virtuoso opera in mediazione familiare da diversi anni (in alcune regioni dagli anni ’80) con corsi di formazione, tirocinio, supervisione ed esami plurimi che costellano la vita di un mediatore familiare fino alla certificazione UNI.

    Questo percorso virtuoso è venuto a crearsi anche per il mediatore civile e commerciale che insieme ad una formazione iniziale e continua, ricordiamolo, ha ormai almeno una esperienza di 13 anni (se non era prima conciliatore societario e ancor prima delle Camere di Commercio).

    Non si può dire altrettanto in Italia dei Centri di Giustizia riparativa. 

    Se un qualsiasi cittadino oggi volesse sapere quanti sono i Centri di Giustizia riparativa in Italia scoprirebbe che sono undici per la giustizia minorile[1]. Non troverebbe agevolmente informazioni però sulla mediazione penale per adulti. Né potrebbe sapere con un click quanti sono i mediatori penali, come accade in altri paesi, ad esempio in Portogallo dove ne abbiamo 250[2].

    La mediazione penale è tutta da costruire in Italia e sembra che il Ministero invece voglia semplicemente sanare un percorso poco conosciuto, senza  un retroterra di regole che invece possiedono la mediazione civile e commerciale e la mediazione familiare.

    Si tenga inoltre presente che anche i mediatori civili e commerciali e familiari hanno sviluppato una capacità di ascolto attivo, di equiprossimità ovvero di empatia[3], di riconoscere l’altro (e di fare riconoscere gli altri[4]); hanno imparato a gestire i sentimenti: la rabbia, la vergogna[5] e la paura.

    Non si vede poi perché le parti non potrebbero avere fiducia del mediatore in quanto tale e senza etichette.  Egli tesse la tela della comunicazione con pazienza ed in assenza di giudizio. Il mediatore di per sé impara nella pratica quotidiana che cosa significa maturare sentimenti di precarietà, di sconfitta o di rivalsa, vedersi negare la dignità, constatare lo svilimento della memoria, percepire le offese alla verità e incontrare l’umanità ferita (e ciò a prescindere dal setting).

    Il mediatore fa molta attenzione a dare spazio ad ogni punto di vista perché sa che così crea empowerment, è capace poi di orientare persone verso alla soluzione del conflitto e la gestione del futuro indipendentemente dal tipo di controversia.

    • La soluzione che sarebbe stata più ragionevole da individuare

    Il Consiglio di Stato in un parere del 20 giugno 2023[6] scrive che l’applicazione nei procedimenti penali della giustizia riparativa è partita il 1° luglio 2023[7].

    Teniamo presente, inoltre, che alla a fine del 2022 c’erano 1.433.352 procedimenti penali pendenti (Fonte: Ministero Giustizia[8]),  ma ovviamente il numero di persone coinvolte nell’ambito di tali procedimenti, che avrebbe interesse ad accedere ai programmi, era ed è di gran lunga maggiore.

    Se è poi vero, come è vero, che il programma di giustizia riparativa porta solo benefici a chi lo attiva[9] (in taluni casi è addirittura prevista una diminuzione di pena), non sorprenderebbe che a pochi mesi dall’entrata in vigore della riforma, si superasse facilmente il milione di istanze di accesso a tali percorsi.

    Tale proiezione numerica non è il problema, ma lo diventerà considerando quanti ad oggi saranno inseriti negli elenchi tenuti dal Ministero della Giustizia.

    Per mettere in opera la riforma Il 5 luglio 2023 il Ministero della giustizia, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell’università e della ricerca, ha pubblicato  in Gazzetta Ufficiale due decreti ministeriali in materia di giustizia riparativa, di attuazione del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150[10], che riguardano entrambi, tra le altre cose,  proprio la formazione ed hanno la stessa data, 9 giugno 2023[11].

    Nell’attualità per capire se il sistema partirà si deve però guardare alla combinazione con la disciplina transitoria dettata dall’art. 93 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150. Vista, infatti, la disciplina regolamentare sulla formazione (che è in vigore dal 5 luglio) i nuovi mediatori penali saranno pronti solo tra qualche anno.

    Sotto il profilo temporale, prima che intervenisse la disciplina regolamentare, si stimava che ci volessero tre anni sulla base delle previsioni del decreto legislativo (v. art. 59 c. 3 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150[12]). Non c’era già la possibilità che, nelle more, potessero essere inseriti in elenco altri mediatori. Ora non si è più così ottimisti dal momento che il regolamento ha raddoppiato, rispetto all’art. 59, i tempi della formazione: 680 ore di formazione iniziale e 60 di continua.

    Il tutto perlopiù da seguire in presenza: ci si chiede quanti laureati (si richiede la laurea) avranno il tempo di frequentare un corso di questo genere; di solito a questi percorsi (si pensi alla mediazione familiare) si dedica un sabato al mese. In questo caso, escludendo il tirocinio, ci vorrebbero cinque anni, se si dedicasse alla formazione tutta la giornata.

    Il termine può essere preso per buono sempre che ovviamente sia tutto pronto, ovvero che le Università abbiano stipulato accordi sul da farsi con in Centri di Giustizia riparativa, abbiano adeguato i lori programmi formativi, calendarizzato corsi/master in giustizia riparativa ecc…

    Non si può poi pensare seriamente che i Centri di giustizia riparativi, con le risorse attuali, si possano occupare dei programmi e della formazione, data la mole dei procedimenti prima visti che potrebbero essere astrattamente oggetto di richiesta.

    Ricordiamoci che la Giustizia riparativa costituisce probabilmente un diritto della vittima almeno dal 2012 con la Direttiva  2012/29/UE (Mannozzi)[13].

    In questo stato di cose la cosa più ragionevole per rendere effettiva la riforma sarebbe stata quella di “reclutare” mediatori civili e commerciali e familiari già esperti (e appunto con un solido retroterra di regole alle spalle) e specializzarli nella materia della mediazione penale o comunque, più in generale, di coinvolgere quanti siano in possesso dell’attestato di qualità e di qualificazione professionale dei servizi prestati ex lege 4/2013 (artt. 4, 7 e 8), rilasciato da un’Associazione Professionale iscritta al M.I.S.E.

    Negli altri paesi UE ciò sarebbe stato normale. Non si fa differenziazione tra mediatori: la mediazione è unica, come dicevamo all’inizio,  e poi ci si specializza quanto si vuole.

    Ad es. in Finlandia – che possiede la mediazione penale più avanzata al mondo – il mediatore può essere una persona che ha completato un corso di formazione in mediazione e che ha le capacità e l’esperienza richieste per svolgere correttamente l’attività e che è adatto al lavoro. Non ci sono preclusioni di sorta. Il corso è di 50 ore[14]. Ma quello che conta è la formazione avanzata: in materia di violenza domestica le ore sono 170 e quando si tratta di bambini e adolescenti il corso è di 100 ore. I mediatori sono monitorati e devono seguire pratiche uniformi[15]. Siamo quindi in linea con il decreto 150/22 senza le “discriminazioni” e gli aumenti spropositati del monte ore operati del decreto ministeriale.

    In Polonia, cui sono stati attribuiti 65 punti e conduce la classifica per la promozione ADR nella UE, un corso specialistico in materia civile e commerciale dura 56 ore, in materia penale è di 22 ore, in materia familiare di 78[16]: ovviamente i mediatori fanno tutto e possono specializzarsi anche nel campo amministrativo.

    In Svezia che pratica la mediazione  penale dagli anni ’70, il corso per mediatori penali è di 4 giornate (non è obbligatorio) e non ci sono preclusioni di sorta sui mediatori.

    Il Ministero della Giustizia italiano, invece ed evidentemente, non concepisce la mediazione come un’unica materia con più specializzazioni e non premia chi si specializza; ha alzato un bello steccato stabilendo che mediatori civili e commerciali e familiari iscritti all’albo[17] non possano fare anche i mediatori penali[18].

    E dunque si vuol fare ricorso nella giustizia riparativa alle risorse che già ci sono e che probabilmente – a pensar male si fa peccato, ma si indovina quasi sempre – hanno premuto perché avvenisse tutto ciò.

    • La disciplina transitoria ed i decreti ministeriali

     D’altronde questo sembra emergere in modo cristallino ed inequivocabile dalla combinazione tra l’art. 93 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 e la sua attuazione[19]

    La disciplina transitoria di cui all’art. 93 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 prevede, infatti, che sono inseriti nell’elenco di cui  all’articolo  60[20]  coloro  che, alla data di entrata in vigore del decreto stesso (?, dal d.m. sappiamo che si tratta del 30 dicembre 2022), sono in possesso di almeno uno dei seguenti requisiti:

        “a) avere completato una formazione alla giustizia  riparativa  ed essere in possesso di una esperienza  almeno  quinquennale,  anche  a titolo volontario  e  gratuito,  acquisita  nel  decennio  precedente presso  soggetti  specializzati  che  erogano  servizi  di  giustizia riparativa, pubblici o privati, convenzionati con il Ministero  della giustizia ovvero che operano in virtù di protocolli  di  intesa  con gli uffici giudiziari o altri enti pubblici;

        b) avere completato una formazione teorica e pratica, seguita  da tirocinio, nell’ambito della giustizia riparativa in materia  penale, equivalente o superiore a quella prevista dal presente decreto;

        c) prestare servizio presso i servizi minorili della giustizia  o gli  uffici  di  esecuzione  penale  esterna,  avere  completato  una adeguata formazione alla giustizia riparativa ed essere  in  possesso di adeguata esperienza almeno quinquennale acquisita in  materia  nel decennio precedente.

      2. L’inserimento nell’elenco, ai sensi del comma 1, è  disposto a seguito della  presentazione,  a  cura  dell’interessato,  di  idonea documentazione comprovante il possesso dei requisiti e, nel  caso  di cui  alla  lettera  b),  previo  superamento  di  una  prova  pratica valutativa, il cui onere finanziario è a  carico  dei  partecipanti, come da successiva regolamentazione a mezzo di decreto  del  Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’università e della ricerca.

      3. Con il medesimo  decreto  di  cui  al  comma  2  sono  stabilite altresì le modalità di svolgimento e valutazione della prova di cui al comma 2, nonché di inserimento nell’elenco di cui ai commi 1 e 2.”

    Per comprendere pienamente questa norma si deve scorrere il tenore del DECRETO 9 giugno 2023 (23A03848) che la attua.

    I requisiti di cui alla lettera a) dell’art. 93 bisogna averli ottenuti prima del 30 dicembre 2022 e basta una certificazione[21] da soggetti ed enti pubblici o privati eroganti formazione specialistica nella materia, o istituzioni universitarie o ancora da soggetti specializzati che erogano servizi di giustizia riparativa, pubblici o privati convenzionati con Ministero.

    Lo stesso termine del 30 dicembre 2022 e della relativa certificazione è previsto per la lettera b), ma il decreto ministeriale ha “cambiato le carte in tavola” non prevedendo 240 ore di corso e 100 ore di tirocinio, ma altri requisiti, ossia 480 di corso e 200 ore di tirocinio. Il possesso altresì del requisito di cui all’art. 93, comma 2, seconda ipotesi[22], del decreto legislativo, è comprovato dall’interessato mediante l’attestazione, con giudizio di idoneità, del superamento della prova pratica-valutativa di 6 ore davanti ad una commissione[23].

    Il che rende francamente quasi impossibile che ci possano essere molti soggetti di cui alla lettera b) dell’art. 93 che alla data del 30 dicembre 2022 abbiano già i requisiti previsti nel giugno 2023 e pubblicati nel luglio 2023.

    Per la lettera c), ovvero i prestatori di “servizio presso i servizi minorili della giustizia  o gli  uffici  di  esecuzione  penale  esterna” sono sufficienti certificazioni ed attestazioni[24]. In quest’ultimo caso si potrebbe, tra l’altro, anche dubitare della terzietà del mediatore appartenente all’amministrazione (un po’ come nella defunta mediazione tributaria).

    In ogni caso realisticamente si può immaginare che i mediatori iscritti in elenco saranno prevalentemente quelli di cui alla lettera a) che hanno ottenuto i requisiti prima del 30 dicembre 2022 e quelli della lettera c).

    Ovvero i mediatori penali già in servizio per cui è stata operata una sorta di “sanatoria”.

    Si aggiunga che tali mediatori dovranno presentare  domanda di iscrizione all’elenco ministeriale, a pena di inammissibilità, entro sei mesi dalla data di approvazione del modello di domanda di cui all’art. 11, comma 1: il modello che non è ancora stato approvato[25]. Allo stato, dunque, nessuno ha potuto fare alcuna domanda.

    Ma ciò che è stabilito dalla norma transitoria nei casi a) e c) non  coprirà di certo il fabbisogno.

    E a dire il vero, già i requisiti  dell’art. 59 del decreto legislativo 150/22 per chiedere l’inserimento nell’elenco dei mediatori penali (240 ore e 100 ore di tirocinio), erano forse troppo stringenti, almeno in partenza, in relazione a quello che è il contesto italiano della mediazione penale. Figuriamoci ora.

    La somma dei soggetti che, istituito l’elenco potrebbero entrarvi, presumibilmente non supererà le cento unità.

    Il fatto che il Ministero si affidi oggi a chi ha già esperienza in materia può stare nella natura delle cose perché il servizio parta, ma il problema è come affrontare la presumibile domanda di programmi riparativi che si svilupperà nei prossimi mesi ed anni con un percorso di specializzazione così lungo e certamente non poco costoso.

    E siccome i mediatori esperti formatori sono coinvolti anche nella formazione e nella valutazione ci si chiede come faranno ad affrontare tutte le sfide.

    • Il nuovo percorso di formazione per il mediatore penale

    Il nuovo percorso di formazione disegnato dal d.m. 9 giugno 2023[26] anche per coloro di cui alla lettera b) dell’art. 93 (ossia della norma transitoria) è presto e sinteticamente descritto.  

    Il percorso di formazione sarà gestito dalle Università in collaborazione coi centri riparativi.

    Il titolo necessario per diventare mediatori penali sarà almeno la laurea.

    Le classi di aspiranti mediatori esperti saranno formate da 25 persone al massimo.

    Sarà richiesta una prova di ammissione che  verrà organizzata dalle Università. In relazione a detta prova il candidato deve presentare il curriculum e una lettera motivazionale.

    La prova consiste in un colloquio pubblico, da svolgersi in presenza, volto a valutare il contenuto della documentazione prodotta, nonché  il livello di cultura generale e le attitudini specifiche del candidato stesso.

    Alla prova sovrintendono congiuntamente almeno due rappresentanti dell’università e un mediatore esperto formatore e la stessa si conclude con l’espressione del giudizio di ammissione o non ammissione alla formazione teorica iniziale.

    La formazione iniziale si suddivide in teorica e pratica.

    La formazione teorica ricomprende  160 ore effettive (10% al massimo di assenze)  oltre alla previsione di seminari specialistici a discrezione dell’Università.

    La formazione di 160 ore avviene in presenza ( solo 1/4 da remoto);  i seminari specialistici possono tenersi anche da remoto (la telecamera in ogni caso deve essere sempre accesa[27]).

    La formazione pratica  è fatta dai centri tramite mediatori esperti formatori ed è di 320 ore e si svolge integralmente in presenza.

    Vi è poi un tirocinio curriculare presso i centri; 200 ore con affiancamento di almeno 10 programmi.

    Si deve ovviamente superare una prova finale.

    La prova finale di valutazione del percorso formativo unitario consiste nella dimostrazione, da parte dei partecipanti alla formazione, della conoscenza completa dei contenuti teorici del percorso, nonché della piena padronanza delle competenze tecnico-pratiche e delle specifiche abilità acquisite nel percorso formativo.

    A entrambe le prove sovrintende una commissione di almeno cinque membri, composta da due formatori teorici e tre mediatori esperti formatori, scelti tra coloro che hanno somministrato il percorso unitario di formazione.

    La prova finale teorica, della durata complessiva non inferiore a quattro ore, da svolgersi in presenza, consiste nella redazione di un testo scritto, elaborato in risposta a un quesito avente a oggetto un tema affrontato nel corso della formazione iniziale, seguita dalla discussione, in forma pubblica, dell’elaborato stesso.

    La prova finale  pratica, della durata complessiva non inferiore a sei ore, da svolgersi in presenza, consiste nella simulazione di un programma, articolato nei differenti momenti e attività di cui lo stesso si compone: segnalazione del caso; gestione delle attività preliminari, tra cui valutazione individualizzata della vittima e della persona indicata come autore dell’offesa, scelta dello stile del linguaggio da utilizzare e attività di informazione nei confronti dei partecipanti; scelta del programma più utile per la gestione del conflitto avente rilevanza penale; raccolta del consenso; conduzione del programma prescelto, con specifico riferimento alla gestione dei rapporti con l’altro mediatore, e eventuali ulteriori mediatori, con la vittima o le vittime del reato, la persona indicata come autore dell’offesa e i loro familiari, con gli altri partecipanti, con l’autorità giudiziaria, con i difensori, gli interpreti e i traduttori, con i servizi della giustizia e del territorio, con l’autorità di pubblica sicurezza e con ogni ulteriore interlocutore sociale; costruzione, ove possibile, dell’accordo riparativo; redazione della relazione e delle ulteriori comunicazioni all’autorità giudiziaria; gestione dell’esito del programma. A mezzo della simulazione, i candidati dimostrano le competenze e abilità acquisite con riferimento a ciascuna delle fasi e delle attività indicate nel primo periodo; alla stessa partecipano, nei differenti ruoli richiesti dal programma, soggetti scelti dalla commissione di cui al comma 3 anche tra partecipanti alla formazione.

    La prova finale (teorica e pratica) si conclude con la valutazione, oggetto di deliberazione a maggioranza, di idoneità o non idoneità del candidato, al quale è rilasciata attestazione relativa all’esito della prova.

    A questo punto il mediatore dovrà essere inserito, a sua richiesta, nell’elenco ministeriale. Il possesso del requisito formativo per l’inserimento è comprovato dall’interessato mediante l’attestazione, con giudizio di idoneità, del superamento della prova finale teorico-pratica della formazione.

    Vi è poi la formazione continua annuale,  assicurata dalle università e dai centri, in collaborazione paritetica (60 ore). E ciò per 50 discenti al massimo (almeno ¾ in presenza); in presenza deve tenersi la parte pratica.

    Il decreto ministeriale ci descrive anche la formazione dei formatori.

    I candidati devono avere una comprovata perizia e professionalità nella materia della giustizia riparativa, derivante dall’esperienza concreta, specifica e continuativa nella conduzione di programmi come mediatore esperto presso uno o più centri, maturata nel corso di almeno cinque anni precedenti la data della richiesta di iscrizione al percorso formativo.

    La formazione iniziale  assicurata da Università e Centri sarà di  80 ore (60 in presenza).

    La formazione continua, sempre in relazione al massimo di 50 partecipanti, sarà di 30 ore annuali in presenza di preferenza (o a telecamera accesa).

    Ovviamente per i primi formatori di mediatori esperti la disciplina sarà diversa[28].

    • Una sintesi delle perplessità

    Rimarchiamo sommessamente che l’art. 59 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 prevede una  “formazione iniziale di almeno duecentoquaranta ore, di cui un terzo dedicato alla formazione teorica e due terzi a quella pratica, seguite da almeno cento ore  di  tirocinio  presso uno dei Centri per la giustizia riparativa di cui all’articolo 63.” Il Decreto Ministeriale porta il tutto a 680 ore.

    La formazione continua  consiste per l’art. 59 “in  non  meno  di  trenta  ore annuali, dedicate all’aggiornamento teorico e pratico,  nonché  allo scambio di prassi nazionali, europee e internazionali.” Il Decreto Ministeriale porta il tutto a 60 ore.

    A livello di mediazione comparata una cosa del genere si riscontra solo nei programmi per mediatori familiari in Francia ed in quella per mediatori civili e commerciali nella Federazione Russa. Al di sopra (forse) ci sono solo percorsi di laurea in Malta e in Lussemburgo.

    Ce lo possiamo permettere con le nostre pendenze?

    Evidentemente no, ma c’è comunque una volontà di blindatura della mediazione penale, una volontà di mantenere un monopolio, peraltro anche palesemente espresso attraverso il divieto ai mediatori civili e commerciali e familiari di diventare mediatori penali.

    E non sappiamo peraltro al momento che cosa il Consiglio di Stato pensi della prescrizione  contenuta nell’art. 9 del decreto 9 giugno 2023 (23A03848): “1. I soggetti che chiedono l’inserimento nell’elenco devono possedere inoltre i seguenti requisiti: a) non essere iscritti all’albo dei mediatori civili, commerciali o familiari;” peraltro si prevede addirittura, in caso di inosservanza, anche la cancellazione d’ufficio dall’elenco (art. 14)[29].

    • Le fonti normative della giustizia riparativa e le incompatibilità

    Tale accanimento non trova alcun appiglio nelle fonti della materia.

    La legge delega (LEGGE 27 settembre 2021 , n. 134) si limita a prevedere al punto 18 lett. f: “disciplinare la formazione dei mediatori esperti in programmi di giustizia riparativa, tenendo conto delle esigenze delle vittime del reato e degli autori del reato e delle capacità di gestione degli effetti del conflitto e del reato nonché del possesso di conoscenze basilari sul sistema penale; prevedere i requisiti e i criteri per l’esercizio dell’attività professionale di mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa e le modalità di accreditamento dei mediatori presso il Ministero della giustizia, garantendo le caratteristiche di imparzialità, indipendenza ed equiprossimità del ruolo;”

    La legge delega, dunque, non pone alcuna incompatibilità, ma si limita a dare al legislatore la seguente indicazione “prevedere i requisiti e i criteri per l’esercizio dell’attività professionale di mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa”.

    Il legislatore delegato (DECRETO LEGISLATIVO 10 ottobre 2022, n. 150) all’art. 59 non pone alcuna forma di incompatibilità ma si limita a prevedere: “Formazione dei mediatori esperti in programmi di giustizia riparativa.

    Non si comprende a livello di principio perché vengano escluse come incompatibili proprio figure – il mediatore civile e commerciale e quello familiare – che hanno proprio nel DNA l’imparzialità, l’indipendenza, la sensibilità e la equiprossimità.

    L’art. 60 c. 2 del decreto legislativo citato prevede che:

    “2. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell’università e della ricerca, da adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, è istituito presso il Ministero della giustizia l’elenco dei mediatori esperti. L’elenco contiene i nominativi dei mediatori esperti, con l’indicazione della eventuale qualifica di formatori. Il decreto stabilisce anche i criteri per la valutazione delle esperienze e delle competenze dei mediatori esperti, al fine dell’ammissione allo svolgimento dell’attività di formazione, nonché i criteri per l’iscrizione e la cancellazione, anche per motivi sopravvenuti, dall’elenco, le modalità di revisione dell’elenco, nonché la data a decorrere dalla quale la partecipazione all’attività di formazione di cui all’articolo 59 costituisce requisito obbligatorio per l’esercizio dell’attività di mediatore esperto. Lo stesso decreto disciplina le incompatibilità con l’esercizio dell’attività di mediatore esperto, nonché i requisiti di onorabilità e l’eventuale contributo per l’iscrizione nell’elenco”.

    Soltanto in quest’ultima norma, dunque, si fa riferimento alla disciplina della incompatibilità. Ma non vi sono indicazioni al proposito. Non si comprende a dire il vero nemmeno perché il decreto legislativo voglia stabilire delle incompatibilità e questo alla luce delle fonti dell’istituto.

    Ma andiamo con ordine.

    È con la Commissione di studio istituita nel 2021 e presieduta da Giorgio Lattanzi che, per la prima volta, la materia della giustizia riparativa si affaccia, in modo organico, nel nostro ordinamento giuridico (24/5/21): tra le proposte di emendamento al Disegno di legge A.C. 2435, la Commissione aveva infatti previsto un nuovo art. 9-quinquies (Giustizia riparativa), ritenendo, in accoglimento delle sollecitazioni dell’allora Ministro della giustizia Cartabia e della dottrina che la legge delega potesse estendersi anche a interventi normativi nuovi, quali, per l’appunto, quelli in tema di giustizia riparativa

    La legge delega n. 134 del 2021 ha recepito e ripreso il testo elaborato dalla Commissione di studio, statuendo, all’art. 1, comma 18, che il Governo, nell’adottare gli schemi di decreti legislativi, introducesse una disciplina organica della giustizia riparativa. La delega in materia è stata esercitata con il decreto legislativo n. 150 del 2022 in duplice direzione: per un verso, prevedendo una disciplina organica della giustizia riparativa; per altro verso, intervenendo sulla legislazione penale vigente con interpolazioni in vari articoli, soprattutto nell’ambito del codice di rito.

    Mentre per l’art. 27 della Costituzione si chiede alla pena di rieducare il reo per la giustizia riparativa si chiede di scommettere, a differenza del diritto penale classico, sulle persone e sulle loro capacità positive, al punto da diventare una giustizia non solo educativa ma anche formativa.

    L’ art. 43 c. 2 d.lgs. 150/22 prevede, infatti, che “I programmi di giustizia riparativa tendono a promuovere il riconoscimento della vittima del reato, la responsabilizzazione della persona indicata come autore dell’offesa e la ricostituzione dei legami con la comunità.”

    Per quale arcano motivo l’esercizio della mediazione civile e commerciale e familiare sarebbe incompatibile con dette finalità?

    Andiamo ora a vedere le fonti internazionali della mediazione penale.

    La Raccomandazione n. R (99)19 Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa adottata il 15/09/1999 – Raccomandazione relativa alla Mediazione in materia penale, che sarà poi sviluppata dalla Raccomandazione del Consiglio d’Europa CM/Rec (2018)8 adottata dal Comitato dei Ministri il 3 ottobre 2018, ai cui principi ed alle cui disposizioni si è attenuto il Governo nell’esercizio delle delega.

    In queste Raccomandazioni il mediatore penale è detto “facilitatore”, ma non compare incompatibilità di alcun genere.

    Si dice che i facilitatori dovrebbero ricevere una formazione iniziale prima di esercitare la giustizia riparativa, come anche una formazione continua.

    Vi è poi da considerare la Decisione quadro 2001/220/GAI del 15 marzo 2001: ciascuno Stato si impegna a definire servizi specializzati che rispondano ai bisogni della vittima in ogni fase del procedimento, adoperandosi affinché non abbia a subire pregiudizi ulteriori e inutili pressioni e affinché sia assicurata l’adeguata formazione professionale degli operatori, mediante la previsione di scadenze temporali vincolanti per le necessarie disposizioni attuative, di ordine legislativo, regolamentare e amministrativo.

    In essa si parla solo di “persona competente”: art. 1 lett. e) “«mediazione nelle cause penali»: la ricerca, prima o durante il procedimento penale, di una soluzione negoziata tra la vittima e l’autore del reato, con la mediazione di una persona competente”.

    Un’altra fonte importante è da riconoscere nei documenti dell’ONU; lo United Nations, “Basic Principles on the Use of Restorative Justice Programmes in Criminal Matters”, ECOSOC Res. 12/2002 n. 15/2002: ribadisce che vittima e autore del reato devono essere trattati in modo paritario.

    Anche qui si parla di facilitatore: “5. “Facilitator” means a fair and impartial third party whose role is to facilitate the participation of victims and offenders in an encounter programme.”

    “17. Facilitators should be recruited from all sections of society and should generally possess good understanding of local cultures and communities. They should be able to demonstrate sound judgement and interpersonal skills necessary to conducting restorative processes.

    18. Facilitators should perform their duties in an impartial manner, based on the facts of the case and on the needs and wishes of the parties. They should always respect the dignity of the parties and ensure that the parties act with respect towards each other.

    19. Facilitators should be responsible for providing a safe and appropriate environment for the restorative process. They should be sensitive to any vulnerability of the parties.

    20. Facilitators should receive initial training before taking up facilitation duties and should also receive in-service training. The training should aim at providing skills in conflict resolution, taking into account the particular needs of victims and offenders, at providing basic knowledge of the criminal justice system and at providing a thorough knowledge of the operation of the restorative programme in which they will do their work.”

    Nessuna incompatibilità è dunque prevista.

    È poi il turno della Direttiva 2012/29/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato. Doveva essere recepita dagli stati entro il 16 novembre 2015.

    Essa definisce la mediazione penale come  «qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale» (art. 2, co. 1, lett. d).

    Si parla di operatori della giustizia riparativa, ma non ci sono norme che li riguardino direttamente, né tanto meno incompatibilità, a parte L’art. 25 comma 4  prevedente che gli Stati membri, « attraverso i loro servizi pubblici o finanziando organizzazioni che sostengono le vittime, incoraggiano iniziative che consentano a coloro che forniscono servizi di assistenza alle vittime e di giustizia riparativa di ricevere un’adeguata formazione, di livello appropriato al tipo di contatto che intrattengono con le vittime, e rispettino le norme professionali per garantire che i loro servizi siano forniti in modo imparziale, rispettoso e professionale».

    E dunque si chiede soltanto che i servizi siano forniti in modo imparziale, rispettoso e professionale, come tutti mediatori di qualunque natura hanno imparato a fornire.

    Veniamo infine alla Dichiarazione di Venezia del COE sul Ruolo della Giustizia riparativa in materia penale 13 e 14 dicembre 2021.

    Si parla solo di un soggetto terzo formato e imparziale (solitamente chiamato mediatore o facilitatore);

    Al punto IV si precisa poi che bisogna “considerare la giustizia riparativa come parte essenziale dei programmi di formazione dei professionisti del diritto, compresi magistrati, avvocati, pubblici ministeri, assistenti sociali, polizia, nonché del personale carcerario e di probation, e riflettere su come includere i principi, i metodi, le pratiche e le garanzie della giustizia riparativa nei programmi universitari e in altri programmi di istruzione post-universitaria per i giuristi, prestando attenzione alla partecipazione della società civile e delle autorità locali e regionali nei processi di giustizia riparativa e rivolgendosi al Consiglio d’Europa quando sono necessari programmi di cooperazione e formazione dei funzionari che attuano la giustizia riparativa;”

    Questa è l’unica norma che valga la pena di essere richiamata sul punto e che va nella direzione dell’inclusione.

    Non possiamo che chiedere dunque al Ministero da quali norme  ha ricavato le incompatibilità predette.

    • Le palesi violazioni dell’art. 9 c. 1 lett. a)  e le ulteriori criticità del decreto ministeriale 9 giugno 2023 (23A03848)

    Il 17 marzo 1791 in Francia fu emanata la Loi du 17 mars 1791 portant suspension de tous les droits d’aides, de toutes les maîtrises et jurandes et établissement des droits de patente.

    L’art. 7 di questa legge è ancora in vigore oggi nel 2023 e prevede che “A partire dal prossimo 1° aprile chiunque sarà libero di esercitare tale commercio o esercitare tale professione, arte o commercio a suo piacimento; ma sarà tenuto a procurarsi preventivamente una licenza, a pagarne il prezzo, e a conformarsi ai regolamenti di polizia che sono o potranno essere emanati[30].”

    In Francia, dunque, in un paese dell’Unione Europea, una norma come quella dell’art. 9 c. 1 lett. a)[31] del d.m. 9 giugno 2023[32] non sarebbe nemmeno concepibile.

    Il Ministero italiano, di un altro paese aderente alla UE, non sembra vece nemmeno aver pensato alle conseguenze sul lato giuridico, oltre che sul lato umano, di escludere i mediatori civili e commerciali e familiari dalla mediazione penale.

    La norma di cui all’art. 9 c. 1 del d.m. 9 giugno 2023 è in primo luogo, così come scritta, comunque inapplicabile.

    L’albo dei mediatori civili e commerciali non è un albo anche se sul sito ministeriale viene indicato in questo modo.

    Mai si parla di Albo nel decreto 180/10. Nella bozza di d.m. del 2 giugno se ne parla con riferimento agli avvocati.

    L’albo dei mediatori non esiste perché, se esistesse l’Istat censirebbe il mediatore civile e commerciale come professione e non lo censisce. Inoltre, se ci fosse un albo qualcuno pagherebbe dei contributi previdenziali e a qualcuno verrebbe pagata la pensione.

    Nemmeno i mediatori familiari sono iscritti ad un albo, ma ad un semplice elenco in tribunale: basta leggere l’art. Art. 473-bis.10 (Mediazione familiare). “- Il giudice può, in ogni momento, informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e invitarle a rivolgersi a un mediatore, da loro scelto tra le persone iscritte nell’elenco formato a norma delle disposizioni di attuazione del presente codice, per ricevere informazioni circa le finalità, i contenuti e le modalità del percorso e per valutare se intraprenderlo.”, o le disposizioni preliminari al Cpc (art. 12-bis e ss.) dove si parla di elenco per ben 8 volte!

    E dunque anche per i mediatori familiari la parola albo non ha alcun senso e non è loro applicabile la previsione di incompatibilità di cui all’art. 9.

    E non ha alcun senso nemmeno per mediatori esteri o italiani che abbiano conseguito i titoli all’estero, dal momento che non risulta allo scrivente che ci sia un paese UE ove i mediatori abbiano un albo.

    In presenza poi di statuizioni provvedimentali che rivestono valenza regolamentare in quanto dirette a trovare applicazione ripetuta nel tempo ad un numero indeterminato di fattispecie, sussiste la regola di irretroattività degli atti a contenuto normativo dettata dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale. Detta regola può ricevere deroga per effetto di una disposizione di legge pari ordinata e non in sede di esercizio del potere regolamentare che è fonte normativa gerarchicamente subordinata. Pertanto, solo in presenza di una norma di legge che a ciò abiliti gli atti e regolamenti amministrativi possono avere efficacia retroattiva[33].

    La giurisprudenza amministrativa ha più volte posto in rilievo che la regola di irretroattività dell’azione amministrativa è espressione dell’esigenza di garantire la certezza dei rapporti giuridici, oltreché del principio di legalità che, segnatamente in presenza di provvedimenti limitativi della sfera giuridica del privato (tali sono quelli introduttivi di prestazioni imposte), impedisce di incidere unilateralmente e con effetto “ex ante” sulle situazioni soggettive del privato (omissis)[34]

    Il decreto ministeriale 9 giugno 2023 (23A03848) non poteva stabilire quindi retroattivamente che determinate categorie di mediatori non possono essere iscritti in elenco. La legge non ha dato al Ministero la potestà in tal senso.

    Inoltre, l’art. 9 c 1 lett a) del decreto ministeriale 9 giugno 2023 (23A03848) viola, prima facie, diverse norme.

    L’art. 43 e 49 del trattato CE che vietano le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro.

    Gli articoli 1 c. 5[35] 4,  l’art. 10[36], l’art. 15 c. 2 lett. b[37], l’art. 18[38], l’art. 20[39], l’art. 25[40] della DIRETTIVA 2006/123/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno[41].

    Sono violati i considerando 5, 12, 34, 42, 44, 65, 68, 83 91 e 101 della medesima DIRETTIVA 2006/123/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno.

    L’art. 9 c 1 lett a) del decreto ministeriale 9 giugno 2023 (23A03848) viola l’art. 2 e 41 della Costituzione italiana.

    L’art. 2 della Costituzione che garantisce ”i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”: l’art. 9 c 1 lett a) in discorso  viola una prescrizione costituzionale, se non una norma al di sopra della Costituzione,  nel momento in cui preclude il diritto al lavoro nel campo della giustizia a soggetti che per avventura e prima della norma in discorso avessero ottenuto la qualifica di mediatore civile e commerciale e di mediatore familiare.

    L’art. 9 c 1 lett a) viola l’art. 41 per cui “L’iniziativa economica privata è libera”. Non  si vede come la qualifica di mediatore civile e commerciale e di mediatore familiare possano incidere sullo svolgimento della mediazione penale contrastando l’utilità sociale o recando danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana (requisiti che vietano appunto una  determinata attività ai sensi dell’art. 41 c. 2).

    Ricordo inoltre che ai sensi dell’art. 35 c. 2 del Codice penale “2. La sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte non può avere una durata inferiore a tre mesi, né superiore a tre anni.”

    Se non ci può essere dunque sospensione superiore a tre anni per i condannati ” per contravvenzione, che sia commessa con abuso della professione, arte, industria, o del commercio o mestiere, ovvero con violazione dei doveri ad essi inerenti, quando la pena inflitta non è inferiore a un anno d’arresto”, come si può impedire addirittura lo svolgimento di una professione o di un’arte, a persone che non siano condannate per alcun reato, e che abbiano anzi delle qualifiche ulteriori rispetto a quella che si voglia conseguire?

    Vi è ancora una palese violazione del decreto legislativo che ha attuato in Italia la DIRETTIVA 2006/123/CE  e dunque il DECRETO LEGISLATIVO 26 marzo 2010 , n. 59 Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno. (10G0080) per quanto riguarda gli articoli 10[42], 11 c. 1 lett. b[43] e 35[44].

    In sintesi, non si può impedire ad un mediatore dei paesi membri che per avventura (nella maggior parte dei paesi UE è assolutamente normale) abbia tutte le qualifiche, né ad un mediatore italiano civile e commerciale,  se non in presenza di ragioni eccezionali ed oggettive che vanno esplicitate, di svolgere la mediazione penale.

    In questo caso non ci sono motivi, di sicurezza (il mediatore è comunque tenuto al segreto professionale) né di indipendenza e di imparzialità già sanciti dalla legge per tali categorie.

    Lo Stato inoltre non può varare norme penali per aggirare gli obblighi della Direttiva.

    Nello stesso senso va la prassi della CGUE[45] per cui impedire l’accesso ad un lavoro od ad una professione, con conseguente impossibilità di partecipare a selezioni pubbliche, concorsi etc. in un altro Stato (o nel proprio) a chi ha conseguito un titolo di studio od un’abilitazione professionale all’estero viola le libertà di circolazione e di movimento nell’UE (artt. 45 e 49 TFUE) e la Direttiva 2005/36/CE così come modificata dal Regolamento 279/2009/CE che disciplinano la materia (ex multis EU:C:2015: 652 e 239).

    Nel caso de quo vi sarebbe inoltre la violazione dell’art. 8[46] della Convenzione dei diritti dell’uomo.

    L’articolo 8 garantisce alle persone una sfera all’interno della quale le stesse possono perseguire liberamente lo sviluppo e la realizzazione della loro personalità (A.-M.V. c. Finlandia, § 76; Brüggemann e Scheuten c. Germania, decisione della Commissione; Federazione nazionale delle associazioni e dei sindacati degli sportivi (FNASS) e altri c. Francia, § 153). La nozione di autonomia personale costituisce un importante principio alla base dell’interpretazione dell’articolo 8 (Christine Goodwin c. Regno Unito [GC], § 90). Nel contesto della “vita privata” la Corte ha ritenuto che, qualora sia in gioco un aspetto particolarmente importante dell’esistenza o dell’identità di una persona, il margine concesso allo Stato sia ristretto (Fedotova e altri c. Russia, § 47)[47].

    La Corte  ha ad esempio deciso che “Il titolo di studio conseguito all’estero, purché equivalente a quello del paese in cui si vuole spenderlo, o da uno straniero nel paese ospitante non può precludergli l’accesso al lavoro o ad una professione per pastoie burocratiche e/o per leggi non chiare: ciò viola la sua privacy (art. 8 Cedu). Infatti, l’annullamento di questo titolo di studio lede la sfera privata della persona (familiare, privata, lavorativa, sociale etc.), dal punto di vista materiale e sostanziale (inner circle) con gravi ripercussioni sul suo benessere, comportando un’indebita lesione dei suoi interessi economici e della sua credibilità professionale.”

    L’art. 9 c. 1 lett. a) del decreto ministeriale 9 giugno 2023 (23A03848) viola dunque anche la Direttiva 2005/36/CE così come modificata dal Regolamento 279/2009/CE nel momento in cui impedisce ad un cittadino europeo ed italiano che avesse conseguito i titoli di mediatore civile e commerciale,  familiare  e penale all’estero di iscriversi all’elenco italiano dei mediatori penali e lede la sua sfera privata ai sensi dell’art. 8 della Convenzione, in quanto la legge non prevede chiaramente che la professione del mediatore civile e commerciale e del mediatore familiare siano ostative all’esercizio della mediazione penale (e come potrebbe!) ed il margine concesso allo Stato è ristretto; non può prevedere senza che vi sia una violazione della Convenzione, che tale divieto sia posto addirittura da una norma regolamentare.

    Ricordo inoltre che con una sentenza  recente il Consiglio di Stato in adunanza plenaria[48] ha respinto l’appello del Ministro dell’Istruzione che voleva impedire a cittadini bulgari di esercitare in Italia la professione di insegnante nella scuola pubblica,  stabilendo che “ la mancanza dei documenti necessari ai sensi del più volte citato art. 13 della direttiva 2005/36/CE non può pertanto essere automaticamente considerata ostativa al riconoscimento della qualifica professionale acquisita in uno Stato membro dell’Unione europea, dovendosi verificare in concreto il livello di competenza professionale acquisito dall’interessato, valutandolo per accertare se corrisponda o sia comparabile con la qualificazione richiesta nello Stato di destinazione per l’accesso alla ‘professione regolamentata’“.

    “La peculiare posizione ora descritta induce a ritenere fondata le richieste delle medesime appellanti di essere sottoposte ad un esame che in concreto accerti il livello delle competenze professionali complessivamente acquisite da ciascuna, all’esito del suo percorso di studi in Italia e della successiva formazione professionale svolta in Bulgaria.

    In conformità con quanto statuito dalla Corte di giustizia sentenza 8 luglio 2021, C-166/20[49] (resa in una vicenda analoga a quella oggetto della presente controversia, in cui il ricorrente aveva maturato la qualificazione professionale necessaria in parte in Patria ed in parte all’estero), il Ministero dell’istruzione è in altri termini tenuto:

    — ad esaminare «l’insieme dei diplomi, dei certificati e altri titoli», posseduti da ciascuna interessata; non, dunque, a «prescindere» dalle attestazioni rilasciate dalla competente autorità dello Stato d’origine, come invece hanno ipotizzato le ordinanze di rimessione;

    — a procedere quindi ad «un confronto tra, da un lato, le competenze attestate da tali titoli e da tale esperienza e, dall’altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalla legislazione nazionale», onde accertare se le stesse interessate abbiano o meno i requisiti per accedere alla ‘professione regolamentata’ di insegnante, eventualmente previa imposizione delle misure compensative di cui al sopra richiamato art. 14 della direttiva.”

    Non si vede dunque come si possa precludere automaticamente e a priori l’iscrizione e un analogo esame “in concreto” a mediatori italiani per il solo fatto che siano civili e commerciali e familiari.

    E ciò senza contare che la norma di legge prevede un percorso di 340 ore, mentre il regolamento arbitrariamente ha elevato il monte ore a 680, ha introdotto una “sanatoria” non prevista da alcuna previsione superiore per i mediatori penali già attivi ed i formatori di mediatori penali, ha infine richiesto in modo retroattivo e illegittimo di aver conseguito per i mediatori “non sanati” determinati requisiti – previsti dallo stesso decreto pubblicato a luglio 2023 –  al 30 dicembre 2022.

    Con ciò si è leso sicuramente anche il legittimo affidamento che cittadini italiani ed europei potevano nutrire nei confronti della disciplina del decreto 150/22.

    Anche il Coa Roma ha, da ultimo. ritenuto che “Il D.M. in questione appare pregiudicare gli interessi dell’Avvocatura con particolare riferimento alle cause di incompatibilità ed ai requisiti soggettivi di onorabilità.” Il Consiglio ha pertanto deliberato di impugnare il Decreto Ministeriale del Ministero della Giustizia emanato il 9 giugno 2023 che istituisce l’elenco mediatori esperti in giustizia riparativa[50].

    La norma di cui L’art. 9 c. 1 lett. a) del decreto ministeriale 9 giugno 2023 (23A03848) è dunque suscettibile di violare anche gli interessi degli avvocati che siano mediatori civili e commerciali e familiari.

    Aggiungerei però che anche la norma di cui all’art. 19 c. 3 mi sembra troppo stringente e dovrebbe essere oggetto di valutazione da parte dell’avvocatura:” 3. I mediatori esperti non possono svolgere la loro attività all’interno del medesimo distretto di corte d’appello in cui esercitano in via prevalente la professione forense gli stessi mediatori esperti ovvero i loro associati di studio, i membri dell’associazione professionale, i soci della società tra professionisti, il coniuge e il convivente, i parenti fino al secondo grado o gli affini entro il primo grado.”

    Personalmente non ne comprendo la ratio, in specie se l’avvocato sia civilista e non penalista. E comunque dal punto di vista logistico ciò impedisce di fatto all’avvocato di fare il mediatore penale.

    Appaiono infine bizzarre le incompatibilità previste delle lettere c) e d) dello stesso art. 19 c. 3 che dispongono: ”c) se il mediatore esperto, il coniuge o il convivente o il figlio di costui è tutore, curatore, procuratore, amministratore di sostegno o datore di lavoro di un partecipante al programma o del mediatore esperto coassegnatario del programma o di una delle parti private del procedimento penale di cui alla lettera a);

     d) se il difensore, il tutore, il procuratore, il curatore, l’amministratore di sostegno di un partecipante al programma o del mediatore esperto coassegnatario del programma o di una delle parti private del procedimento penale di cui alla lettera a) è ascendente, discendente, fratello, sorella, affine nello stesso grado, zio o nipote del mediatore esperto, del suo coniuge o convivente;”.

    Ci si chiede semplicemente come faccia il mediatore esperto coassegnatario ad essere un interdetto, mentre i mediatori civili e commerciali e familiari non possono, per il Ministero, fare i mediatori penali

    Alla fine di questa nota non si può che chiedere al Governo e/o al legislatore di intervenire nella maniera che riterrà più appropriata a tutela della riforma che è stata appena varata, dei suoi protagonisti e della mediazione, prima che la vicenda finisca al Tar del Lazio.


    [1] https://www.giustizia.it/giustizia/page/it/centri_per_la_giustizia_minorile

    [2] https://dgpj.justica.gov.pt/Portals/31/GRAL_Media%E7%E3o/Lista_mediadores_SMP_24.02.2020.pdf

    [3] Sentire ciò che l’altro sente, senza assumere una posizione favorevole o contraria, di simpatia o di antipatia, rispetto al sentire dell’altro (MORINEAU).

    [4] Nella concretezza del loro essere, dei loro bisogni, dei loro rapporti esistenziali, individuali e sociali, tornando a rendersi reciprocamente protagonisti — se possibile — della ricomposizione della trama della esistenza individuale e sociale (PALAZZO).

    [5] La vergogna è portatrice di umanità e di dignità.

    [6] Sullo Schema di decreto del Ministro della giustizia concernente: “Regolamento relativo alla disciplina del trattamento dei dati personali da parte dei Centri per la giustizia riparativa, ai sensi del articolo 65, comma 3, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”;

    [7] “Inoltre, il comma 2-bis, aggiunto dall’articolo art. 5-novies, comma 1, decreto legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, ha previsto che le novelle introdotte nel codice penale e nel codice di procedura penale in riferimento alla giustizia riparativa si applicano nei procedimenti penali e nella fase di esecuzione della pena decorsi sei mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo, vale a dire dal 1° luglio 2023, all’evidenza confidando nel rispetto dello stesso termine per l’approvazione del regolamento in esame, a dispetto della tempistica formalmente prevista dall’articolo 65.”

    Art. 5-novies

     (Modifica all’articolo 92 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, recante disposizioni  transitorie  in  materia  di  giustizia  riparativa). 

       1. All’articolo 92 del decreto legislativo 10  ottobre  2022,  n. 150, dopo il comma 2 è aggiunto il seguente:

      “2-bis. Le disposizioni in materia di giustizia riparativa  di  cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), lettera h), numero 2), e lettera l), all’articolo 5, comma 1, lettera e), numero  5),  e  lettera  f), all’articolo 7, comma  1,  lettera  c),  all’articolo  13,  comma  1, lettera  a),  all’articolo  18,  comma  1,  lettera  c),  numero  2), all’articolo 19, comma 1, lettera a),  numero  1),  all’articolo  22, comma 1, lettera e), numero 3), lettera f) e lettera l),  numero  2), all’articolo 23, comma 1, lettera a), numero 2), e lettera n), numero 1), all’articolo 25, comma 1, lettera d), all’articolo 28,  comma  1, lettera b), numero 1), lettera c), all’articolo 29, comma 1,  lettera a), numero 4), all’articolo 32,  comma  1,  lettera  b),  numero  1), lettera  d),  all’articolo  34,  comma  1,  lettera  g),  numero  3), all’articolo 38, comma 1,  lettera  a),  numero  2),  e  lettera  c), all’articolo 41, comma 1,  lettera  c),  all’articolo  72,  comma  1, lettera a), all’articolo 78,  comma  1,  lettera  a),  lettera  b)  e lettera c), numero 2), all’articolo 83, comma 1, e  all’articolo  84, comma 1, lettere a) e b), si  applicano  nei  procedimenti  penali  e nella fase dell’esecuzione della pena decorsi sei mesi dalla data  di entrata in vigore del presente decreto”.

    In particolare, l’art. 5-novies della LEGGE 30 dicembre 2022, n. 199 ha introdotto una modifica importante in materia di giustizia riparativa integrando il dettato dell’art. 92 del decreto legislativo 150/22. Per l’art. 6 del decreto 162/22 convertito appunto nella LEGGE 30 dicembre 2022, n. 199, entra invece in vigore il 30.12.22 la disciplina organica della giustizia riparativa (da art. 42 a 67) ai sensi dell’introdotto 99-bis del decreto 150/22 Entrano invece in vigore al 1° luglio 2023 tutte le applicazioni della giustizia riparativa (26 norme).

    In dettaglio non entrano in vigore a fine al 1° luglio  2023 le seguenti modifiche o integrazioni:

    1)            Il Codice penale (articoli 62 e 152).

    2)            Il Codice di procedura penale ( articoli 90-bis, 90 bis-1 (nuovo), 129 bis (nuovo), 293, 369, 386, 408, 409, 415 bis, 419, 429, 447, 460, 464 bis,  552, 656, 660).

    3)            Le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del Codice di procedura penale con l’introduzione di un solo articolo: il 45-ter.

    4)            la Legge 26 luglio 1975, n. 354 (legge sull’ordinamento penitenziario): art. 13, 15-bis (nuovo) e 47.

    5)            Il Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni): art. 28

    6)            Il Decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121 (Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni) : art. 1 c. 2, art. 1-bis (nuovo).

    [8] https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.page?contentId=SST1288006&previsiousPage=mg_1_14#

    [9] Considerando  n. 46 della direttiva n. 2012/29/UE.

    [10] Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché’ in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari. (22G00159). (GU n.243 del 17-10-2022 – Suppl. Ordinario n. 38)

    https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2022-10-10;150

    [11] DECRETO 9 giugno 2023

    Disciplina delle forme e dei tempi della formazione finalizzata a conseguire la qualificazione di mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa nonché delle modalità di svolgimento e valutazione della prova di ammissione alla formazione ed altresì della prova conclusiva della stessa. (23A03847) (GU n.155 del 5-7-2023)

    DECRETO 9 giugno 2023

    Istituzione presso il Ministero della giustizia dell’elenco dei mediatori esperti in giustizia riparativa. Disciplina dei requisiti per l’iscrizione e la cancellazione dall’elenco, del contributo per l’iscrizione allo stesso, delle cause di incompatibilità, dell’attribuzione della qualificazione di formatore, delle modalità di revisione e vigilanza sull’elenco, ed infine della data a decorrere dalla quale la partecipazione all’attività di formazione costituisce requisito obbligatorio per l’esercizio dell’attività. (23A03848) (GU n.155 del 5-7-2023)

    [12] Art. 59

     Formazione dei mediatori esperti in programmi di giustizia riparativa

       1. La formazione  dei  mediatori  esperti  assicura  l’acquisizione delle conoscenze, competenze, abilità e  dei  principi  deontologici necessari a svolgere, con imparzialità,  indipendenza,  sensibilità ed equiprossimità, i programmi di giustizia riparativa.

      2. I mediatori esperti ricevono una formazione iniziale e continua.

      3. La formazione iniziale consiste in almeno duecentoquaranta  ore, di cui un terzo dedicato alla formazione teorica e due terzi a quella pratica, seguite da almeno cento ore  di  tirocinio  presso  uno  dei Centri per la giustizia riparativa di cui all’articolo 63.

     4. La formazione continua  consiste  in  non  meno  di  trenta  ore annuali, dedicate all’aggiornamento teorico e pratico,  nonché  allo scambio di prassi nazionali, europee e internazionali.

      5. La formazione teorica fornisce conoscenze su principi, teorie  e metodi  della  giustizia  riparativa,  nonché  nozioni  basilari  di diritto penale, diritto processuale  penale,  diritto  penitenziario, diritto minorile,  criminologia,  vittimologia  e  ulteriori  materie correlate.

      6. La formazione pratica mira a sviluppare capacità di  ascolto  e di relazione e  a  fornire  competenze  e  abilità  necessarie  alla gestione  degli  effetti  negativi  dei  conflitti,   con   specifica attenzione  alle  vittime,  ai  minorenni  e   alle   altre   persone vulnerabili.

      7. La formazione pratica  e  quella  teorica  sono  assicurate  dai Centri per la giustizia riparativa e dalle Università che operano in collaborazione, secondo le rispettive competenze. Ai  Centri  per  la giustizia  riparativa  è  affidata  in  particolare  la   formazione pratica, che viene impartita attraverso  mediatori  esperti  iscritti nell’elenco di cui all’articolo  60  i  quali  abbiano  un’esperienza almeno quinquennale nei servizi per la giustizia riparativa  e  siano in possesso di comprovate competenze come formatori.

      8. L’accesso ai corsi è subordinato al possesso di  un  titolo  di studio non inferiore alla laurea e al superamento  di  una  prova  di ammissione culturale e attitudinale.

      9. I partecipanti al corso di formazione acquisiscono la  qualifica di mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa in  seguito al superamento della prova finale teorico-pratica.

      10. Con decreto del Ministro della giustizia, adottato di  concerto con il Ministro del  lavoro  e  delle  politiche  sociali  e  con  il Ministro dell’università e della ricerca, entro sei mesi dalla  data di entrata in vigore del presente decreto, sono disciplinati le forme e i tempi della formazione pratica e  teorica  di  cui  al  comma  7, nonché le modalità delle prove di cui ai commi 8 e 9. Gli oneri per la partecipazione alle attività di formazione ed alla  prova  finale teorico-pratica sono posti a carico dei partecipanti.

    [13] Cfr. La voce GIUSTIZIA RIPARATIVA nell’Enciclopedia del Diritto, col. 464 ess. 2017.

    [14] Sezione 10 Laki rikosasioiden ja eräiden riita-asioiden sovittelusta 9.12.2005/1015

    https://www.finlex.fi/fi/laki/ajantasa/2005/20051015

    [15] Kehittämispäällikkö Henrik, Elonheimo, THL, SOVITTELUN TULEVAISUUS: KOHTI PROFESSIOTA? Sovittelijapäivät 7.2.2019 https://thl.fi/documents/10531/2388936/Sovittelijap%C3%A4iv%C3%A4t+

    Elonheimo+2019+uusi+versio+FINALpptx.pdf/c9766275-64a7-4426-a989-

    75fb3860cae5

    [16] https://mediator.org.pl/zostan-mediatorem/kursy-szkolenia-z-mediacji/

    [17] E  pure altre categorie: v. art. 19 del Decreto 9 giugno 2023  (23A03848).

    [18] Sorge spontaneo domandarsi il perché il Consiglio di Stato sia stato investito solo degli aspetti relativi alla privacy e non di quelli sostanziali, sulla base di un Regolamento che ad oggi non è stato ancora pubblicato in Gazzetta ( “Regolamento relativo alla disciplina del trattamento dei dati personali da parte dei Centri per la giustizia riparativa, ai sensi del articolo 65, comma 3, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”).

    [19] DECRETO 9 giugno 2023

    Istituzione presso il Ministero della giustizia dell’elenco dei mediatori esperti in giustizia riparativa. Disciplina dei requisiti per l’iscrizione e la cancellazione dall’elenco, del contributo per l’iscrizione allo stesso, delle cause di incompatibilità, dell’attribuzione della qualificazione di formatore, delle modalità di revisione e vigilanza sull’elenco, ed infine della data a decorrere dalla quale la partecipazione all’attività di formazione costituisce requisito obbligatorio per l’esercizio dell’attività. (23A03848) (GU n.155 del 5-7-2023)

    [20] Requisiti per l’esercizio dell’attività di mediatore esperto. Elenco dei mediatori esperti

       1. Oltre alla qualifica  di  cui  all’articolo  59,  comma  9,  per l’esercizio dell’attività  di  mediatore  esperto  in  programmi  di giustizia riparativa è necessario l’inserimento nell’elenco  di  cui al comma 2.

      2. Con decreto del Ministro della giustizia,  di  concerto  con  il Ministro del lavoro e delle  politiche  sociali  e  con  il  Ministro dell’università e della ricerca, da adottarsi entro sei  mesi  dalla data di entrata in vigore del presente decreto, è  istituito  presso il Ministero della giustizia l’elenco dei mediatori esperti. L’elenco contiene i nominativi dei mediatori esperti, con l’indicazione  della eventuale qualifica di  formatori.  Il  decreto  stabilisce  anche  i criteri per la valutazione delle esperienze e  delle  competenze  dei mediatori  esperti,  al   fine   dell’ammissione   allo   svolgimento dell’attività di formazione, nonché i criteri per l’iscrizione e la cancellazione,  anche  per  motivi  sopravvenuti,   dall’elenco,   le modalità di revisione dell’elenco, nonché’ la data a decorrere dalla quale  la  partecipazione  all’attività   di   formazione   di   cui all’articolo 59 costituisce requisito  obbligatorio  per  l’esercizio dell’attività di mediatore esperto. Lo stesso decreto disciplina  le incompatibilità con l’esercizio dell’attività di mediatore esperto, nonché i requisiti di  onorabilità  e  l’eventuale  contributo  per l’iscrizione nell’elenco.

      3. L’istituzione  e  la  tenuta  dell’elenco  di  cui  al  comma  2 avvengono nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e  strumentali già esistenti  e  disponibili  a  legislazione  vigente,  presso  il Ministero della giustizia,  senza  nuovi  o  maggiori  oneri  per  il bilancio dello Stato.

    [21] Art. 5

    Requisiti per l’inserimento nell’elenco ai sensi dell’art. 93, comma  1, lettera a), del decreto legislativo

     1. Il possesso dei requisiti formativi ed esperienziali per l’inserimento nell’elenco ai sensi degli articoli 60, comma 1, e 93, comma 1, lettera a) del decreto legislativo è attestato dall’interessato mediante:

     a) certificazione, rilasciata da soggetti ed enti pubblici o privati eroganti formazione specialistica nella materia, o

    istituzioni universitarie, comprovante il conseguimento, alla data del 30 dicembre 2022, di una formazione completa alla giustizia riparativa, analoga a quella di cui all’art. 59, commi 5 e 6, del decreto legislativo, ed altresì attestante le modalità di svolgimento dell’attività formativa teorica e pratica. La formazione attestata nella certificazione può comprendere la frequenza di corsi, la partecipazione a seminari e convegni nonché attività laboratoriali ed esperienziali, anche con l’utilizzo di esercitazioni pratiche di progettazione e sperimentazione della conduzione dei diversi programmi di giustizia riparativa, in riferimento a tutte le fasi dei distinti percorsi; discussioni guidate; analisi e discussioni di casi; giochi di ruolo; simulazioni; esercizi di risoluzione di problemi; esercizi di ascolto attivo; esercizi di comunicazione non verbale; sollecitazioni metaforiche; visione guidata di materiale audio-video; ascolto di testimonianze;

     b) certificazione, rilasciata da soggetti specializzati che erogano servizi di giustizia riparativa, pubblici o privati, i quali, alla data del 30 dicembre 2022, risultavano convenzionati con il Ministero della giustizia ovvero che alla medesima data risultavano operare in virtu’ di protocolli di intesa con gli uffici giudiziari o altri enti pubblici. La certificazione reca l’indicazione della convenzione o del protocollo, ed attesta il possesso, nell’arco del decennio precedente il 30 dicembre 2022, di un’esperienza nella conduzione di programmi, anche a titolo volontario e gratuito, presso i soggetti suindicati, della durata di almeno cinque anni, di cui tre consecutivi. A tal fine, la certificazione contiene: l’elenco dei programmi effettivamente svolti dall’interessato nel periodo indicato, tra quelli di cui all’art. 53, comma 1, lettere a), b) e c) del decreto legislativo; la loro tipologia e durata; la specifica indicazione di quelli gestiti in via esclusiva o quale componente operativo di un gruppo di lavoro.

    [22] “…previo  superamento  di  una  prova  pratica valutativa, il cui onere finanziario è a  carico  dei  partecipanti, come da successiva regolamentazione a mezzo di decreto  del  Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’università e della ricerca.”

    [23] Art. 8

     Prova pratico-valutativa

     1. La prova pratico-valutativa di cui all’art. 93, comma 2, seconda ipotesi, del decreto legislativo, è organizzata, nell’ambito della collaborazione di cui all’art. 3, comma 2, del decreto ministeriale previsto dall’art. 59, comma 10, del decreto legislativo, dalle università e dai centri che individuano altresì le modalità attraverso le quali vengono sostenuti dai candidati gli oneri finanziari della prova.

     2. Alla stessa accedono esclusivamente i soggetti in possesso del requisito formativo di cui all’art. 93, comma 1, lettera b) del decreto legislativo, attestato nelle forme di cui all’art. 6, comma 1 e 3 del presente decreto. Alla prova sovrintende una commissione di almeno cinque membri, composta da due formatori teorici e tre mediatori esperti formatori, scelti nell’ambito della collaborazione di cui al comma 1.

    3. La prova consiste nella dimostrazione, da parte dei candidati, della piena padronanza delle competenze tecnico-pratiche e delle specifiche abilità acquisite nel percorso formativo effettuato. La stessa, in particolare, mira a valutare, ai sensi dell’art. 59, comma

    6, del decreto legislativo, il possesso, in capo ai candidati stessi, di capacità di ascolto e di relazione, nonché’ delle seguenti competenze, abilità e capacità necessarie alla gestione degli effetti negativi dei conflitti:

     a) consapevolezza dei propri conflitti e danni, cagionati e subiti;

     b) piena padronanza delle pratiche e delle tecniche della mediazione, del dialogo riparativo e di ogni altro programma dialogico di cui all’art. 53, comma 1, lettera c), del decreto legislativo;

     c) sensibilità specifica per i peculiari ambiti applicativi della giustizia riparativa, tra cui quelli relativi ai reati più gravi o commessi in contesti di criminalità organizzata o altresì con vittime minorenni o altrimenti vulnerabili;

     d) capacità di discernimento del programma più idoneo al caso concreto e abilità di seguirne integralmente il relativo percorso, gestendone con competenza ogni sua fase;

     e) idoneità al lavoro di gruppo con altri mediatori esperti ed altresì abilità di costruire il gruppo di lavoro idoneo al caso concreto;

     f) specifiche competenze necessarie per operare nell’ambito di un servizio pubblico nonché abilità relazionali e dialogiche funzionali all’interazione anche con i servizi della giustizia, l’autorità giudiziaria, i difensori, i servizi del territorio, le autorità di pubblica sicurezza ed ogni ulteriore interlocutore sociale.

     4. La prova, della durata complessiva non inferiore a sei ore, da svolgersi in presenza, consiste nella simulazione di un programma articolato nei differenti momenti ed attività di cui lo stesso si compone: segnalazione del caso; gestione delle attività preliminari, tra cui valutazione individualizzata della vittima e della persona indicata come autore dell’offesa, scelta dello stile del linguaggio da utilizzare e attività di informazione nei confronti dei partecipanti; scelta del programma più utile per la gestione del conflitto avente rilevanza penale; raccolta del consenso; conduzione del programma prescelto, con specifico riferimento alla gestione dei rapporti con l’altro mediatore, ed eventuali ulteriori mediatori, con la vittima o le vittime del reato, la persona indicata come autore dell’offesa e i loro familiari, con gli altri partecipanti, con l’autorità giudiziaria, con i difensori, gli interpreti ed i traduttori, con i servizi della giustizia e del territorio, con l’autorità di pubblica sicurezza e con ogni ulteriore interlocutore sociale; costruzione, ove possibile, dell’accordo riparativo; redazione della relazione e delle ulteriori comunicazioni all’autorità giudiziaria; gestione dell’esito del programma. A mezzo della simulazione in questione, i candidati dimostrano le competenze e abilità acquisite con riferimento ad ognuna delle fasi e delle attività indicate al capoverso che precede. Alla simulazione partecipano, nei differenti ruoli richiesti dal programma, soggetti scelti dalla commissione di cui al comma 2, secondo periodo.

     5. La prova finale si conclude con la valutazione, debitamente attestata, di idoneità o non idoneità del candidato.

     6. Nell’organizzazione, svolgimento e valutazione della prova si tiene conto delle peculiari esigenze dei candidati portatori di disabilità o di disturbi specifici dell’apprendimento – DSA, ove debitamente documentati, e si provvede ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e della legge 8 ottobre 2010, n. 170, nonché dell’art. 3, comma 4-bis, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, e del decreto del 9 novembre 2021 della Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento della funzione pubblica.

    [24] Art. 7

    Requisiti per l’inserimento nell’elenco ai sensi dell’art. 93, comma  1, lettera c), del decreto legislativo

     1. Il possesso dei requisiti formativi ed esperienziali per l’inserimento nell’elenco ai sensi dell’art. 93, comma 1, lettera c) del decreto legislativo, è attestato dall’interessato mediante:

     a) documentazione, presentata ai sensi degli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante il servizio prestato presso i servizi minorili della giustizia o presso gli uffici di esecuzione penale esterna alla data del 30 dicembre 2022, ed ancora in essere all’epoca di presentazione della domanda;

     b) certificazione, rilasciata da soggetti ed enti pubblici o privati eroganti formazione specialistica nella materia o istituzioni universitarie, comprovante il conseguimento, alla data del 30 dicembre 2022, di una adeguata formazione alla giustizia riparativa, analoga a quella di cui all’art. 59, commi 5 e 6, del decreto legislativo, ed altresì attestante le modalità di svolgimento dell’attività formativa teorica e pratica. La formazione attestata nella certificazione può comprendere la frequenza di corsi, la partecipazione a seminari e convegni nonché’ attività laboratoriali ed esperienziali, anche con l’utilizzo di esercitazioni pratiche di progettazione e sperimentazione della conduzione dei diversi programmi di giustizia riparativa, in riferimento a tutte le fasi dei distinti percorsi; discussioni guidate; analisi e discussioni di casi; giochi di ruolo; simulazioni; esercizi di risoluzione di problemi; esercizi di ascolto attivo; esercizi di comunicazione non verbale; sollecitazioni metaforiche; visione guidata di materiale audio-video; ascolto di testimonianze;

     c) apposita certificazione, attestante il possesso di un’esperienza acquisita nella medesima materia mediante il servizio prestato presso gli uffici di cui alla lettera a), della durata di almeno cinque anni, di cui tre consecutivi, nell’arco del decennio precedente il 30 dicembre 2022. A tal fine, la certificazione contiene: l’elenco dei programmi effettivamente svolti, tra quelli di cui all’art. 53, comma 1, lettere a), b) e c) del decreto legislativo, nel periodo indicato e nell’ambito del servizio prestato dall’interessato; la tipologia e durata di ogni singolo programma; la specifica indicazione di quelli gestiti in via esclusiva o quale componente operativo di un gruppo di lavoro.

    [25] 1. La domanda di iscrizione nell’elenco dei mediatori esperti istituito in conformità all’art. 3 è presentata utilizzando i modelli uniformi predisposti dal responsabile, resi disponibili salsito del Ministero ed è trasmessa al Ministero stesso, unitamente alla documentazione indicata da ciascun modello, in via telematica, mediante utilizzo di posta elettronica certificata o altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato.

    [26] DECRETO 9 giugno 2023

    Disciplina delle forme e dei tempi della formazione finalizzata a conseguire la qualificazione di mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa nonché delle modalità di svolgimento e valutazione della prova di ammissione alla formazione ed altresì della prova conclusiva della stessa. (23A03847)

    (GU n.155 del 5-7-2023)

    [27] È curioso che questo requisito non si precisi anche nella bozza di d.m. del 2 giugno per i mediatori civili e commerciali.

    [28] Cfr. art. 10 DECRETO 9 giugno 2023 (23A03848).

    [29] Vi sono poi anche situazioni soggettive definite “incompatibilità” dal decreto su cui si potrebbe discutere e si discuterà nei prossimi giorni.

    Art. 19

     Cause di incompatibilità

     1. Non possono esercitare l’attività di mediatore esperto:

     a) i membri del Parlamento nazionale, i membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, i membri del Governo;

     b) i membri delle giunte degli enti territoriali, nonché i consiglieri regionali, provinciali, comunali e municipali, all’interno del distretto di corte d’appello in cui hanno sede gli enti presso i quali i predetti svolgono il loro mandato;

     c) coloro che ricoprono o che hanno ricoperto, nei tre anni precedenti alla domanda di iscrizione nell’elenco, incarichi direttivi o esecutivi in partiti o movimenti politici o nelle associazioni sindacali maggiormente rappresentative;

     d) coloro che ricoprono la carica di difensore civico;

     e) coloro che ricoprono la carica di Autorità garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale e di garante territoriale dei diritti dei detenuti.

     2. Non possono esercitare l’attività di mediatore esperto, all’interno del distretto di corte d’appello in cui svolgono a qualsiasi titolo le loro funzioni, i magistrati onorari. Tale incompatibilità è limitata al periodo di effettivo esercizio delle funzioni per i giudici popolari della corte d’assise e per gli esperti delle sezioni specializzate agrarie.

     3. I mediatori esperti non possono svolgere la loro attività all’interno del medesimo distretto di corte d’appello in cui esercitano in via prevalente la professione forense gli stessi mediatori esperti ovvero i loro associati di studio, i membri dell’associazione professionale, i soci della società tra professionisti, il coniuge e il convivente, i parenti fino al secondo grado o gli affini entro il primo grado.

     4. Sussiste altresì incompatibilità con l’esercizio dell’attività di mediatore esperto, in relazione al singolo programma:

     a) se il mediatore esperto, il suo coniuge o convivente, uno dei suoi ascendenti, discendenti, fratelli, sorelle, affini nello stesso grado, zii e nipoti hanno interesse nel programma relativo al procedimento penale, nelle ipotesi previste dall’art. 44, commi 2 e 3, del decreto legislativo, o nel procedimento penale stesso;

     b) se un partecipante al programma, il mediatore esperto coassegnatario del programma o una delle parti private o dei difensori del procedimento penale di cui alla lettera a) è debitore o creditore del mediatore esperto, del coniuge o del convivente o del figlio del mediatore stesso;

     c) se il mediatore esperto, il coniuge o il convivente o il figlio di costui è tutore, curatore, procuratore, amministratore di sostegno o datore di lavoro di un partecipante al programma o del mediatore esperto coassegnatario del programma o di una delle parti private del procedimento penale di cui alla lettera a);

     d) se il difensore, il tutore, il procuratore, il curatore, l’amministratore di sostegno di un partecipante al programma o del mediatore esperto coassegnatario del programma o di una delle parti private del procedimento penale di cui alla lettera a) è ascendente, discendente, fratello, sorella, affine nello stesso grado, zio o nipote del mediatore esperto, del suo coniuge o convivente;

     e) se vi è inimicizia grave fra un partecipante al programma o una delle parti private del procedimento penale di cui alla lettera a) e uno dei seguenti soggetti: il mediatore esperto; il coniuge o il convivente dello stesso; gli ascendenti, i discendenti, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti del mediatore esperto;

     f) se è partecipante al programma o comunque vittima del reato o offeso o danneggiato dal reato o parte privata del procedimento penale di cui alla lettera a) uno dei seguenti soggetti: ascendenti, discendenti, fratelli, sorelle, affini nello stesso grado, zii e nipoti del mediatore esperto o del suo coniuge o convivente;

     g) in ogni caso in cui è partecipante al programma persona alla quale il mediatore esperto è legato da un rapporto personale o professionale.

     5. Il mediatore esperto non può altresì ricoprire il ruolo di partecipante in un programma che si svolga presso il Centro per il quale costui presta la propria opera.

     6. Chi ha svolto la funzione di mediatore esperto non può intrattenere rapporti professionali di qualsiasi genere con alcuno dei partecipanti al programma prima che siano decorsi due anni dalla conclusione dello stesso.

     7. Il mediatore esperto, all’atto dell’affidamento di un caso, rilascia una dichiarazione di impegno, dallo stesso sottoscritta, diretta al responsabile del Centro, nella quale dichiara espressamente, ai sensi degli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, di non versare in alcuna delle cause di incompatibilità di cui ai commi 1, 2, 3, 4 e 5 del presente decreto. Laddove la causa di incompatibilità sussista, il mediatore esperto lo dichiara per iscritto nelle forme di cui al primo periodo del presente comma ed è tenuto ad astenersi dal seguire il programma.

    8. Il responsabile ha facoltà di accertare la veridicità delle dichiarazioni rese dal richiedente ai sensi dell’art. 71 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

     9. La violazione degli obblighi inerenti alle dichiarazioni previsti dal presente articolo, commesse da un mediatore esperto che è pubblico dipendente o professionista iscritto in un albo o collegio professionale, costituisce illecito disciplinare sanzionabile ai sensi delle rispettive normative deontologiche. Il responsabile dell’elenco è tenuto a informarne gli organi competenti.

    [30] A compter du 1er avril prochain, il sera libre à toute personne de faire tel négoce ou d’exercer telle profession, art ou métier qu’elle trouvera bon ; mais elle sera tenue de se pourvoir auparavant d’une patente, d’en acquitter le prix, et de se conformer aux règlements de police qui sont ou pourront être faits.

    [31] Art. 9

     Requisiti soggettivi e di onorabilità

       1.  I  soggetti  che  chiedono  l’inserimento  nell’elenco   devono possedere inoltre i seguenti requisiti:

    1. non essere iscritti all’albo dei mediatori civili, commerciali o familiari;

    (omissis)

    [32] DECRETO 9 giugno 2023

    Istituzione presso il Ministero della giustizia dell’elenco dei mediatori esperti in giustizia riparativa. Disciplina dei requisiti per l’iscrizione e la cancellazione dall’elenco, del contributo per l’iscrizione allo stesso, delle cause di incompatibilità, dell’attribuzione della qualificazione di formatore, delle modalità di revisione e vigilanza sull’elenco, ed infine della data a decorrere dalla quale la partecipazione all’attività di formazione costituisce requisito obbligatorio per l’esercizio dell’attività.(23A03848) (GU n.155 del 5-7-2023)

    [33] Alessandro Del Dotto, L’atto amministrativo è di regola irretroattivo.

    https://www.altalex.com/documents/news/2008/10/09/l-atto-amministrativo-e-di-regola-irretroattivo

    [34] Consiglio di Stato, Sentenza n. 4301/2008.

    [35] 5. La presente direttiva non incide sulla normativa degli Stati membri in materia di diritto penale. Tuttavia, gli Stati membri non possono limitare la libertà di fornire servizi applicando disposizioni di diritto penale che disciplinano specificamente o influenzano l’accesso ad un’attività di servizi o l’esercizio della stessa, aggirando le norme stabilite nella presente direttiva.

    [36] Articolo 10

    Condizioni di rilascio dell’autorizzazione

    1. I regimi di autorizzazione devono basarsi su criteri che inquadrino l’esercizio del potere di valutazione da parte delle autorità competenti affinché tale potere non sia utilizzato in modo arbitrario.

    2. I criteri di cui al paragrafo 1 devono essere:

    a) non discriminatori;

    b) giustificati da un motivo imperativo di interesse generale;

    c) commisurati all’obiettivo di interesse generale;

    d) chiari e inequivocabili;

    e) oggettivi;

    f) resi pubblici preventivamente;

    g) trasparenti e accessibili.

    (omissis)

    [37] 2. Gli Stati membri verificano se il loro ordinamento giuridico subordina l’accesso a un’attività di servizi o il suo esercizio al rispetto dei requisiti non discriminatori seguenti: (omissis)

    b) requisiti che impongono al prestatore di avere un determinato statuto giuridico;

    (omissis)

    [38] Articolo 18

    Deroghe per casi individuali

    1. In deroga all’articolo 16 e a titolo eccezionale, uno Stato membro può prendere nei confronti di un prestatore stabilito in un altro Stato membro misure relative alla sicurezza dei servizi.

    2. Le misure di cui al paragrafo 1 possono essere assunte esclusivamente nel rispetto della procedura di mutua assistenza prevista all’articolo 35 e se sono soddisfatte le condizioni seguenti:

    a) le disposizioni nazionali a norma delle quali sono assunte le misure non hanno fatto oggetto di un’armonizzazione comunitaria riguardante il settore della sicurezza dei servizi;

    b) le misure proteggono maggiormente il destinatario rispetto a quelle che adotterebbe lo Stato membro di stabilimento in conformità delle sue disposizioni nazionali;

    c) lo Stato membro di stabilimento non ha adottato alcuna misura o ha adottato misure insufficienti rispetto a quelle di cui all’articolo 35, paragrafo 2; d) le misure sono proporzionate.

    3. I paragrafi 1 e 2 lasciano impregiudicate le disposizioni che garantiscono la libertà di prestazione dei servizi o che permettono deroghe a detta libertà, previste in atti comunitari.

    [39] Articolo 20

    Non discriminazione

    1. Gli Stati membri provvedono affinché al destinatario non vengano imposti requisiti discriminatori fondati sulla sua nazionalità o sul suo luogo di residenza.

    2. Gli Stati membri provvedono affinché le condizioni generali di accesso a un servizio che il prestatore mette a disposizione del grande pubblico non contengano condizioni discriminatorie basate sulla nazionalità o sul luogo di residenza del destinatario, ferma restando la possibilità di prevedere condizioni d’accesso differenti allorché queste sono direttamente giustificate da criteri oggettivi

    [40] Articolo 25

    Attività multidisciplinari

    1. Gli Stati membri provvedono affinché i prestatori non siano assoggettati a requisiti che li obblighino ad esercitare esclusivamente una determinata attività specifica o che limitino l’esercizio, congiunto o in associazione, di attività diverse.

    Tuttavia, tali requisiti possono essere imposti ai prestatori seguenti:

    a) le professioni regolamentate, nella misura in cui ciò sia giustificato per garantire il rispetto di norme di deontologia diverse in ragione della specificità di ciascuna professione, di cui è necessario garantire l’indipendenza e l’imparzialità;

    b) i prestatori che forniscono servizi di certificazione, di omologazione, di controllo, prova o collaudo tecnici, nella misura in cui ciò sia giustificato per assicurarne l’indipendenza e l’imparzialità.

    2. Quando le attività multidisciplinari tra i prestatori di cui al paragrafo 1, lettere a) e b) sono autorizzate, gli Stati membri provvedono affinché:

    a) siano evitati i conflitti di interesse e le incompatibilità tra determinate attività;

    b) siano garantite l’indipendenza e l’imparzialità che talune attività richiedono;

    c) le regole di deontologia professionale e di condotta relative alle diverse attività siano compatibili tra loro, soprattutto in materia di segreto professionale.

    3. Nella relazione di cui all’articolo 39, paragrafo 1, gli Stati membri precisano i prestatori soggetti ai requisiti di cui al paragrafo 1 del presente articolo, il contenuto dei requisiti e le ragioni per le quali li ritengono giustificati.

    [41] https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2006:376:0036:0068:it:PDF

    [42] Art. 10

        (Libertà di accesso ed esercizio delle attività di servizi)

    1. Nei limiti del presente decreto,  l’accesso  e  l’esercizio  delle attività di servizi  costituiscono  espressione  della  libertà  di iniziativa economica e non possono essere  sottoposti  a  limitazioni non giustificate o discriminatorie.

    [43] Art. 11 (Requisiti vietati)

    1.  L’accesso  ad  un’attività  di  servizi  o  il suo esercizio non possono essere subordinati al rispetto dei seguenti requisiti: (omissis)

    b)  il divieto di avere stabilimenti in più di uno Stato membro o di essere   iscritti  nei  registri  o  ruoli  di  organismi,  ordini  o associazioni professionali di altri Stati membri (omissis)

    [44]    Art. 35 (Attività multidisciplinari)

    1.  I  prestatori  possono  essere  assoggettati  a  requisiti che li obblighino  ad  esercitare  esclusivamente  una determinata attività specifica o che limitino l’esercizio, congiunto o in associazione, di attività diverse solo nei casi seguenti:

    a)   professioni   regolamentate,   nella  misura  in  cui  ciò  sia giustificato  per  garantire  il  rispetto  di  norme  di deontologia diverse in ragione della specificità di ciascuna professione, di cui è necessario garantire l’indipendenza e l’imparzialità;

    b)   prestatori   che   forniscono   servizi  di  certificazione,  di omologazione, di controllo, prova o collaudo tecnici, nella misura in cui   ciò   sia   giustificato   per  assicurarne  l’indipendenza  e l’imparzialità.

    2.  Nei  casi  in  cui  è  consentito lo svolgimento delle attività multidisciplinari di cui al comma 1:

    a)  sono  evitati  i conflitti di interesse e le incompatibilità tra determinate attività;

    b)   sono  garantite  l’indipendenza  e  l’imparzialità  che  talune attività richiedono;

    c)  è  assicurata  la  compatibilità  delle  regole  di deontologia professionale   e   di  condotta  relative  alle  diverse  attività, soprattutto in materia di segreto professionale.

    [45] Corte di giustizia dell’Unione europea

    [46] 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

    2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.”

    [47] Corte Europea dei diritti dell’uomo. Guida all’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo.

    Diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza.

    https://www.echr.coe.int/documents/d/echr/guide_art_8_ita

    [48] Sentenza del 28 dicembre 2022.

    https://www.eius.it/giurisprudenza/2022/715

    [49] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX:62020CJ0166

    [50] https://www.ordineavvocatiroma.it/ricorso-al-tar-del-coa-roma-giustizia-riparativa-d-m-9-giugno-2023/

    Il valore della Mediazione nella Riforma della Giustizia

    Un ottimo saggio di Maria Martello in libreria dal 2 maggio.

    Maria Martello ha insegnato Psicologia dei rapporti interpersonali presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia dove ha anche coordinato il Corso di perfezionamento in Mediazione dei conflitti.
    È stata Giudice on. presso il Tribunale per i minorenni e la Corte d’appello di Milano.
    Formatrice alla mediazione umanistico-filosofica e Autrice di molti saggi tra cui La formazione del mediatoreUna giustizia altra e altraLa mediazione nella vita e nei TribunaliCostruire relazioni intelligenti.

    État de l’art du décret législatif 4 mars 2010 n. 28

    Il est important de souligner que la Cour d’appel de Naples avec la sentence n ° 36 du 09.01.2023 a donné comme point de départ de l’art. 4 novellato, 28 février 2023 (ex L. n. 197 de 2022).

    L’auteur est Marinaro qui est également l’auteur de l’article sur Sole24ore du 23 janvier 2023 qui rappelle la date du 28 février 2023.

    Nous avons donc une première décision du pouvoir judiciaire sur l’entrée en vigueur des cas non spécifiquement énumérés par l’art. 41 c. 1 du décret législatif 149/22 (qui va paisiblement jusqu’au 30 juin 2023).

    Le 10 février 2023, Normattiva a mis à jour le décret législatif n° 28 du 4 mars 2010.

    Voir https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2010-03-04;28!vig=

    Normattiva est la base de données de l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato qui devrait nous donner une sécurité juridique.

    Les amendements tiennent enfin compte de la loi de finances qui a renouvelé l’art. 41 des règles transitoires du décret 149/22 qui, à son tour, intervient sur le décret législatif 4 mars 2010 n. 28.

    D’après l’indication réglementaire, il semblerait que certaines règles soient déjà entrées en vigueur le 1er janvier 2023, tandis que d’autres entreront en vigueur le 30 juin 2023 (à l’exception des reports législatifs).

    Je dis-le semblerait parce que le 1er janvier 2023 ne dérive que de l’intitulé de la norme: ceux qui mettent à jour la base de données utilisent principalement (v.ad par exemple l’art. 8-bis) des indications de sibilline: « Le décret législatif du 10 octobre 2022, n.  149, tel que modifié par L. 29 décembre 2022, n. 197, ne prévoit plus (avec l’art. 41, paragraphe 1) que la modification visée au présent article s’applique à compter du 30 juin 2023. »

    Puis a suivi la circulaire du ministère de la Justice Prot. n. 0001924 du 28-02-2023 à partir duquel la date du 28/2/2023 peut être déduite même s’il est fait référence à la négociation assistée.

    Enfin, le 1er mars 2023, la communication suivante du ministère de la Justice a eu lieu :

    « Hier, 28 février, entrée en vigueur de la réforme du processus civil, après l’anticipation décidée dans la dernière loi de finances. Il s’agit de l’une des réformes habilitantes du PNRR, dont l’objectif est de réduire la durée des procès de 40 % en cinq ans, de réduire l’arriéré et de rationaliser les différents modèles de procédure. Une réforme du système, nécessaire pour respecter les engagements avec l’Europe et répondre aux besoins des citoyens et des entreprises.

    Les innovations s’accompagnent du recrutement de personnel administratif (5 000 unités prévues en 2023), en plus de l’entrée future de 8 000 autres employés de l’Office pour l’essai, tel qu’établi dans le PNRR; trois nouveaux concours dans le système judiciaire prévus pour l’année en cours (dont deux également avec l’utilisation de PC, pour accélérer les corrections des tests); une accélération de la numérisation (plus de 200 projets pour les bureaux judiciaires dans les années à venir) et  des investissements importants dans la construction (326 chantiers sont actuellement ouverts dans toute l’Italie, pour un investissement de plus de 50 millions).

    Après l’entrée en vigueur dès le 1er janvier 2023 du renvoi préjudiciel à la Cour de cassation, la réforme de l’arrêt de la Cour de cassation et les modes alternatifs de tenue des audiences civiles, le nouveau rite ordinaire devient désormais opérationnel – entre autres – ; une valorisation des formes alternatives de justice (médiation, négociation assistée, arbitrage) le rite simplifié ; simplification des jugements en matière de travail; les changements apportés à la compétence volontaire; le rite unique pour les procédures familiales (avec la possibilité de présenter une demande de séparation de corps et en même temps de divorce); les nouvelles compétences des juges de paix. Au lieu de cela, la création de la Cour pour les personnes, les mineurs et les familles reste en 2024.

    « Une justice peu efficace et qui ne respecte pas le principe constitutionnel de la durée raisonnable des procès – a rappelé à plusieurs reprises le ministre de la Justice, Carlo Nordio – coûte à l’Italie environ 1,5/2 point de PIB ». De 2015 à 2022, entre les indemnités et les dépenses prévues par la loi Pinto (pour l’indemnisation de la durée excessive des procès), l’État a dépensé plus de 781 millions d’euros.

    Il ressort également clairement de cette communication que pour la médiation, la négociation assistée et l’arbitrage, la date d’entrée en vigueur est le 28 février 2023.

    Et par conséquent, il semblerait que certaines dispositions du décret législatif n° 28 du 4 mars 2010 (celles qui ne sont pas expressément indiquées par l’article 41 du décret législatif n° 149 du 10 octobre) soient entrées en vigueur le 28 février 2023.

    Il en va de même pour la négociation assistée : ce qui n’est pas expressément prévu par le dernier alinéa de l’art. 41 est entré en vigueur le 28 février 2023.

    Sans modification du décret ministériel 180/10, cependant, nous ne pourrons pas aller loin même le 30 juin 2023 et le législateur en est également bien conscient (voir le dossier parlementaire sur le financier).

    En outre , il convient de noter que la loi ne fait que sanctionner la non-participation sans motif justifié. En revanche, il n’y a pas de sanctions pour ceux qui font face à la condition de recevabilité dans la salle de médiation sans observer les nouvelles indications qui entreront en vigueur le 30 juin 2023.

    Dans le texte ci-dessous, outre les considérations ministérielles, il a également été fait référence aux avis qui ont été rendus ces derniers jours par le CNF, le Sole24ore et le dossier parlementaire commentant le paragraphe 380 du budget, qui indiquait plutôt l’entrée en vigueur des règles non prévues par l’art. 41 c. 1 au 28 février 2023/1er mars 2023.

    State of the art of Legislative Decree 4 March 2010 n. 28

    It is important to underline that the Court of Appeal of Naples with sentence no. 36 of 09.01.2023 gave as a starting point of art. 4 novellato, February 28, 2023 (ex L. n. 197 of 2022).

    The author is Mr. Marinaro who is also the author of the article on Sole24ore of 23 January 2023 which recalls the date of 28 February 2023.

    So we have a first ruling of the judiciary on the entry into force of the cases not specifically listed by art. 41 c. 1 of Legislative Decree 149/22 (which instead go peacefully to 30 June 2023).

    On 10 February 2023 Normattiva updated Legislative Decree no. 28 of 4 March 2010.

    See https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2010-03-04;28!vig=

    Normattiva is the database of the Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato that should give us legal certainty.

    The amendments finally take into account the finance law that has renewed the art. 41 of the transitional rules of Decree 149/22 which in turn intervenes on Legislative Decree 4 March 2010 n. 28.

    From the regulatory indication it would seem that some rules have already entered into force on 1 January 2023, while others will enter into force on 30 June 2023 (except for legislative deferrals).

    I say it would seem because January 1, 2023 is derived only from the heading of the standard: those who update the database mostly use (v.ad eg art. 8-bis) sibilline indications: “The Legislative Decree 10 October 2022, n.  149, as amended by L. 29 December 2022, n. 197, no longer provides (with art. 41, paragraph 1) that the amendment referred to in this Article shall apply from 30 June 2023.”

    Then followed the Circular of the Ministry of Justice Prot. n. 0001924 of 28-02-2023 from which the date of 28/2/2023 can be deduced even if reference is made to assisted negotiation.

    Finally, on 1 March 2023, the following communication from the Ministry of Justice took place”

    “Yesterday, February 28, the entry into force of the reform of the civil process, after the anticipation decided in the last budget law. This is one of the enabling reforms for the PNRR, with the aim of reducing the duration of trials by 40% in five years, reducing the backlog and rationalizing the different procedural models. A reform of the system, necessary to meet the commitments with Europe and meet the needs of citizens and businesses.

    The innovations are accompanied by the recruitment of administrative staff (5 thousand units scheduled in 2023), in addition to the future entry of another 8 thousand employees of the Office for the trial, as established in the PNRR; three new competitions in the judiciary scheduled for the current year (two of which also with the use of PCs, to speed up the corrections of the tests); an acceleration on digitalisation (over 200 projects for judicial offices in the coming years) and  significant investments in construction (326 construction sites are currently open throughout Italy, for an investment of over 50 million).

    After the entry into force already on 1 January 2023 of the reference for a preliminary ruling to the Court of Cassation, the reform of the judgment in the Court of Cassation and the alternative methods of holding civil hearings, the new ordinary rite now becomes operational – among other things – ; an enhancement of alternative forms of justice (mediation, assisted negotiation, arbitration) the simplified rite; simplification of labour judgments; changes to voluntary jurisdiction; the single rite for family proceedings (with the possibility of submitting a request for judicial separation and at the same time for divorce); the new competences for justices of the peace. Instead, the establishment of the Court for persons, minors and families remains in 2024.

    “A justice that is not very efficient and does not respect the constitutional principle of the reasonable duration of trials – the Minister of Justice, Carlo Nordio has repeatedly recalled – costs Italy about 1.5/2 points of GDP”. From 2015 to 2022, between compensation and expenses provided for by the Pinto law (for compensation for the excessive duration of the trials), the State spent over 781 million euros.”

    Also from this communication it seems to be clear that for mediation, assisted negotiation and arbitration the date of entry into force is February 28, 2023.

    And therefore it would seem that some provisions of Legislative Decree no. 28 of 4 March 2010 (those not expressly indicated by Article 41 of Legislative Decree no. 149 of 10 October) entered into force on 28 February 2023.

    The same goes for assisted negotiation: what is not expressly provided for by the last paragraph of art. 41 entered into force on 28 February 2023.

    Without an amendment to Ministerial Decree 180/10, however, we will be able to go not far even on 30 June 2023 and the legislator is also well aware of this (see the parliamentary dossier on the financial).

    Furthermore , it should be noted that the law merely penalises non-participation without justified reason. On the other hand, there are no sanctions for those who face the condition of admissibility in the mediation room without observing the new indications that will enter into force on 30 June 2023.

    In the text below, in addition to ministerial considerations, references have also been left to the opinions that in recent days have been provided by the CNF, the Sole24ore and the parliamentary dossier commenting on paragraph 380 of the budget, which instead indicated the entry into force of the rules not provided for by art. 41 c. 1 to 28 February 2023/1 March 2023.

    Gesetzesdekret geändert am 4. März 2010, n. 28

    Stand der Technik des Gesetzesdekrets 4. März 2010 n. 28

    Es ist wichtig zu betonen, dass das Berufungsgericht von Neapel mit Urteil Nr. 36 vom 09.01.2023 als Ausgangspunkt Art. 4 novellato vom 28. Februar 2023 (ex L. n. 197 von 2022) gegeben hat.

    Der Autor ist Marinaro, der auch der Autor des Artikels auf Sole24ore vom 23. Januar 2023 ist, der an das Datum des 28. Februar 2023 erinnert.

    Wir haben also eine erste Entscheidung der Justiz über das Inkrafttreten der Fälle, die nicht ausdrücklich in der Kunst aufgeführt sind. 41 c. 1 des Gesetzesdekrets 149/22 (die stattdessen friedlich bis zum 30. Juni 2023 gelten).

    Am 10. Februar 2023 aktualisierte Normattiva das Gesetzesdekret Nr. 28 vom 4. März 2010.

    Siehe https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2010-03-04;28!vig=

    Normattiva ist die Datenbank des Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, die uns Rechtssicherheit geben soll.

    Die Änderungen berücksichtigen schließlich das Finanzgesetz, das die Kunst erneuert hat. 41 der Übergangsbestimmungen des Dekrets 149/22, das wiederum auf das Gesetzesdekret vom 4. März 2010 Nr. 28 eingreift.

    Aus den regulatorischen Angaben geht hervor, dass einige Vorschriften bereits am 1. Januar 2023 in Kraft getreten sind, während andere am 30. Juni 2023 in Kraft treten werden (mit Ausnahme von Gesetzgebungsverschiebungen).

    Ich sage, es scheint, weil der 1. Januar 2023 nur von der Überschrift der Norm abgeleitet ist: Diejenigen, die die Datenbank aktualisieren, verwenden hauptsächlich (v.ad z. B. Art. 8-bis) Zischlautangaben: “Das Gesetzesdekret vom 10. Oktober 2022, n.  149, geändert durch L. 29. Dezember 2022, n. 197, sieht (mit Art. 41 Absatz 1), dass die in diesem Artikel genannte Änderung ab dem 30. Juni 2023 gilt.”

    Dann folgte das Rundschreiben des Justizministeriums Prot. n. 0001924 vom 28.02.2023, aus dem das Datum des 28.2.2023 abgeleitet werden kann, auch wenn auf unterstützte Verhandlungen Bezug genommen wird.

    Schließlich erfolgte am 1. März 2023 die folgende Mitteilung des Justizministeriums:

    “Gestern, am 28. Februar, trat die Reform des Zivilprozesses in Kraft, nachdem die im letzten Haushaltsgesetz beschlossene Vorwegnahme beschlossen wurde. Dies ist eine der notwendigen Reformen für die PNRR, mit dem Ziel, die Dauer der Versuche innerhalb von fünf Jahren um 40 % zu verkürzen, den Rückstand zu verringern und die verschiedenen Verfahrensmodelle zu rationalisieren. Eine Reform des Systems, die notwendig ist, um die Verpflichtungen gegenüber Europa und die Bedürfnisse der Bürger und Unternehmen zu erfüllen.

    Die Neuerungen gehen einher mit der Einstellung von Verwaltungspersonal (5.000 Einheiten, die für 2023 geplant sind) sowie der künftigen Einreise weiterer 8.000 Mitarbeiter des Amtes für den Prozess, wie in der PNRR festgelegt; drei neue Auswahlverfahren im Justizwesen, die für das laufende Jahr geplant sind (zwei davon auch mit dem Einsatz von PCs, um die Korrekturen der Tests zu beschleunigen); eine Beschleunigung der Digitalisierung (über 200 Projekte für Justizämter in den kommenden Jahren) und  erhebliche Investitionen in den Bau (derzeit sind 326 Baustellen in ganz Italien geöffnet, was einer Investition von über 50 Millionen entspricht).

    Nachdem das Vorabentscheidungsersuchen an den Kassationsgerichtshof bereits am 1. Januar 2023 in Kraft getreten ist, die Reform des Urteils des Kassationsgerichts und die alternativen Methoden der Durchführung von Zivilverhandlungen ist der neue ordentliche Ritus nun unter anderem in Kraft getreten; eine Verbesserung alternativer Rechtsformen (Mediation, Verhandlungshilfe, Schiedsgerichtsbarkeit) des vereinfachten Ritus; Vereinfachung der Arbeitsurteile; Änderungen der freiwilligen Gerichtsbarkeit; der einheitliche Ritus für Familiensachen (mit der Möglichkeit, einen Antrag auf Trennung ohne Auflösung des Ehebandes und gleichzeitig auf Scheidung zu stellen); die neuen Zuständigkeiten für Friedensrichter. Stattdessen bleibt die Einrichtung des Gerichtshofs für Personen, Minderjährige und Familien im Jahr 2024 bestehen.

    “Eine Justiz, die nicht sehr effizient ist und den Verfassungsgrundsatz der angemessenen Dauer von Prozessen nicht respektiert – hat Justizminister Carlo Nordio wiederholt in Erinnerung gerufen – kostet Italien etwa 1,5/2 Punkte des BIP”. Von 2015 bis 2022 gab der Staat zwischen Entschädigung und Ausgaben, die im Pinto-Gesetz vorgesehen sind (für die Entschädigung für die übermäßige Dauer der Prozesse), über 781 Millionen Euro aus.

    Auch aus dieser Mitteilung scheint klar hervorzugehen, dass für Mediation, unterstützte Verhandlungen und Schiedsverfahren das Datum des Inkrafttretens der 28. Februar 2023 ist.

    Daher scheint es, dass einige Bestimmungen des Gesetzesdekrets Nr. 28 vom 4. März 2010 (diejenigen, die nicht ausdrücklich in Artikel 41 des Gesetzesdekrets Nr. 149 vom 10. Oktober angegeben sind) am 28. Februar 2023 in Kraft getreten sind.

    Gleiches gilt für die Verhandlungsbegleitung: was nicht ausdrücklich im letzten Absatz der Kunst vorgesehen ist. 41 trat am 28. Februar 2023 in Kraft.

    Ohne eine Änderung des Ministerialerlasses 180/10 werden wir jedoch auch am 30. Juni 2023 nicht weit gehen können, und der Gesetzgeber ist sich dessen auch sehr wohl bewusst (siehe das parlamentarische Dossier zum Finanzen).

    Darüber hinaus  ist zu beachten, dass das Gesetz lediglich die Nichtteilnahme ohne berechtigten Grund unter Strafe stellt. Auf der anderen Seite gibt es keine Sanktionen für diejenigen, die im Mediationsraum mit der Bedingung der Zulässigkeit konfrontiert sind, ohne die neuen Hinweise zu beachten, die am 30. Juni 2023 in Kraft treten werden.

    Im nachstehenden Text wurde neben ministeriellen Erwägungen auch auf die Stellungnahmen verwiesen, die in den letzten Tagen vom CNF, dem Sole24ore und dem parlamentarischen Dossier zur Stellungnahme zu Ziffer 380 des Haushaltsplans abgegeben wurden, in denen stattdessen auf das Inkrafttreten der in Art. 41 c. 1 bis 28. Februar 2023/1. März 2023.

    Quando si vuole far fallire la mediazione

    Chi mi conosce sa che non ho peli sulla lingua, non li ho mai avuti e per questo ho pagato e continuo a pagare diversi prezzi, a seconda della situazione.

    Ma nella vita devi scegliere, se stare zitto in attesa di qualche beneficio o parlare sapendo già che ti costerà discredito, nella migliore delle ipotesi.

    Io ho fatto la seconda scelta e parlo: si vede che sono masochista, ma non si può andare contro natura.

    Da venti anni mi occupo di mediazione e come molti mediatori potrei raccontare mille esempi che giustifichino il titolo di questa nota.

    Mi voglio però limitare ai tempi recenti, anzi ai tempi recentissimi.

    Due parole sulla mediazione civile e commerciale.

    Con la riforma Cartabia dal 30 giugno 2023 estenderanno la condizione di procedibilità ad ipotesi che non faranno superare lo 0,51%, ossia la percentuale di accordi in mediazione rispetto al contenzioso civile e commerciale di primo grado (dato 2020 del contenzioso che è quello conosciuto).

    E non a caso la mediazione è tornata sperimentale.

    Hanno pensato poi ad un meccanismo bizantino di pagamento degli Organismi che non tiene conto del modello della dinamica della collaborazione, modello noto come metodo Harvard che richiede anche cinque ore di tempo per dare risultati efficaci.

    Così come nel 2013 avevano partorito il primo incontro senza tenere in alcun conto la psicologia dell’essere umano, solo perché si disse (ma io non ci credo visto che in Grecia invece il bavaglio alla Corte Suprema l’hanno messo senza tante storie) che poteva nuovamente arrivare la tagliola della Corte Costituzionale.

    Oggi poi, sempre dal 30 giugno 2023, hanno stabilito un termine della mediazione (3 mesi + 3 mesi di proroga) che non sarà facile rispettare nella pratica per i plurimi motivi che tutti i mediatori praticanti conoscono bene; e nessuno sa che cosa possa accadere se venga sforato il termine (Agenzia delle Entrate magari faccelo sapere in anticipo, una volta tanto).

    Hanno previsto una disciplina del gratuito patrocinio che rende più facile giocare al Superenalotto e vincere piuttosto che ottenere la liquidazione della parcella (lo stesso vale per la negoziazione assistita).

    Non si sa quando arriverà la novella del d.m. 180/10 e si è commesso così di nuovo l’errore del 2010 (ma forse anche questa è una scelta e non un errore) quando si è fatta una legge sulla mediazione senza mediatori e formatori che avessero già una esperienza consolidata da progetti pilota (v. ciò che è accaduto al contrario e virtuosamente in Argentina).

    Se devo mediare in modo nuovo per rispettare dei politici bizantinismi di pagamento, la disciplina della mia formazione non può arrivare a maggio o a giugno, a meno che appunto non si voglia far fallire il tutto.

    Veniamo ora sinteticamente alla mediazione familiare.

    Ci sono plurime critiche che si possono fare: ad es. il legislatore ha tirato fuori la Convenzione di Istanbul a capocchia, i tempi processuali non consentono di mediare, non si capisce perché abbiano fatto copia e incolla con la disciplina dei CTU per l’elenco dei mediatori familiari ecc.

    Ma c’è una cosa che proprio non riesco a digerire perché con tutti i professori e le eminenze grigie che si sono confrontati, una sciocchezza così poteva essere partorita solo volendola, solo volendo appunto affondare l’istituto della mediazione familiare.

    E pensare che basterebbe aggiungere un “non” all’art. 12-ter c. 1 Disp. att. c.p.c. per far partire davvero il sistema: ci pensi il legislatore, ha tempo sino al 30 giugno 2023 per farlo.

    Come è noto l’art. 12-bis Disp. att. c.p.c. stabilisce che “Presso ogni tribunale è istituito un elenco di mediatori familiari.”.

    La cosa dovrebbe partire dal 30 giugno 2023.

    L’art. 12-ter prevede che “L’elenco è tenuto dal presidente del tribunale ed è formato da un comitato da lui presieduto e composto dal procuratore della Repubblica e da un mediatore familiare, designato dalle associazioni professionali di mediatori familiari inserite nell’elenco tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico, che esercita la propria attività nel circondario del tribunale.”.

    Gli artt. 12-ter e 12-quater stabiliscono poi quali compiti spettano ai componenti del Comitato (Vigilanza, possibili Procedimenti Disciplinari nei confronti degli iscritti nell’elenco e Decisione sulle domande di iscrizione). 

    Contro ogni logica, e lo capirebbe anche un bambino (che non si perde nel centro di Bologna), hanno previsto, e lo rimarco, che il mediatore familiare, designato dalle associazioni professionali di mediatori familiari inserite nell’elenco tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico, eserciti la propria attività nel circondario del tribunale.

    Ora se io sono chiamato a nominare mediatori e a vigilare su un elenco di persone e faccio parte del circondario del tribunale non posso per ragioni di opportunità autonominarmi nell’elenco e autovigilarmi (lo dice il buon senso anche se non c’è una norma che lo vieti): quindi se rispetto l’etica entro nel comitato e smetto di lavorare.

    Secondo voi chi rinuncia a lavorare da mediatore familiare dopo aver studiato e praticato per diversi anni della sua vita?

    Ma andiamo avanti.

    Se invece mi autonomino e mi autovigilo perché non c’è altra scelta (e oggi non c’è scelta), può accadere che, essendo del circondario, conosca bene i mediatori (in certe regioni si contano sulle dita di una mano) e magari non sia portato a valutarli oggettivamente come dovrei.

    Per queste ragioni il mediatore che fa parte del comitato non dovrebbe esercitare la propria attività nel circondario.

    Se così fosse potrebbe iscriversi all’elenco di altro circondario e potrebbe lavorare lì con buona pace delle sue finanze; e allo stesso tempo, per amore della mediazione e la diffusione della sua cultura, svolgere le funzioni istituzionali richieste dal comitato in altro circondario con buona pace dell’etica e della oggettività.

    Non c’è nemmeno bisogno di andare in loco, esiste la tecnologia come il legislatore non perde occasione di insegnarci.

    Se vogliamo che la mediazione familiare parta e che il comitato possa operare seriamente e oggettivamente aggiungiamo dunque un “non” al primo comma dell’articolo 12-ter Disp. att. c.p.c.

    Diversamente a me continuerà a restare fortemente il dubbio che ho espresso nel titolo.

    Corso per formatori e mediatori del Coa Reggio Emilia

    In un momento di difficoltà per tutti i colleghi può essere utile un confronto. Vi aspettiamo online

    Scellerato è chi si affida all’attuale processo

    Ho letto due articoli del collega Iuri Maria Prado e sono rimasto basito.

    Non posso farli passare sotto il mio silenzio e del resto non ho fiducia alcuna nella redazione di Libero per un diritto di replica.

    Ne va della della mia scelta di vita e quando si tocca la vita delle persone non può che esserci una reazione: questa è la mia che posso sostenere se occorre dati alla mano in qualunque tribunale.

    Uno degli articoli che stigmatizzo qui è del 15 aprile 2021 ed è intitolato <<E’ scellerato smaltire l’arretrato per affidare i processi al “mediatore”>>; l’altro è del 29 aprile 2021 ed è intitolato “I diritti del cittadino diventano teorici”.

    Già i titoli sono tutto un programma: nemmeno nel 2010 quando la mediazione è stata introdotta ho letto tanta acredine contro l’istituto.

    Peraltro non ne capisco nemmeno la ragione. A differenza dell’avv. Prado ho letto cose interessanti nel PNRR in merito all’ADR, ma quale sia la realtà in termini di provvedimenti legislativi non si sa.
    Non si sa ad esempio come sia cambiato l’impianto del d.l. Bonafede nel testo licenziato dalla Commissione.
    Ricordo che con i dati delle mediazioni 2020 quello sciagurato testo si porterebbe via 42.157 procedure.
    Tanto per dare un’idea di che cosa significhi questo, nel 2018 le mediazioni europee conosciute sono state 166.307 (di cui 151.923 italiane) e gli accordi sono stati 23.567 (di cui 20.903 italiani).
    Ancora nel parere della Commissione giustizia sul PNRR si parla solo della negoziazione assistita ed il Parlamento si è limitato per ora a riunire il d.l. Bonafede ad un altro sull’arbitrato forense.
    E visto che è scaduto il termine per gli emendamenti e non si vedono nemmeno emendamenti, non capisco dove il collega abbia recepito le sue fonti per assumere che l’Italia affidi il processo alla mediazione (magari lo facesse!): non c’è niente di pubblico. Oppure ci sono giuristi in Italia che sanno e giuristi che non possono sapere?

    Non comprendo in ogni caso come un avvocato come me possa avere una opinione così distante dalla mia sulla mediazione.

    Non lo comprendo in primo luogo perché entrambi abbiamo studiato e studiamo la legge e sappiamo bene che l’istituto della mediazione è arrivato nel nostro paese per forte impulso di una Direttiva europea, la 52/08. Non è dunque nato come i funghi nel 2010 per uno sghiribizzo del Governo italiano.

    Non solo, ma entrambi sappiamo bene che il processo dalle origini è sempre stato a carattere misto: il giudice ha sempre richiesto dalla XII tavole in poi un intervento del conciliatore (avo dell’attuale mediatore) o dell’arbitro.

    Basta studiare un poco di diritto romano ed entrambi lo abbiamo studiato.

    La Direttiva 52/08 precisa che vi debba essere equilibrio tra processo e mediazione e che la mediazione costituisce accesso alla giustizia. Non è nulla di nuovo sotto il sole perché già Giustiniano aveva la stessa opinione.

    Semmai abbiamo sprecato molti secoli per inseguire la chimera processuale senza avere il consenso popolare, non certo per aver cercato la concordia.

    Attualmente 26 su 27 paesi UE hanno aderito alla Direttiva.

    In Europa esistono 83.000 mediatori che aiutano gli stati a deflazionare – spesso mettendoci del proprio –  il contenzioso e non sono delle persone qualunque.  Il mediatore è in Europa un soggetto laureato, iscritto nel registro dei mediatori, spesso certificato dal Ministero della Giustizia o da altre Istituzioni per conto del Ministero, che ha svolto un corso di base in mediazione di un certo numero di ore e che è assoggettato a formazione continua per un dato numero di ore o di eventi. Gli si chiede di rispettare un Codice deontologico e di avere esperienza professionale.

    In alcuni stati si pretende anche la copertura assicurativa (Austria, Belgio, Danimarca, Italia per gli avvocati iscritti presso gli Organismi COA, Paesi Bassi, Spagna)

    Più o meno tutti gli stati richiedono che il mediatore sia ineccepibile dal punto di vista comportamentale e morale.

    In Italia il mediatore civile e commerciale – che peraltro in buona parte dei casi è avvocato – opera almeno dal 1993 anche se prima si chiamava conciliatore. Solo nel 2020 ha gestito oltre 125.000 controversie. Il tasso di successo è del 28,7% quando le parti decidono di sedersi intorno al tavolo e di mediare.

    Da una analisi a campione risulta al Ministero della Giustizia che il tasso di successo sale al 46,7% se le parti accettano di sedersi al tavolo della mediazione
    anche dopo il primo incontro introdotto con la L. 98/2013

    La mediazione dura poche ore.

    Quali sono invece i risultati del processo? Il collega descrive un processo che reca soddisfazione ai cittadini; mi domando in che foro lavori, non di sicuro nel mio.

    Attualmente l’efficacia dell’applicazione della sentenza in Italia è dello 0,34 (su un massimo di 1; dato WJP). Sempre che la sentenza arrivi visto che per tre gradi di giudizio in materia civile e commerciale – e sono dati forniti dal nostro Governo all’Europa – nel 2018 ci sono voluti 7 anni e 21 giorni.

    Crede l’esimio collega che un cittadino possa aspettare tanto per ottenere poi così poco? Io credo di no.

    Peraltro solo in primo grado ci sono oltre 2 milioni di cause di primo grado (dato Cepej 2008) di cui non si occupa nessuno, perché i 7.037 giudici (il numero è lo stesso del 1907) non sono dei superuomini; qualcuno deve aiutarli e il mediatore aiuta a comporre le liti in tempi ridottissimi.

    Il collega ci vuole raccontare che si doveva insistere su un processo che non dà risposte; non cita i dati economici che escludono la possibilità per l’Italia di incrementare la macchina processuale.

    Noi abbiamo il peggior debito pubblico ante covid dopo la Grecia.

    Lo stato stanzia già per la giustizia le maggiori somme tra i 27 dopo la Germania.

    Su 5.776 milioni di euro che il Ministero ha utilizzato per la giustizia nel 2018, ben 3.916 sono già destinati allo stipendio dei magistrati e al personale delle cancellerie.

    Il resto è destinato al pagamento dei giudici non togati, a pagare affitti e bollette dei tribunali, a far fronte ai gratuiti patrocini che con la pandemia sono diventati esponenziali visto lo stato di povertà dilagante.

    Non ci sono soldi per aumentare le dotazioni del processo. E le cause civili e commerciali di minore entità tra l’altro aumentano anche perché il contributo unificato da noi è troppo basso.

    Se non ci fosse la mediazione a tamponare in Italia saremmo tornati all’ordalia. Non si può che aumentarne la portata se si vuole salvare il paese.

    Tutta la mia solidarietà al Ministro Cartabia.

    Le strade e la conciliazione

    “Ognuno che comprenda l’importanza del gravissimo problema dello sviluppo della viabilità in Italia, deve concorrere come sa e può per aiutarne la soluzione” (Devincenzi 18 febbraio 1872)

    “Scuole e strade -istruzione e viabilità: ecco i due principali fattori della civiltà moderna. Senza scuole non si ha coltura generale; senza strade non vi è prosperità né materiale né morale: e fra popolazioni ignoranti e miserabili non può fare a meno di regnare sovrana la barbarie. Queste proposizioni sono di una evidenza talmente intuitiva che sarebbe fatica sprecata il darne una dimostrazione apodittica. Ma dall’essere universalmente sentiti i bisogni dell’istruzione e della viabilità, non ne viene che siano dalle popolazioni premurosamente ricercati e voluti i benefici. Ed è qui soprattutto che la legge adempie la sua più nobile missione, quella di comandare il bene a coloro stessi che ne devono profittare. Il nostro secolo andrà famoso per aver introdotto l’istruzione elementare obbligatoria e la viabilità comunale obbligatoria” (Lorenzo Scamuzzi, 1880).

    Gli Ebrei già conoscevano la distinzione fra le grandi strade e le comunicazioni comunali. Presso di loro, le spese delle strade si sostenevano con le prestazioni in natura e con un’imposta speciale ragguagliata dal terzo al quarto del tributo fondiario. Un articolo delle loro leggi agrarie autorizzava il viaggiatore, che si trovasse impedito dal proseguire il cammino per il cattivo stato in cui si trovasse la strada, a passare sulle proprietà vicine[1].

    Gli Ateniesi avevano un’amministrazione particolare per la viabilità, e vi facevano intervenire la religione. Le strade erano poste sotto la protezione di Mercurio, e lungo il cammino si vedevano delle statue di questo Nume quasi a guida dei viaggiatori. A Sparta, a Tebe, e in altri Stati dell’antica Grecia, la cura di provvedere alla viabilità era confidata ai personaggi più ragguardevoli per la loro posizione e per il loro carattere.

    Pare che i selciati delle strade pubbliche le abbiano inventate invece i Cartaginesi[2].

    I Romani seppero trarre profitto dall’esempio dato dai Cartaginesi. Cominciando dalla via Appia, sulla quale due carri potevano marciare di fronte, sino ai tempi delle ultime conquiste di Cesare, tutte le regioni del mondo sottomesse al dominio dei Romani furono solcate e coperte di strade lastricate.

    Alla loro costruzione e manutenzione si impiegavano degli interi eserciti. Ogni municipio poi aveva dei funzionari preposti tali lavori, curatores viarum, incaricati non solo di rendere più solide e durevoli le strade, ma altresì di accrescerne la comodità e la bellezza: si videro quindi le colonne migliari per indicare le distanze, banchi destinati al riposo dei viaggiatori, pietre (suppedanea) per aiuto nel salire a cavallo, marciapiedi (margines), stazioni riservate ai fanti e ai viaggiatori, archi di trionfo, ecc.[3]

    Queste strade facevano di Roma l’emporio del mondo. Il Senato fissava i lavori da farsi,  sceglieva i fondi col voto, e l’esecuzione era specialmente affidata ai Censori.

    Nelle leggi delle Dodici Tavole, le strade si distinguevano in pubbliche e private. Le strade pubbliche avevano diversi nomi: regie, consolari, militari, se conducevano da città a città , o al mare, o ai porti dei fiumi navigabili, o ad altra strada militare; vicinali, quelle che conducevano ai villaggi, ai pascoli o ad altre proprietà comuni. Le strade private, denominate anche agrarie, servivano alla coltivazione delle terre.

    Le strade dovevano avere la larghezza di otto piedi se scorrenti in linea retta (237,12 cm.) e del doppio (474 cm.) nelle curve. Ad imitazione della legge Ebraica, i viaggiatori che si fossero trovati su una strada impraticabile, avevano il diritto di passare a piedi o a cavallo sulle terre dei proprietari confinanti, a cui carico stava la manutenzione delle strade pubbliche.

    La polizia delle strade pubbliche della città di Roma era affidata agli Edili  come delegati del Pretore; più tardi, sotto l’Impero, gli Edili furono surrogati dal Præfectus urbis, il quale aveva alle sue dipendenze quattordici curatores, cioè un curatore per ciascuno dei quattordici rioni della città, incaricati di accertare le contravvenzioni alla legge De ædilitio edicto[4].

    Il medio evo non ha potuto essere propizio alla pubblica viabilità. L’Italia diventò un vasto campo di battaglia in cui indigeni e stranieri di ogni razza, vincitori e vinti, eserciti e popoli, rifecero le antiche strade militari dei Romani e ne costruirono delle nuove, ma senz’altro obbiettivo che quello di sopperire ai bisogni del momento; e le piccole repubbliche di Venezia, di Genova, di Amalfi ed altre, che seppero resistere all’urto delle invasioni barbariche, esercitarono essenzialmente per le vie di mare il commercio che in mezzo a tanto buio valse a renderle un dì così floride e potenti .

    Giova però notare che appunto in pieno medioevo, e fra le spire del feudalismo, si organizzarono sotto varie denominazioni e forme le prestazioni in natura, le quali dovevano poi divenire in tutti i paesi d’Europa lo strumento più potente e il mezzo meno gravoso per creare e perfezionare la viabilità.

    L’Inghilterra fu antesignana di una buona viabilità alle altre nazioni Europee. Sin dal XVI secolo e sino al 1835, ogni cittadino prestava quattro giornate all’anno di lavoro per mantenere le strade pubbliche di ciascuna parrocchia (Highways); e sotto il regno di Carlo II si aggiunsero le strade sostenute da pedaggi (Turnpike Trusts). Sono pur antichissime le mansioni degli Ispettori delle strade per ciascuna parrocchia, e la giurisdizione ei Giudici di pace della Contea in tutto ciò che si riferisce alle strade ed alla loro buona conservazione. Secondo le leggi di fine Ottocento, la costruzione di nuove strade, per cui si dovesse ricorrere alla espropriazione dei terreni, richiedeva una legge (bill) del Parlamento; ma in un paese dove l’iniziativa individuale è cosi potente, le espropriazioni si ottenevano per lo più con una conciliazione, ed allora tutto si combinava facilmente tra l’Ispettore, il Vestry (amministrazione della parrocchia che corrispondeva al nostro consiglio comunale) ed i Giudici di pace.

    Alle spese si provvedeva colla tassa sulle strade, la quale pesava su tutti i proprietari assoggettati alla tassa dei poveri. Col consenso della maggioranza dei contribuenti coloro che hanno carri o cavalli potevano convertire la loro imposta in prestazioni d’opera ai prezzi di tariffa fissati dal Giudice di paçe. L’amministrazione delle strade a pedaggio era affidata ad una Commissione di cui i Giudici di pace della Contea furono membri di diritto. I conti delle une e delle altre strade (Highways- Turnpike Trusts) erano trasmessi ogni anno dal Cancelliere di pace, sotto pena di multe non lievi, al Ministero (Local government Board), che ne presentava gli estratti alle due Camere del Parlamento. Con questo regime l’Inghilterra si trovava alla fine dell’Ottocento in condizioni di viabilità simili a quelle francesi, ad avere cioè più di un chilometro e mezzo di strada rotabile per ogni chilometro quadrato del suo territorio .

    In Francia, sin verso la fine dello XVIII secolo, le strade si costruirono e mantennero quasi esclusivamente colla corvée militare e feudale. Ma questa contribuzione, divenuta vessatoria per lo scopo e per il modo come veniva impiegata, dopo molte vicende, fu abolita con decreto reale del 27 giugno 1787. Il decreto consolare del 23 luglio 1802 non rinnovò la vecchia ed odiata corvée dei passati tempi, ma organizzò la prestazione in natura. In successive leggi si provvide alle strade di grande comunicazione (reali e dipartimentali); mancavano però le sanzioni per obbligare i Comuni alla costruzione delle strade vicinali[5] ed all’impiego in esse delle prestazioni in natura . A ciò riuscì la legge del 21 maggio 1836 con cui si costruirono cinquecento mila chilometri di strade (per oltre un terzo con prestazioni in natura).

    In Italia la viabilità ebbe una forte spinta col famoso piano delle strade Lombarde del 13 febbraio 1877 e colla legge toscana del 23 maggio 1774. La dominazione francese contribuì non poco ad accrescere la nostra viabilità, soprattutto in Piemonte. Nonostante ciò, la viabilità comunale, che pur avrebbe dovuto costituire i nove decimi delle comunicazioni ordinarie, salvo poche eccezioni, rimaneva quasi tutta da creare (specie in Sicilia e Sardegna).

    Il problema nel XIX secolo divenne di scottante attualità dal momento che era inutile costruire la ferrovia e i porti se poi non c’erano strade di collegamento con i comuni.

    Grazie al lavoro incessante di Quintino Sella venne approvata la legge del 30 agosto 1868 che obbligava i comuni a costruire le strade (prima erano facoltative) all’interno del municipio e quelle di comunicazione intercomunale.

    Ogni cittadino tra i 18 e i 60 anni doveva prestare 4 giorni di lavoro personale e dei suoi animali oppure doveva versare l’equivalente in denaro.

    Del contenzioso in proposito si occupava il conciliatore che anche se doveva giudicare inappellabilmente, prima tentava la conciliazione e la controparte era sempre il Sindaco del Comune.

    Siccome il verbale di conciliazione era tassato e la gente era povera come oggi, si facevano le conciliazioni orali: in pratica se il Sindaco era in difetto modificava il ruolo comunale in conciliazione e poi si faceva ratificare l’opera dal Consiglio comunale come se fosse una transazione.

    In sostanza all’epoca la mediazione in ambito amministrativo era cosa ordinaria[6].

    Trascrivo qui un facsimile del verbale che rappresenta molto bene cosa accadeva in quei tempi.

    L’anno nel giorno del mese di

    nell’Ufficio di conciliazione di

    Davanti il signor Conciliatore           (oppure il Vice Conciliatore), assistito dal sottoscritto Cancelliere              ;

    Presente il signor Sindaco di questo Comune.

    Tra i reclami portati all’odierna udienza contro il ruolo delle prestazioni d’opere per la strada obbligatoria in costruzione, pubblicato all’Albo Pretorio dal dì           al dì         del corrente mese, sono i seguenti, sui quali si dà atto essersi ottenuto l’accordo delle parti.

    1° Il signor A si dice gravato dal ruolo perché nella quotizzazione delle giornate d’operai a suo carico si è calcolato il di lui figlio Pietro, il quale si trova sotto le armi; ed il Sindaco, riconoscendo giusto il reclamo , aderisce di diffalcare quattro

    giornate dal corrispondente articolo (S 31 ) .

    2° 1 Rev. Sacerdoti B, G, D reclamano, tutti e tre, d’essere stati tassati di giornate di lavoro anche per la loro persona, mentre pel carattere del loro ministero e per le loro abitudini non sono certamente in grado di prestare un lavoro manuale sulle strade ; ma fattosi loro presente dal Conciliatore come la giurisprudenza sia ormai costante nel ritenere che qualsiasi professione, non esclusa quella degli Ecclesiastici, non vale per sé ad esimere dalla prestazione personale, salvo la facoltà di farsi sostituire o di riscattare l’imposta in denaro a ragione di tariffa, hanno dichiarato di desistere dal loro reclamo (S 30).

    3º Il signor E lamenta, che nel calcolo delle sue prestazioni gli si è computato un figlio, il quale da più mesi non convive più con lui, ed un cavallo non atto al lavoro che si adopera esclusivamente per la fabbricazione delle paste. Scambiatesi tra le parti le occorrenti spiegazioni, si è convenuto che siano depennate le giornate di lavoro relative al figlio, salvo al Sindaco di farlo inscrivere qual capo di famiglia in ruolo supplementare, e che rimanga ferma la tassazione pel cavallo. (SS 33, 40 ).

    4° La vedova F, ricordando il recente decesso del di lei marito, di cui essa è erede insieme ai suoi figli minorenni da lei rappresentati, chiede che venga annullato l’articolo di ruolo intestato allo stesso suo marito. Il signor Sindaco animette doversi cancellare le giornate di cui era stato quotato il defunto per la sua persona, convenendosi dalla signora F che del resto non può essere fatta variazione al predetto articolo (s 35) .

    7° ecc.

    Del tutto si è redatto il presente processo verbale, letto , confermato e sottoscritto dal signor Sindaco e dai reclamanti, meno dalla vedova F, la quale ha dichiarato di non saper scrivere.


    [1] Tempore quo cænosæ nimis fuerint viæ pubblicæ , aut aquis impeditæ , fas esto viatoribus, viis relictis, in vicina loca se conferre, atque ibi transire, tametsi transierit in via quæ suos habet dominos. DALLOZ, Voirie par terre, 3.

    [2] Primum Poni dicuntur lapidibus vias stravisse.

    ISIDORO, Origini, lib. 15 , capo 16.

    [3] Tito Livio, lib . XLI .

    [4] Cfr. Jacobi Cujacii i.c. tolosatis opera ad parisiensem Fabrotianam editionem deligentissime exacta in tomos XIII. distributa auctiora atque emendatiora, Volume 3, Giachetti, 1837, p. 124.

    [5] Ossia le nostre comunali.

    [6] cfr.  LA VIABILITÀ OBBLIGATORIA E LA GIURISDIZIONE DEI CONCILIATORI SULLE PRESTAZIONI D’OPERA di Lorenzo Scamuzzi, Biella, Tipografia Litografia e Libreria G. Amosso, 1880.

    Una breve nota sul Contratto per il governo del cambiamento e gli strumenti negoziali

     

    Nell’ultima bozza datata 17 maggio ore 11 del “Contratto per il governo del cambiamento” si legge a pagina 15:

    “Si propone di rendere alternative tra loro (e non entrambe esperibili), anche se obbligatorie, la mediazione e la negoziazione assistita per tutte le materie e, nel caso la richiesta di esperimento della mediazione avvenga da parte del giudice a causa già iniziata (c.d. mediazione delegata), che questa possa avvenire solo su richiesta concorde delle parti e non sia dunque obbligatoria. Diversamente, per le questioni in cui sono coinvolti figli minorenni, si ritiene necessaria l’obbligatorietà della mediazione civile”.

    Un primo facile rilievo a questo programma riguarda la generica estensione a tutte le materie.

    È noto che allo stato attuale in Italia la mediazione civile e commerciale e la negoziazione assistita possono venire in campo soltanto qualora la controversia verta su diritti disponibili[1]. E dunque coerenza normativa vorrebbe perlomeno di inserire l’inciso “su diritti disponibili”.

    L’estensione a tutte le materie della negozialità, che con le opportune cautele, non sarebbe per la verità un male, sembrerebbe poi allo scrivente di ispirazione transalpina, ma, se così è, bisogna evidenziare che in Francia i mezzi alternativi riguardano in genere diritti disponibili. Quando sono in ballo materie come la separazione, il divorzio od il lavoro, c’è sempre e comunque un controllo giudiziale (omologazione) se non un procedimento giudiziale nel quale la volontà delle parti viene vagliata dal giudice.

    L’alternatività delle misure come prevista dal Contratto, è sempre prevista in Francia, ma qui non esiste la condizione di procedibilità. Viene fatta salva la volontarietà di tutti i tipi di tentativi di componimento (non solo della mediazione civile e della negoziazione assistita), e si stabilisce che se le parti non hanno provato a comporre la controversia, non ci sono sanzioni: è il giudice che semplicemente suggerisce un percorso mediatorio o conciliatorio.

    L’Italia ha scelto invece la obbligatorietà e dunque non si capisce perché ora si debba seguire la logica di applicare distorcendolo un meccanismo che è nato, in base ad un ragionamento politico, per far salva la volontarietà e l’autonomia dei privati e nello stesso tempo non recare fastidio agli avvocati.

    Peraltro gli stessi Francesi ritengono che la loro sia una disciplina inefficace, tanto che ad esempio in un buon settore del lavoro pubblico è ora previsto un mezzo alternativo, addirittura a pena di inammissibilità dell’azione.

    L’Italia in altre parole ha scelto di affrontare con la mediazione civile 200.000 controversie all’anno, in Francia se va bene se ne affrontano 20.000: non si comprende perché Lega e 5 Stelle vogliano annullare in un solo colpo il cammino fatto sin qui dal nostro paese.

    Stabilire poi l’alternatività delle due misure avrebbe delle ricadute pesantissime, non solo sulla deflazione del contenzioso, ma anche sugli organismi privati.

    La negoziazione assistita in Italia non ha preso campo se non in materia di famiglia (ma forse nemmeno), così come è avvenuto del resto in Francia.

    Avrebbe come unico effetto quello di far chiudere in un lampo tutti gli organismi privati che sono già peraltro con l’acqua alla gola.

    I due strumenti, mediazione e negoziazione assistita, non implicano, infatti, le stesse ricadute in termini di tempo e denaro.

    La negoziazione assistita al legale costa in sostanza solo il tempo ed il denaro dell’invio di una raccomandata; la mediazione comporta invece il versamento delle spese d’avvio.

    Nell’ipotesi in cui il legale si trovi semplicemente a voler adempiere la condizione di procedibilità, non c’è dunque partita tra i due strumenti.

    Per la mediazione ci sarebbe una caduta verticale dell’utilizzo. Resterebbero in piedi soltanto gli organismi degli avvocati presso i Tribunali perché questi si fregiano di locali messi a disposizione dal Presidente del tribunale e comunque i loro dipendenti vengono già pagati per altre mansioni.

    Questo è dunque lo scenario che Lega e 5 Stelle intendono auspicare, la rovina di molte famiglie che si sono messe in buona fede a disposizione dello Stato e l’esplosione del contenzioso giudiziale.

    La stessa previsione della mediazione delegata volontaria interrompe un processo virtuoso del nostro paese.

    Non si comprende poi perché negoziazione assistita e mediazione non possano anche cumularsi volontariamente: forse si vuole imporre a tutti i costi il giudizio e non tenere in nessun conto l’autonomia privata?

    Nel contratto si legge ancora che per le questioni in cui sono coinvolti figli minorenni, “si ritiene necessaria l’obbligatorietà della mediazione civile”: personalmente preferirei che continuasse ad essere necessario il giudice; nella mia esperienza di mediatore ho visto troppe coppie che trincerandosi dietro alla materia (diritto reale, divisione etc,) mi sono venute davanti in casi in cui erano coinvolti minori di 14 anni! Senza contare che il mediatore civile e commerciale non ha gli strumenti né la conoscenza per occuparsi delle questioni familiari. Semmai dovrebbe proporsi la mediazione familiare sotto al controllo del giudice.

    Ancora una parola sulla mediazione familiare, visto che l’ho evocata: da mediatore familiare potrebbe anche andarmi bene la previsione dell’obbligatorietà. Ma potrebbe rilevarsi anche un boomerang per i miei clienti che “obbligati a dover prendere coscienza di essere genitori”, potrebbero vedere l’istituto come una formalità da assolvere e non come la grande opportunità che è.

    Nei paesi ove si è resa obbligatoria la mediazione familiare, generalmente ci si è riferiti solo all’obbligo di un incontro informativo, e non alla mediazione propriamente detta.

    [1] Art. 2 decreto legislativo 28 del 4 marzo 2010 n. 28

    Controversie oggetto di mediazione

    Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto.

    Art. 2 TESTO COORDINATO DEL DECRETO-LEGGE 12 settembre 2014, n. 132

    b) l’oggetto della controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili o vertere in materia di lavoro.

    L’Enneagramma

    Che cosa significa Enneagramma?

    La parola deriva dal greco: ennea (nove) e gramma (segno)

    Come lo conosciamo nel suo aspetto odierno?

    Lo conosciamo grazie a Gurdjieff, un armeno che parlava 26 lingue (1872-1949).
    Si diffonde dopo la morte di G. tramite Ouspensky, un suo allievo, Ichazo e l’allievo di quest’ultimo lo psichiatra Naranjo
    Gurdjeff ci dice di aver conosciuto l’Enneagramma negli anni Venti in Afghanistan durante una sua visita a un monastero Sufi Naqshbandi. Lo stesso ci dice Ichazo (1964).
    La provenienza è pertanto religiosa. I coltivatori attuali dell’Enneagramma in questo ambito sono i Gesuiti

    Le idee sono molto antiche

    Omero parla già di 9 caratteri nell’Odissea e li descrive
    Per alcuno se ne occupò anche Pitagora: era la nona figura geometrica delle 10 della scuola pitagorica
    Arriva nel cenacolo platonico ed è Platone a trovare una connessione tra numeri ed idee
    Teofrasto descrive qualcosa di simile ne «I Caratteri»
    La cabala ebraica prevede un disegno simile (Albero della vita)
    Vi è un’idea dell’E. anche in Plotino.

    Che cosa è in concreto l’Enneagramma?

    È un antichissimo sistema che individua in 9 numeri gli enneatipi (ossia i caratteri) a cui un/a uomo/donna può appartenere

    Perché ci serve?

    La comprensione del carattere a cui apparteniamo può aiutarci ed eliminare quei comportamenti che ci limitano e conseguentemente a evolverci.
    Per i professionisti (di qualsiasi genere) è importante intuire il carattere del cliente per metterlo a suo agio e dunque realizzare una comunicazione che sia in grado di aiutarlo.

    La filosofia dell’Enneagramma

    Gurdjieff scrive:

    “Il risveglio di un uomo ha inizio nell’istante in cui si rende conto che non va da nessuna parte e che non sa dove andare…
    ….Altrettanto può dirsi dell’idea del bene e del male, la cui esistenza è legata ad uno scopo permanente, ad una direzione permanente, e a un centro di gravità permanente”.

    Per capire dove andare, quale è il nostro scopo e sapere ciò che è male e ciò che è bene, dobbiamo dunque risvegliarci dal sogno in cui siamo immersi. E prendere consapevolezza di ciò che siamo

    L’Enneagramma è uno strumento che serve a capire che cosa siamo, a trovare in primo luogo un centro di gravità permanente (come cantava Battiato, grande studioso dell’Enneagramma e dell’Oriente).

    Per Gurdijeff i centri di gravità permanenti sono tre: intelletto, emotività ed istinto.

    Primo passo è dunque quello di capire se abbiamo dedicato la nostra vita soprattutto a pensare, ad essere amati oppure ad agire.

    Una volta scoperto a quale centro di gravità apparteniamo ci sono tre caratteri (enneatipi) che fanno capo ad ogni centro.

    Se amo più che altro pensare posso essere un 5 o un 6 o un 7
    Se preferisco agire posso essere un 8 o un 9 o un 1
    Se mi piace soprattutto essere amato dagli altri sono un 2 o un 3 o un 4

    Ogni numero (enneatipo) interpreta una passione specifica.

    Ad es. l’1 la perfezione, il 3 il successo, l’8 il potere ecc.

    Gurdjieff chiamava queste passioni “ammortizzatori” perché ci aiutano ad affrontare la vita.

    Ma perché individuarli? Per cercare di superarli.

    Gli ammortizzatori ci fanno sopravvivere, ma limitano la nostra possibilità di crescere e di recuperare quella che è la nostra essenza, essenza che abbandoniamo sempre di più alimentando la corazza con cui ci circondiamo.

    Approfondire l’Enneagramma ci consente di “risvegliarci”, di liberarci dalle passioni che ci limitano.

    Cristo nel suo percorso terreno è stato l’unico uomo che ha posseduto tutti e tre i centri di gravità, ma nello stesso tempo era libero dalle passioni, dagli ammortizzatori che limitano noi.

    La pratica della mediazione ed in particolare la gestione del primo incontro

    Le esperienze da negoziatore e da mediatore mi hanno portato a condividere alcune considerazioni.

    Innanzi tutto sarebbe meglio che ogni mediazione fosse preceduta da una preparazione accurata tra il legale e l’assistito.

    Ciò perché spesso i clienti ritengono di avere un quadro obiettivo e completo della situazione, senza nemmeno ipotizzare che la propria visione possa essere limitata e/o comunque limitante.

    All’uopo i legali possono essere di grande aiuto e non soltanto per i profili giuridici, come si potrebbe credere. La preparazione in studio consente di porre ottime basi per una strategia che potrà essere rimodellata, se del caso, nel corso dell’incontro.

    Per imbastire una strategia efficace bisogna però porsi delle domande insieme al proprio assistito.

    In relazione al loro caso le persone sono di solito convinte di possedere tutte le risposte, ma spesso non si sono poste i quesiti che possono essere di maggiore aiuto laddove si voglia negoziare la conclusione del conflitto.

    Antecedentemente al 2013 ed in particolare del cosiddetto decreto del fare[1] le domande utili venivano poste nel corso delle sessioni di mediazione e per lo più dal mediatore.

    Da quell’anno in poi al procedimento di mediazione partecipano obbligatoriamente i legali[2] e quindi non può che spettare in primo luogo a loro unitamente ai loro difesi, di fornire un contributo alla formazione di una strategia.

    Il compito principe del mediatore dovrebbe essere quello, delicatissimo, di sondare la volontà delle parti, in merito all’entrata in mediazione, ossia alla presenza/maturazione di un disegno che sviluppato ed arricchito potrebbe potenzialmente portare ad un accordo.

    Tale indagine del mediatore, in altre parole, viene certamente supportata dalla presenza di almeno un abbozzo di strategia precedentemente all’incontro.

    Ma come costruire una linea negoziale? Accennavo a delle domande di cui fornisco qualche esempio:

    1. Mi parli della controversia. Sta tutto nelle carte o c’è o dell’altro?
    2. Ci sono problemi causati dalla sfiducia o da una cattiva comunicazione?
    3. Di che cosa ha bisogno lei per essere soddisfatto?
    4. Che cosa deve conoscere l’altra parte perché lei raggiunga il suo obiettivo?[3]

    Per porre queste ed altre domande è necessario che il consulente si cali in un particolare habitus.

    L’avvocato assistente in mediazione (ma lo stesso vale per la negoziazione) lavora con le pretese e gli interessi del suo cliente e con quelli della controparte.

    Non si occupa solo del passato (delle carte), ma anche del presente e del futuro.

    Al mediatore, a dire il vero, il passato interessa ben poco; quello che rileva è il dialogo che si sviluppa nella sessione di mediazione. E dunque focalizzarsi solo sul passato della questione portata in mediazione è controproducente o perlomeno non porta gli effetti positivi che si speravano.

    Una volta gestita al meglio la consulenza finalizzata alla negoziazione i partecipanti alla mediazione si trovano di fronte al primo incontro.

    La buona conduzione del primo incontro di mediazione deve essere appunto di responsabilità del mediatore.

    Oggi la giurisprudenza dominante in svariati fori (Firenze, Milano, Pavia, Roma ecc.) sembra essersi assestata sul concetto di mediazione effettiva[4]: ci sono pronunce soprattutto sulla mediazione demandata, ma anche su quella preventiva. In sostanza per la mediazione demandata si afferma che il giudice ha già effettuato una valutazione di “mediabilità” e dunque le parti devono iniziare il procedimento, non possono limitarsi a dichiarare che non vogliono proseguire, pena la dichiarazione di improcedibilità dell’azione. E per la mediazione preventiva il succo è che se non ci sono situazioni ostative (non opinioni; ad es. la presenza di un litisconsorzio necessario che richiede un “secondo” primo incontro) il mediatore dovrebbe invitare le parti a recarsi in segreteria e andare avanti con la mediazione.

    Le argomentazioni giuridiche che sostengono tale impostazione possono anche essere ineccepibili, ma hanno delle ricadute di tipo pratico.

    Il fatto che il giudice abbia maturato la convinzione che la questione sia “mediabile” non incentiva un intervento di qualità del mediatore. La parte potrebbe avere la sensazione che il mediatore non abbia un ruolo proprio, ma sia un semplice ausiliario asservito ai comandi del Tribunale.

    Se la “mediabilità” della controversia attiene soltanto alla configurazione giuridica si rischia di tralasciare gli aspetti psicologici.

    Si dirà che il giudice si occupa di diritto e non di psicologia, ma nella realtà è il dato psicologico che pesa sul tavolo del mediatore.

    Ma non ci si riferisce qui al fatto che le parti abbiano ventilato o meno in causa una soluzione bonaria o che siano parenti o ancora che siano in gioco rapporti di durata; si vuole intendere qui il modo di pensare degli esseri umani che nel giudizio non viene sondato, ma in mediazione sì ed è determinante se si voglia arrivare in fondo.

    Ciò che si vuol esprimere vale a maggior ragione per la mediazione preventiva: chiedere alle parti se vi sia la possibilità di iniziare la mediazione a ridosso della presentazione della funzione della procedura e delle sue modalità di svolgimento e considerare la impossibilità come fenomeno eccezionale, è come ordinare alle persone di mettersi un sacco in testa e di attraversare la strada rassicurandole che non accadrà nulla di male. Chi lo farebbe?

    Naturalmente il paradosso nasconde un ragionamento più articolato, ma credo renda l’idea.

    In ogni caso l’impostazione giurisprudenziale suaccennata non porta spesso i frutti sperati.

    E questo perché se ci limitiamo a prendere atto che c’è stata già una valutazione del giudice e/o che non ci sono situazioni che impediscono giuridicamente la sessione, come mediatori non abbiamo fornito alle parti niente di più di quello che avrebbero avuto se non si fossero seduti al tavolo.

    Il mediatore possiede da millenni una funzione sociale. In altri tempi la conciliazione era l’unico strumento che le masse avevano a disposizione dal momento che il processo era a salato pagamento: non solo gli avvocati andavano pagati, ma pure i giudici.

    E ciò peraltro ha portato alla famosa norma imputata a Federico II per cui la conciliazione non può ritardare il corso dei giudizi (lo sperimento delle conciliazioni, come atti volontari, non può comunque impedire il corso de’ giudizj [5]), considerazione che per alcuni costituisce un dettato divino, ma che è nato per il fatto che se le parti conciliavano i giudici (e prima di loro gli imperatori da Caligola in avanti) non avrebbero potuto mettere insieme il pranzo con la cena.

    Ora anche nei paesi più avanzati come ad es. il Canada, il diritto di difesa sta diventando una chimera per la mancanza di risorse economiche. Il mediatore dunque riprende la rilevante funzione che aveva nell’Italia del 1860, quando i parlamentari protestarono perché si voleva abolire il conciliatore napoletano.

    Io prego gli onorevoli miei colleghi di esaminare alquanto qual sia la condizione di coloro che si servono dei giudizi presso i conciliatori napoletani. È il basso popolo che va presso i conciliatori; innanzi ad essi si trattano le infime miserie della vita. Si parla qualche volta di otto, di quindici, di venti soldi; quasi quasi dirò che soventi la somma in contestazione sarebbe al di sotto dell’importare dell’imposta che vogliamo porre.

    L’istituzione dei conciliatori è una istituzione benefica nel Napoletano. I decurioni scelgono l’uomo più influente, il più paterno, il quale il più delle volte colle sue maniere distrugge i rancori nascenti che potrebbero, sviluppandosi, portar gravi conseguenze. La bassa gente, ad ogni contestazione che ha, siccome non le tocca fare spesa alcuna, si presenta a questo paterno magistrato, e questi con delle buone maniere fa sì che si transiga su tutte le piccole questioni che versano sopra le miserie della vita.

    Presso questo magistrato non c’è bisogno di pagare i testimoni, non c’è bisogno di pagare i procuratori; o mediante una lettera o su una deposizione di un conoscente della parte, che sia conosciuto pure dal giudice, si accettano anche i mandati di procura. In conseguenza non è che un giudizio puro e semplice, economico, una vera conciliazione, un giudizio paterno, il quale prego i miei onorevoli colleghi di por mente che produce grandissimi vantaggi alla società. Tutti quegli urti che succedono continuamente nel basso popolo del Napoletano, e che spesso se non vi fosse questo mezzo, questo sfogatoio, dirò così, di giustizia alla mano, senza spesa, potrebbero produrre grandissimi eccitamenti alle ire di quei popoli che già non hanno bisogno di essere spinti per la lor naturale vivacità, tutti quegli urti, dico, tutte le ire nascenti si appianano, si tranquillizzano con l’opera del conciliatore”[6].

    Se si dimentica il fatto che il mediatore funziona da istituzione benefica, la sua figura diviene solo un inutile aggravio sulla strada del processo.

    Come fare a mantenere questa funzione?

    Personalmente propongo alle parti uno schema che è naturalmente elastico, ma che costituisce riferimento di base.

    E su questo chiedo ai colleghi un po’ di coraggio: la mediazione come impariamo nei corsi si caratterizza perché la controversia è in mano alle parti e ai loro avvocati (almeno da noi), mentre il procedimento è in mano al mediatore.

    Spesso lo dimentichiamo oppure ci costringono a dimenticare che il procedimento è in mano a noi; ecco dobbiamo ricordarcelo e, sempre libere le parti di alzarsi dal tavolo (come recentemente ha ribadito anche la predetta sentenza C-75/16 del 14 giugno 2017 della corte di Giustizia), è il mediatore che detta le regole della sessione ed è lui deputato a verificare se queste regole siano elastiche o meno, non gli avvocati assistenti.

    Detto ciò a ridosso del discorso sulla funzione della mediazione e sulle fasi di svolgimento (5 min. max) io propongo una sessione di pre-mediazione con entrambi le parti in cui le aiuto a rinvenire elementi utili ad iniziare una mediazione, mediante domande che implichino passaggi logici.

    Perché la logica è così importante? Gli stessi giudici se andiamo a vedere, la rincorrono nelle loro pronunce, anche se per loro ha certo una funzione diversa.

    La logica in mediazione aiuta a colmare dei buchi che inevitabilmente sono contenuti in ogni storia che arriva sul tavolo.

    I buchi dipendono da molti fattori. In mediazione si parla di “filtri” che fanno passare in noi solo alcuni aspetti la realtà.

    Già il fatto di essere uomo o donna ha la sua incidenza, perché ad esempio la donna è maggiormente portata ad affrontare i problemi per cui non sembra esserci soluzione, mentre l’uomo soltanto quelli che gli paiono risolvibili. E dunque visto che l’uomo è pigro di natura, gli fa buon gioco ritenere tutte le situazioni irrisolvibili e non degne di applicazione mentale.

    Inoltre c’è da tenere conto del carattere di ognuno; per ogni soggettività ci vuole, tra l’altro, un appropriato stile comunicativo che aiuti a tirare fuori ciò che può determinare un cambiamento; per tutti cambiare percorso è naturalmente faticoso e quindi si evitano quegli aspetti della realtà che ci chiedono un mutamento. Il mediatore che lo sa imposta le sessioni riservate a misura di chi media, utilizzando un linguaggio affettivo, esplorativo o direttivo e chi ne ha più ne metta, a seconda delle esigenze.

    Ci sono ancora gli stereotipi che facilmente divengono pregiudizi quando verbalizziamo e ci privano della imparzialità e della capacità di immaginare alternative.

    Non si può poi trascurare il fatto che la realtà coinvolge in massima parte uno solo dei cinque sensi e quindi c’è chi ascolta solo le parole, chi principalmente osserva le immagini e chi si rivolge alle sue sensazioni. Ciò per aprire soltanto i giochi della comunicazione, ma anche per prendere le decisioni.  Ciò determina inevitabilmente una perdita di informazioni.

    In ultimo ci sono le caratteristiche fisiche, genetiche e psicologiche.

    Un posto particolare a mio giudizio riguarda il funzionamento della psiche, che dicevamo è logico. Di fronte ad un problema non ti fa andare avanti se non lo risolvi.

    Lo stesso Freud ammise che nella sua lunga esperienza clinica non trovò mai un paziente che non usasse la logica seppure solo a tratti.

    Qualche anno dopo la morte del maestro, Berne cercò di rendere semplice la dottrina freudiana più o meno nel modo che segue; i concetti a cui accennerò ci servono per poter comprendere perché nel nostro pensiero ci sono buchi da colmare.

    Ognuno di noi tra gli 0 e i 18 mesi riceve dai genitori dei messaggi negativi non verbali (ingiunzioni), che avranno una importanza fondamentale in tutta la vita che seguirà perché da essi continueremo a cercare di difenderci.

    I principali messaggi negativi che noi possiamo ricevere da entrambi i genitori sono 12 e derivano dai bisogni insoddisfatti del Bambino dei genitori; tra di loro il più comune è “non esistere”.

    Si può fare l’esempio del marito che viene trascurato dalla moglie dopo la gravidanza. A livello inconscio potrebbe ritenere che prima della nascita era lui “il bambino della mamma” e magari manifestare nervosismo quando entra nella cameretta del piccolo che recepisce appunto lo stato d’animo del padre e purtroppo la memoria di quella sensazione non lo abbandonerà mai se non ne acquisterà nei modi opportuni consapevolezza.

    Quando il piccolo inizia a comprendere anche il verbale dei genitori deve far fronte a dei comandi che Berne raggruppa in cinque categorie che sono dette spinte: sii perfetto, sii forte, sforzati, cerca di piacere, sbrigati.

    Di solito è una delle spinte ad essere considerata dominante, ma c’è ad esempio un adattamento psicologico che potremmo definire brillante-scettico (con terminologia psichiatrica, paranoide[7]) che si muove sotto l’influsso di due spinte, il sii perfetto ed il sii forte.

    Attorno ai tre-quattro anni il bambino concepisce la migliore strategia per rapportarsi con i suoi genitori e affrontare al meglio la realtà, attraverso una combinazione di ingiunzioni e spinte.

    Ad esempio ed in sintesi “Fino a che sono forte” (ossia non provo emozioni) “posso esistere” oppure “Fino a che sono perfetto posso essere” (per chi abbia ricevuto l’ingiunzione “non essere”).

    Questa strategia domina anche la vita della persona adulta, nel senso che si ripropone automaticamente a prescindere dall’attività che viene svolta e/o da qualsivoglia questione che si debba affrontare.

    In sintesi si possono tenere quattro posizioni esistenziali, a seconda della strategia elaborata nell’infanzia: io + tu -, io-tu+, io+tu+, io-tu-.

    Se da piccolo ad esempio ho sperimentato fosse vincente rapportarmi con arroganza e prepotenza (io+tu-) anche al tavolo della mediazione mi comporterò nello stesso modo, perché solo se sarò forte e/o perfetto potrò sopravvivere e per me essere forte e/o perfetto significa prevaricare e considerare l’altro una non-risorsa. Manifesterò quindi in automatico alcune emozioni che non sono autentiche (anche se io non me ne rendo conto) ma parte integrante della strategia: disprezzo, ira, accusa, trionfo ecc.

    La mia concentrazione si perderà dunque nel mantenimento della posizione esistenziale io+tu- e resterò in balia delle mie emozioni parassite, non prenderò in alcuna considerazione quelle opzioni che implicano la collaborazione (io+tu+).

    In definitiva in questa condizione mentale compirò quelle che si definiscono svalutazioni ossia ignorerò inavvertitamente informazioni pertinenti sulla risoluzione del problema.

    Il compito del mediatore è dunque quello di aiutarmi a individuare quelle soluzioni che vengono escluse dalla mia posizione esistenziale.

    Il rinvenimento è graduale e si nutre, come abbiamo accennato, di passaggi logici che sono stati elaborati in sede psichiatrica[8] ma che si prestano efficacemente ad ogni tipo di intervista ci possa venire in mente.

    Il mediatore pone dunque una serie di domande che devono ottenere una risposta positiva; qualora ciò non si verificasse deve approfondire quell’argomento specifico e non può andare oltre perché ciò sarebbe privo di logica.

    Facciamo un esempio a chiarimento. Il primo quesito che il mediatore porrà avrà la seguente formulazione: “Mi racconti che cosa è successo”.

    Se il nostro interlocutore ci rispondesse che non è successo niente, sarebbe poco avveduto passare alla seconda domanda ossia a “È importante per lei quel che è successo?”; è chiaro che se a mio giudizio non è successo nulla non è logico chiedermi se sia importante, né tanto meno se costituisca un problema o ancor di più se vi siano delle soluzioni.

    Per farla breve il quesito previsto dall’art. 8 del d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28: “Il mediatore invita le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la mediazione” è la domanda numero dieci della griglia su cui si basa l’intervista del mediatore; bisogna formulare ben nove domande ed ottenere nove risposte positive prima di effettuare tale invito che comunque, dice la legge, deve ottenere a sua volta una risposta positiva.

    In conclusione bruciare le tappe non aiuta le parti a superare le svalutazioni che di natura si portano appresso, non aiuta a tappare i buchi della strategia che si offre in mediazione o a creare (se l’avvocato non ha aiutato in tal senso il cliente preventivamente) una strategia da portare nella successiva sessione congiunta, tale da convincerci ad iniziare la mediazione.

    Questa intervista viene da me definita di pre-mediazione perché in essa non si fa alcun cenno alla negoziazione tipica della mediazione vera e propria.

    La negoziazione verrà sviluppata dalle stesse parti se lo vorranno una volta passate in congiunta; ci saranno momenti in cui le parti manterranno le posizioni di partenza per ottenere un riconoscimento reciproco, ma difficilmente molleranno la procedura, anche in presenza del dialogo più acceso.

    E la ragione è semplice: se il mediatore avrà ben lavorato le parti avranno un obiettivo chiaro e logico da raggiungere.

    Così il mediatore potrà svolgere al massimo la sua funzione sociale; le parti entreranno naturalmente in mediazione, basterà semplicemente darne atto a verbale da un mediatore ormai diventato autorevole, punto fermo per il miglior svolgimento della successiva negoziazione.

    [1] DECRETO-LEGGE 21 giugno 2013, n. 69 convertito con Legge 9 agosto 2013, n. 98.

    [2] V. da ultimo però la Sentenza C-75/16 del 14 giugno 2017 della corte di Giustizia, in materia di consumo (“La medesima direttiva dev’essere invece interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale prevede che, nell’ambito di una mediazione siffatta, i consumatori debbano essere assistiti da un avvocato e possano ritirarsi da una procedura di mediazione solo se dimostrano l’esistenza di un giustificato motivo a sostegno di tale decisione.”. http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=191706&pageIndex=0&doclang=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1

    [3] Cfr. Preparing mediation in https://www.americanbar.org/content/dam/aba/images/dispute_resolution/Mediation_Guide_general.pdf

    [4] V. da ultimo Sentenza Corte di Appello di Milano 10 maggio 2017 in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/18045.pdf

    [5] Art. 31 Codice per lo Regno delle Due Sicilie.

    [6] G. GALLETTI- T. PAOLO, Atti del Parlamento Italiano, Sessione del 1861, Continuazione del secondo periodo (dal 26 febbraio al 12 aprile 1862), VIII legislatura, Seconda edizione riveduta, Discussioni della Camera dei deputati, volume IV, Tipografia Eredi Botta, Torino, 1862, p.  2076.

    [7] I Legali spesso hanno questo tipo di adattamento e sono diventati avvocati proprio perché era il miglior modo per sviluppare questa identità.

    [8] Cfr. la trattazione della griglia di svalutazione in Ian Stewart-Vann Joines, L’analisi transazionale, Garzanti, 1997.

    La giustizia in Liguria ai tempi di Napoleone

    Verso la fine del XVIII secolo la Liguria fu assoggettata prima all’influenza napoleonica e poi all’annessione alla Francia.

    In Liguria troviamo in questo periodo la Giustizia di Pace su modello francese e possiamo affermare che il territorio ligure fu uno dei grandi laboratori delle scelte conciliative future.

    Per meglio comprenderne il significato della conciliazione in questo periodo si ritiene di premettere alcuni cenni storici, tenendo presente che ci interessa investigare quanto accadde a ridosso della costituzione della Repubblica Ligure.

    Orbene prima della nascita della Repubblica Ligure il potere era esercitato dalla Repubblica aristocratica di Genova.

    Dal 1576 gli organi di governo della Repubblica aristocratica erano tre: I Serenissimi Collegi[1] che avevano il potere esecutivo, il Minor Consiglio formato da 200 nobili di “congruo patrimonio”[2] che deliberava sugli affari gravi dello Stato ed il Maggior Consiglio formato da 230 nobili di basso censo che eleggeva i magistrati, deliberava sulle leggi fiscali e sulle deroghe costituzionali.

    Il Minor consiglio di fatto era l’organo che esercitava il potere e aveva dalla sua parte il popolo che vedeva nei nobili ricchi i propri insostituibili datori di lavoro, anche se col tempo era stato in parte esautorato dai Serenissimi Collegi.

    I Membri del Maggior consiglio non avevano un grande rilievo e dunque erano ostili sia ai Serenissimi Collegi sia ai membri del Minor Consiglio.

    I borghesi avevano ancor meno peso e così nella speranza di acquisirlo erano divenuti filofrancesi: in sintesi venivano manovrati dal Ministro francese Faipoult che faceva il “doppio gioco” ossia spingeva gli scontenti verso la rivoluzione e cercava al contempo di ingraziarsi i Serenissimi Collegi ed il Minor Consiglio.

    Il 22 maggio del 1797 scoppiò in Genova la rivoluzione che peraltro covava nella cenere dal 1794.

    Gli insorti costituiti dai nobili di basso rango e dai borghesi “patrioti”[3] chiesero a Faipoult di usare la forza e di prendere con le armi francesi Palazzo Ducale, ma egli si limitò a proporsi come mediatore presso il Minor Consiglio; gli insorti si sentirono traditi e rifiutarono la mediazione.

    La richiesta di mediazione di Faipoult venne però avanzata anche dai Serenissimi Collegi pronti alla resa, ossia ad accettare tramite il voto dei cittadini una nuova forma di governo che tenesse conto dei giacobini; se non che contro i rivoltosi scoppiò una rivoluzione del popolo[4] che accorse in aiuto degli aristocratici: c’è chi sostiene che ciò accadde perché gli insorti avevano aperto illegalmente le carceri ed altri fa invece riferimento alla corruzione  operata dalle monete d’oro nobiliari.

    Fatto sta che a Palazzo Ducale venne aperta così la pubblica armeria a favore degli insoliti benefattori che erano ispirati anche da ideali religiosi (celebre il loro urlo “Viva Maria”): naturalmente i senatori dissero che era stato un incidente e dunque che la difesa dei carbonari andava sospesa ed invitarono nuovamente il Faipoult a trattare, ma ogni trattativa fu vana.

    Il capo dei Giacobini Filippo Doria, dunque un nobile, venne ucciso dai carbonari il mattino del 23 e questo fu uno dei segni del fallimento dell’insurrezione che lasciò sul selciato 16 morti; inoltre i giacobini genovesi furono confusi con i cittadini francesi che vennero perseguitati nei beni e nelle persone perché i primi portavano illegittimamente una coccarda tricolore che agli occhi del popolo e dei Collegi identificava i transalpini.

    Informato della situazione in Milano Napoleone richiese al Doge di rilasciare i prigionieri francesi, di disarmare i carbonari e di arrestare i nobili che avevano orchestrato la contro rivolta.

    Nonostante l’accoglimento delle richieste almeno a parole[5] da parte del Minor Consiglio il Generale che si trovava a Mombello minacciò di procedere da Tortona contro Genova con 10.000 uomini.

    Per scongiurare l’aggressione venne inviata a Milano una deputazione dei nobili genovesi dal Minor Consiglio.

    Napoleone però si trovava a Mombello dove venne raggiunto.

    Il Generale impose alla deputazione di approvare la convenzione del nuovo governo provvisorio[6] che  tra il 5 ed il 6 giugno 1797  Napoleone scrisse di suo pugno con  indicazione dei nomi dei componenti[7] i quali peraltro non poterono rifiutare l’incarico pena una multa di 2000 scudi: tra di essi vi era anche Luigi Corvetto[8] che era considerato l’uomo più colto e “sottile” dei “provvisori”, uno stimato avvocato, un abile politico ed un buon parlatore che giocherà successivamente un grande ruolo nel Direttorio.

    Il nuovo governo provvisorio si insediò il 14 giugno 1797.  Più che di un nuovo governo in verità si trattava di un allargamento del vecchio ai borghesi (tra cui 4 avvocati, 4 mercanti ed un medico).

    La diffusione della convenzione napoleonica e il fatto che il governo provvisorio, in ottemperanza della Convenzione, avesse soppresso i titoli feudali e nobiliari determinò il rinfocolarsi di sentimenti anti aristocratici: così vennero dati alle fiamme in piazza Acquaverde il libro d’oro della nobiltà ligure, la portantina del doge, gli arredi e le vesti da cerimonia, troni ed arredi del Consiglio, e vennero abbattute le due statue dei fondatori Doria a Palazzo Ducale[9].

    I primi provvedimenti del governo provvisorio riguardarono una generale amnistia e l’ampiamento della libertà di stampa: all’unico giornale vicino all’oligarchia se ne aggiunsero altri sei di diversa opinione politica.

    Il 20 di giugno del 1997 si insediò una commissione per approntare una nuova costituzione che prese come modello la Costituzione francese del 1795.

    Ma la scelta democratica comportava un depotenziamento della Chiesa Cattolica oltre alla riduzione del potere oligarchico: questo effetto determinava a sua volta una drastica riduzione della possibilità di impiego e di commercio per il popolo.

    Così per evitare che la Costituzione venisse votata dai cittadini insorse, sobillato dal Parroco della parrocchia di S. Francesco, prima il popolo di Albaro che era particolarmente beneficiato da clero e dagli aristocratici e poi anche quello della Val Polcevera, della Val Bisagno e della Val D’aveto[10].

    La rivolta fu sedata dall’esercito francese che era stato destinato alla difesa del governo provvisorio e alle stragi militari seguirono anche le repressioni giudiziarie, specie nei confronti dei sacerdoti ritenuti contrari alla Costituzione democratica, ed infine un’amnistia che però non toccava i capi e gli istigatori.

    Il sangue versato fece però sì che il 2 dicembre 1797 fosse votata una nuova Costituzione le cui modifiche furono ancora consigliate da Napoleone.

    La Costituzione del 2 dicembre 1797 similmente a quelle delle già citate costituzioni della Repubblica Cispadana e Cisalpina, stabiliva nella nostra materia che “Non si può impedire ad alcuno di far decidere sulle sue differenze per mezzo di arbitri scelti dalle parti”(art. 223) e che “Gli affari su dei quali i Giudici di Pace, e i Tribunali di Commercio non possono giudicare né senza appello, né con appello, sono immediatamente portati dinanzi ai Giudici di Pace, per essere conciliati. Se il Giudice di Pace non può conciliarli, li rimette al Tribunale Civile”(art. 231)[11].

    I nuovi organi costituzionali della Repubblica Ligure furono il Consiglio dei Giuniori o dei Sessanta (di 60 membri) e il consiglio dei Senatori (di 30 membri): il primo deliberava i provvedimenti legislativi ed il secondo li approvava. I due corpi approvavano a loro volta cinque Direttori investiti del potere esecutivo che a loro volta eleggevano i Ministri.

    Cessò dunque il governo provvisorio e a metà di gennaio 1798 venne eletto sostanzialmente con gli stessi uomini “già provvisori”, il Direttorio di cui appunto era presidente Luigi Corvetto e che aveva come obiettivo “far regnare la concordia” il pronto stabilimento della comune felicità[12].

    Però le Casse della Repubblica e del Banco di San Giorgio erano vuote: per far fronte alla crisi finanziaria i Giuniori si autotassarono e poi si varò una tassa sulle finestre[13] contestatissima dalla nobiltà, ma inevitabile visto che gli aristocratici avevano inviato il proprio denaro all’estero e dunque rimaneva in patria solo il patrimonio immobiliare; seguì la requisizione degli ori e degli argenti non ad uso necessario di culto dalle chiese e conventi e dalla sinagoga ed una tassa per la prima volta “induttiva” sulle industrie e sui terreni che utilizzava come parametro il numero dei domestici i quali per precedente provvedimento del governo provvisorio non erano licenziabili[14].

    In questo clima si iniziò a parlare di revisione delle Giurisdizione e se ne approvarono venti, non senza contestazioni[15].

    Poi il dibattito riguardò l’età ed il diritto di eleggere i Giudici di pace e si stabilì consona l’età di 30 anni e che il diritto lo avessero i cittadini di ciascun cantone a maggioranza relativa[16].

    Il 1° giugno 1798 il Consiglio dei Sessanta deliberò d’urgenza la legge sull’”Organizzazione del Potere Giudiziario, e Amministrativo[17].

    Nel 1798 si vennero a trovare dunque in Liguria più di 200 Giudici di Pace[18] che venivano appunto eletti unitamente ai loro assessori[19] dall’assemblea cantonale[20] convocata dal “commissario di governo per ordine del direttorio esecutivo[21].

    Il giudice di pace doveva dunque avere trent’anni e durava in carico un anno, ma poteva essere rieletto[22] e risiedeva nel comune capo-cantone[23].

    Poteva appartenere alla prima o alla seconda classe: tale appartenenza ne determinava la competenza che era più ristretta nella seconda classe e consisteva nel presiedere il tribunale di famiglia in relazione agli incapaci, nel giudicare senza formalità inappellabilmente tutte le controversie sino a 50 lire (tra le 50 e le 300 il giudizio era appellabile) e le cause da danni campestri .

    I giudici di pace “provvedevano ad impiegare la loro mediazione, ed ufficio per la conciliazione di tutte le controversie eccedenti la loro competenza; e vertenti fra cittadini, dei quali almeno il reo è domiciliato nella rispettiva loro giurisdizione[24]; quindi si trattava di conciliazione preventiva obbligatoria.

    Erano di seconda classe i giudici di pace del luogo ove risiedeva il tribunale che però era itinerante e quindi si passava facilmente da un classe all’altra[25].

    I giudici di pace di prima classe invece avevano una competenza giurisdizionale sino a lire 1000, ma i giudizi erano appellabili, esercitavano la volontaria giurisdizione e la giurisdizione del lavoro sino a qualsiasi somma e si occupavano anche dei procedimenti possessori, delle apposizioni di termine, degli attentati ai corsi d’acqua dei mulini e all’agricoltura. Avevano una competenza penale per i delitti sino ad otto giorni di carcere o a 15 di “arresto in casa[26].

    Nelle cause di competenza del giudice di pace potremmo dire che non vi era un confine netto tra processo e conciliazione: <<fa egli citare la parte; forma un processo verbale, sommario di quanto le parti hanno a lui esposto; riceve anche il giuramento decisorio, che una parte a delazione dell’altra avesse accettato; descrive distintamente i punti, su de’ quali si è tra le parti convenuto>>[27].

    Il processo verbale di conciliazione veniva sottoscritto dal giudice e dalle parti che sapessero scrivere o da loro testimoni che però partecipavano alla sola lettura del “convegno” [28].

    Cosa curiosa è che la legge non prevedeva un totale fallimento della conciliazione anche se l’effetto dedotto era poi il medesimo di una completa disfatta; si prevedeva dunque che “Se non riesce a conciliare interamente le parti, trasmette al Tribunale della giurisdizione copia autentica del sopraddetto verbale con un certificato testificante, che la parte è stata inutilmente chiamata all’Ufficio di pace[29].

    Se una parte veniva citata due volte e non si presentava al tentativo il giudice di pace redigeva altro certificato testante, “che la parte è stata inutilmente chiamata all’Ufficio di pace[30].

    Senza questi certificati che andavano allegati alla petizione, il tribunale non poteva ricevere alcuna causa.

    Non si ammetteva in giudizio la presenza di “Curiali o Avvocati”, a meno che non avessero questa qualità le stesse parti in causa; in tal ultimo caso se una parte non aveva tale qualità poteva dotarsi di “Curiale od Avvocato[31].

    Vi erano poi diverse questioni dispensate dal tentativo: gli affari che interessavano la Nazione, i Comuni, l’ordine pubblico, quelli ove si ricorreva all’esecuzione parata[32] o che dipendevano da titoli di credito ed altri affari giudicati dal tribunale di commercio, gli affari per cui non era data la facoltà di transigere.

    In questa situazione intervenne il decreto napoleonico del 1805 che riformò l’intero sistema giudiziario nella Regione[33] a seguito dell’annessione della Liguria alla Francia.

    Rimase il sistema del cantone come unità di misura del circondario del tribunale e nel capoluogo di ogni cantone venne nominato dall’Imperatore un giudice di pace che aveva funzioni giudiziarie, di conciliazione e di giustizia di pace.

    Doveva avere almeno 25 anni ed era salariato dallo stato con 1200 lire nella città di Genova e 800 lire negli altri comuni e non poteva godere di nessun altro emolumento nemmeno se fosse stato nominato come arbitro.

    La principale funzione d’un giudice di pace “consiste a conciliare le parti potendo[34]: già da questa definizione si può comprendere che l’accordo in sé non aveva più centrale rilevanza.

    Tra le varie attribuzioni giudiziarie del giudice di pace vi era anche quella di giudice del lavoro[35], fino a 50 lire senza appello e per qualsiasi altra somma superiore con l’appello, di giudice delle azioni civili per “ingiurie verbali, risse e azioni di fatto”[36] e di giudice tutelare[37].

    Nelle materie che non fossero di sua competenza il giudice di pace doveva costituire un Burò[38] di Pace e di Conciliazione.

    Nessuna domanda poteva essere esaminata dal tribunale di prima istanza, se non fosse stato citato il difensore di fronte a questo organismo: si trattava quindi un tentativo preventivo di conciliazione obbligatorio.

    Erano dispensati dal tentativo gli affari che interessavano lo stato, i comuni, gli stabilimenti pubblici, i minori, gli interdetti e curatori delle successioni vacanti[39], le domande provvisorie, o che richiedono celerità[40] , quelle con l’intervento di un terzo[41], quella fatta in seguito, o in esecuzione di un giudizio tra le parti stesse o chi di ragione[42], gli affari di competenza del tribunale di commercio[43], le domande per esecuzione di convenzioni stipulate nel burò di pace[44], quelle d’immissione in libertà de main levée[45] dei sequestri, e opposizioni, quelle di pagamento di locazioni, fitti, arretrato di redditi[46] e le domande fatte contro tre parti e più, ancorché avessero il medesimo interesse[47].

    Il giudice di pace cantonale era anche giudice senza appello del tribunale di polizia, e quindi aveva una competenza penale: si trattava dei delitti la cui pena non oltrepassava i “tre giorni di travaglio, o un imprigionamento di tre giorni[48].

    Chi voleva convenire una persona in giudizio doveva citarlo per la conciliazione davanti al giudice di pace del suo domicilio, o nel caso di successione, davanti al giudice di pace della suddetta. Se le parti si conciliavano le convenzioni inserite nel verbale non avevano efficacia esecutiva[49].

    Chi non compariva al tentativo veniva multato e non poteva continuare l’udienza sino a che non avesse pagato la multa di 10 lire[50].

    In prospettiva storica e alla luce di una norma come questa peraltro non isolata nel panorama internazionale dell’epoca non sembra destare scandalo la prescrizione decisamente più blanda prevista attualmente e secondo cui: “Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio [51].

    Le regole di procedura seguite a Genova erano analoghe a quelle stabilite dall’Assemblea costituente francese del 1790[52].

    [1] Il doge, venti senatori più gli ex dogi.

    [2] Il concetto di “congruo patrimonio” era labile ed arbitrario.

    [3] Il termine giacobino, infatti, a Genova veniva visto con sospetto perché aveva una connotazione anticlericale.

    [4] Carbonari, facchini e portantini in testa.

    [5] Ma anche coi fatti in relazione alla liberazione dei prigionieri.

    [6] Da installarsi il 14 giugno 1797 secondo le intenzioni del Bonaparte.

    [7] Tutte persone lontane da posizioni estremistiche.

    [8] Cfr. la lettera del 7 giugno 1797 che Bonaparte scrisse al Doge e la Convenzione che i Genovesi ratificarono il 9 giugno 1997 in Gazzetta Universale o sieno notizie storiche, politiche, di scienza ed agricoltura ecc., Volume XXIV, 1797, p. 389-91.

    [9] Napoleone deprecò l’incidente, richiese di rimettere le statue al loro posto offrendo peraltro mezzi economici per i restauro. Luigi Corvetto ed il Faipoult riuscirono a dissuaderlo perché ciò avrebbe determinato disordini.

    [10] Una situazione analoga si ebbe anche in Sarzana, mentre i paesi rivieraschi di fatto erano ostili alla caduta del governo provvisorio perché vivevano dei commerci con la Francia. Il Ponente era del pari favorevole al nuovo corso democratico che decisero di appoggiare anche con le armi.

    [11] Cfr. H. DIPPEL, Constitutions of the World from the late 18th century to the middle of 19th century, Walter de Gruyter, 2009, p. 529-530.

    [12] Gazzetta Nazionale della Liguria 27 gennaio 1798 anno I della Libertà, p. 277.

    [13] Non la pagava soltanto chi ne aveva meno di cinque.

    [14] <<Il Governo Provvisorio affinchè una numerosa classe di Cittadini nelle attuali difficili circostanze non resti sprovvista di di suffistenza, decreta: “Di obbligare tutti li Cittadini a conservare l’istesso numero di Domestici, che avevano il giorno 22 Maggio p.p.; e qualora ne avessero già licenziati dopo il detto goiorno, rimpiazzarne il numero, o manenerli per sei mesi. Eccettua però quei Domestici, che per la cessazione della Carica Ducale, e Senatoria fosffero stati rimandati.”>> Gazzetta Nazionale della Liguria 17  giugno 1797 anno I della Libertà, p. 16.

    [15] Del rappresentante Ansaldi che considerava i Giudici come una creazione di tempi ingiusti. Cfr. Gazzetta Nazionale della Liguria 21 aprile  1798 anno I della Libertà, p. 370-371.

    [16] Seduta del 3 maggio 1798. Cfr. Gazzetta Nazionale della Liguria 5 maggio  1798 anno I della Libertà, p. 385-386.

    [17] Cfr. RACCOLTA DELLE LEGGI ED ATTI DEL CORPO LEGISLATIVO DELLA REPUBBLICA LIGURE DA’17. GENNAIO 1798. ANNO PRIMO DELLA LIGURE LIBERTÀ, Volume I, Stamperia Padre e Figlio Franchelli, Genova, 1798, p. 208 ess.

    [18] Sotto il governo provvisorio esistevano anche gli Ispettori di pace che formavano un comitato autorizzato “a decidere le differenze civili, che non eccedevano la somma di lire venti” colla facoltà di far eseguire le loro deliberazioni, mediante esecuzione forzata. Questi Ispettori che erano sostanzialmente degli arbitri erano pure autorizzati a punire con la pena correzionale di tre giorni d’arresto “le mancanze leggiere contro il buon ordine”. Cfr. il Supplemento alla Gazzetta Nazionale Genovese n. 26 del 9 dicembre 1797 in http://iccu01e.caspur.it/ms/internetCulturale.php?id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3ATO00184798_41157&teca=MagTeca+-+ICCU

    [19] Ossi agli esperti di diritto che lo consigliavano e lo sostituivano in caso di morte od incapacità provvisoria. Il loro consiglio non era vincolante, poteva sollecitarlo il giudice od anche le parti (art. 41 legge 1° giugno 1798 , n. 111) .

    [20] Essa riuniva i rappresentanti di più comuni in cui era diviso il cantone ed era presieduta dal giudice di pace.

    [21] Art. 23 legge 1° giugno 1798, n. 111.

    [22] Art. 28  legge 1° giugno 1798, n. 111.

    [23] Art. 35 legge 1° giugno 1798, n. 111.

    [24] Art. 31 legge 1° giugno 1798, n. 111.

    [25] Art.  33 legge 1° giugno 1798, n. 111.

    [26] Art. 32 legge 1° giugno 1798,  n. 111.

    [27] Art. 44 legge 1° giugno 1798, n. 111.

    [28] Art. 45 legge 1° giugno 1798, n. 111.

    [29] Art. 47 legge 1° giugno 1798, n. 111.

    [30] Art. 47 legge 1° giugno 1798, n. 111.

    [31] Art. 51 legge 1° giugno 1798, n. 111.

    [32] Riguardava le cambiali.

    [33] Decreto di Napoleone del 15 Mietitore anno 13 (15 luglio 1805).

    [34] Art. 29 Decreto di Napoleone del 15 Mietitore anno 13 (15 luglio 1805).

    [35] Ed in particolare “Dei pagamenti del salario della gente di travaglio, di quello dei servidori, e dell’esecuzione dei rispettivi accordi dei padroni e dei loro servidori, o gente di travaglio” (art. 31 lett. V).

    [36] Art. 31 lett. VI Decreto di Napoleone del 15 Mietitore anno 13 (15 luglio 1805).

    [37] Art. 33 Decreto di Napoleone del 15 Mietitore anno 13 (15 luglio 1805).

    [38] Così si esprime il testo italiano del decreto licenziato in Liguria.

    [39] Art. 37 lett. I Decreto di Napoleone del 15 Mietitore anno 13 (15 luglio 1805).

    [40] Art. 37 lett. II Decreto di Napoleone del 15 Mietitore anno 13 (15 luglio 1805).

    [41] Art. 37 lett. III Decreto di Napoleone del 15 Mietitore anno 13 (15 luglio 1805).

    [42] Art. 37 lett. IV Decreto di Napoleone del 15 Mietitore anno 13 (15 luglio 1805).

    [43] Art. 37 lett. V. Il tribunale di commercio era eletto da un’assemblea di negozianti, banchieri, mercadanti, manifattori, e armatori della città dove era stabilito il tribunale. Per diventare giudice bisognava essere stati commercianti per almeno cinque anni, il presidente per dieci. (art. 62).

    [44] Art. 37 lett. VI Decreto di Napoleone del 15 Mietitore anno 13 (15 luglio 1805).

    [45] Domanda di essere liberata da un sequestro e la relativa opposizione.

    [46] Art. 37 lett. VII Decreto di Napoleone del 15 Mietitore anno 13 (15 luglio 1805).

    [47] Art. 37 lett. VIII Decreto di Napoleone del 15 Mietitore anno 13 (15 luglio 1805).

    [48] V. articoli da 81 ad 87 Decreto di Napoleone del 15 Mietitore anno 13(15 luglio 1805).

    [49] Art. 137 Decreto di Napoleone del 15 Mietitore anno 13 (15 luglio 1805).

    [50] Art. 139 Decreto di Napoleone del 15 Mietitore anno 13 (15 luglio 1805).

    [51] con l’art. 35 sexies del D.L. 138/2011 di modifica dell’art. 8 comma 5 del D.L. 4 marzo 2010 n° 28.

    [52] Decreti 16 agosto e legge 18-26 ottobre 1790 in relazione alla procedura.

    ItalianoStoria

    Materiali per lo studio della Lingua e Letteratura Italiana, della Storia e delle Arti

    INMEDIAR

    Istituto Nazionale per la Mediazione e l'Arbitrato - Organismo di Mediazione iscritto al n° 223 del registro tenuto presso il Ministero della Giustizia

    Monica Poletti

    Interior design is our passion

    Via senza forma

    Amor omnia vincit

    telefilmallnews

    non solo le solite serie tv

    Briciolanellatte Weblog

    Navigare con attenzione, il Blog si sbriciola facilmente

    Vincenzo Dei Leoni

    … un tipo strano che scrive … adesso anche in italiano, ci provo … non lo imparato, scrivo come penso, per ciò scusate per eventuali errori … soltanto per scrivere … togliere il peso … oscurare un foglio, farlo diventare nero … Cosa scrivo??? Ca**ate come questo …

    Versi Vagabondi

    poetry, poesia, blog, love, versi, amore

    Marino Cavestro

    avvocato mediatore

    ANDREA GRUCCIA

    Per informazioni - Andreagruccia@libero.it

    beativoi.over-blog.com

    Un mondo piccolo piccolo, ma comunque un mondo

    Carlo Galli

    Parole, Pensieri, Emozioni.

    Theworldbehindmywall

    In dreams, there is truth.

    giacomoroma

    In questo nostro Paese c'è rimasta soltanto la Speranza; Quando anche quest'ultima labile fiammella cederà al soffio della rassegnazione, allora chi detiene il Potere avrà avuto tutto ciò che desiderava!

    Aoife o Doherty

    "Fashions fade style is eternal"

    PATHOS ANTINOMIA

    TEATRO CULTURA ARTE STORIA MUSICA ... e quant'altro ...

    farefuorilamedusa

    romanzo a puntate di Ben Apfel

    La Via della Mediazione

    Perché niente è più costante del cambiamento

    Psicologia per Famiglia

    Miglioriamo le relazioni in famiglia, nella coppia, con i figli.

    centoceanidistorie

    Cento pensieri che provano a prendere forma attraverso una scrittura giovane e ignorante, affamata solo di sfogo.

    ognitanto|racconto

    alberto|bobo|murru

    vtornike

    A topnotch WordPress.com site

    Dale la Guardia

    It's up to us on how to make the most of it.

    proficiscorestvivo

    A blog about travel and food - If you don't know where you're going, any road will take you there.

    postnarrativacarrascosaproject.wordpress.com/

    Postnarrativa.org è un Blog di scrittura onde far crescere limoni e raccogliere baionette, Blog sotto cura presso CarrascosaProject

    Parole a passo d'uomo

    di Cristiano Camaur

    Italia, io ci sono.

    Diamo il giusto peso alla nostra Cultura!

    tuttacronaca

    un occhio a quello che accade

    poesiaoggi

    POETICHE VARIE, RIFLESSIONI ED EVENTUALI ...

    Iridediluce

    “I libri si rispettano usandoli.” U. Eco

    Paolo Brogelli Photography

    La poesia nella natura

    TheCoevas official blog

    Strumentisti di Parole/Musicians of words

    valeriu dg barbu

    ©valeriu barbu

    Ombreflessuose

    L'innocenza non ha ombre

    existences!

    philo poétique de G à L I B E R

    mediaresenzaconfini

    ADR a 360 gradi Conciliazione, mediazione , arbitrato, valutazione neutrale, medarb e chi ne ha più ne metta