Scellerato è chi si affida all’attuale processo

Ho letto due articoli del collega Iuri Maria Prado e sono rimasto basito.

Non posso farli passare sotto il mio silenzio e del resto non ho fiducia alcuna nella redazione di Libero per un diritto di replica.

Ne va della della mia scelta di vita e quando si tocca la vita delle persone non può che esserci una reazione: questa è la mia che posso sostenere se occorre dati alla mano in qualunque tribunale.

Uno degli articoli che stigmatizzo qui è del 15 aprile 2021 ed è intitolato <<E’ scellerato smaltire l’arretrato per affidare i processi al “mediatore”>>; l’altro è del 29 aprile 2021 ed è intitolato “I diritti del cittadino diventano teorici”.

Già i titoli sono tutto un programma: nemmeno nel 2010 quando la mediazione è stata introdotta ho letto tanta acredine contro l’istituto.

Peraltro non ne capisco nemmeno la ragione. A differenza dell’avv. Prado ho letto cose interessanti nel PNRR in merito all’ADR, ma quale sia la realtà in termini di provvedimenti legislativi non si sa.
Non si sa ad esempio come sia cambiato l’impianto del d.l. Bonafede nel testo licenziato dalla Commissione.
Ricordo che con i dati delle mediazioni 2020 quello sciagurato testo si porterebbe via 42.157 procedure.
Tanto per dare un’idea di che cosa significhi questo, nel 2018 le mediazioni europee conosciute sono state 166.307 (di cui 151.923 italiane) e gli accordi sono stati 23.567 (di cui 20.903 italiani).
Ancora nel parere della Commissione giustizia sul PNRR si parla solo della negoziazione assistita ed il Parlamento si è limitato per ora a riunire il d.l. Bonafede ad un altro sull’arbitrato forense.
E visto che è scaduto il termine per gli emendamenti e non si vedono nemmeno emendamenti, non capisco dove il collega abbia recepito le sue fonti per assumere che l’Italia affidi il processo alla mediazione (magari lo facesse!): non c’è niente di pubblico. Oppure ci sono giuristi in Italia che sanno e giuristi che non possono sapere?

Non comprendo in ogni caso come un avvocato come me possa avere una opinione così distante dalla mia sulla mediazione.

Non lo comprendo in primo luogo perché entrambi abbiamo studiato e studiamo la legge e sappiamo bene che l’istituto della mediazione è arrivato nel nostro paese per forte impulso di una Direttiva europea, la 52/08. Non è dunque nato come i funghi nel 2010 per uno sghiribizzo del Governo italiano.

Non solo, ma entrambi sappiamo bene che il processo dalle origini è sempre stato a carattere misto: il giudice ha sempre richiesto dalla XII tavole in poi un intervento del conciliatore (avo dell’attuale mediatore) o dell’arbitro.

Basta studiare un poco di diritto romano ed entrambi lo abbiamo studiato.

La Direttiva 52/08 precisa che vi debba essere equilibrio tra processo e mediazione e che la mediazione costituisce accesso alla giustizia. Non è nulla di nuovo sotto il sole perché già Giustiniano aveva la stessa opinione.

Semmai abbiamo sprecato molti secoli per inseguire la chimera processuale senza avere il consenso popolare, non certo per aver cercato la concordia.

Attualmente 26 su 27 paesi UE hanno aderito alla Direttiva.

In Europa esistono 83.000 mediatori che aiutano gli stati a deflazionare – spesso mettendoci del proprio –  il contenzioso e non sono delle persone qualunque.  Il mediatore è in Europa un soggetto laureato, iscritto nel registro dei mediatori, spesso certificato dal Ministero della Giustizia o da altre Istituzioni per conto del Ministero, che ha svolto un corso di base in mediazione di un certo numero di ore e che è assoggettato a formazione continua per un dato numero di ore o di eventi. Gli si chiede di rispettare un Codice deontologico e di avere esperienza professionale.

In alcuni stati si pretende anche la copertura assicurativa (Austria, Belgio, Danimarca, Italia per gli avvocati iscritti presso gli Organismi COA, Paesi Bassi, Spagna)

Più o meno tutti gli stati richiedono che il mediatore sia ineccepibile dal punto di vista comportamentale e morale.

In Italia il mediatore civile e commerciale – che peraltro in buona parte dei casi è avvocato – opera almeno dal 1993 anche se prima si chiamava conciliatore. Solo nel 2020 ha gestito oltre 125.000 controversie. Il tasso di successo è del 28,7% quando le parti decidono di sedersi intorno al tavolo e di mediare.

Da una analisi a campione risulta al Ministero della Giustizia che il tasso di successo sale al 46,7% se le parti accettano di sedersi al tavolo della mediazione
anche dopo il primo incontro introdotto con la L. 98/2013

La mediazione dura poche ore.

Quali sono invece i risultati del processo? Il collega descrive un processo che reca soddisfazione ai cittadini; mi domando in che foro lavori, non di sicuro nel mio.

Attualmente l’efficacia dell’applicazione della sentenza in Italia è dello 0,34 (su un massimo di 1; dato WJP). Sempre che la sentenza arrivi visto che per tre gradi di giudizio in materia civile e commerciale – e sono dati forniti dal nostro Governo all’Europa – nel 2018 ci sono voluti 7 anni e 21 giorni.

Crede l’esimio collega che un cittadino possa aspettare tanto per ottenere poi così poco? Io credo di no.

Peraltro solo in primo grado ci sono oltre 2 milioni di cause di primo grado (dato Cepej 2008) di cui non si occupa nessuno, perché i 7.037 giudici (il numero è lo stesso del 1907) non sono dei superuomini; qualcuno deve aiutarli e il mediatore aiuta a comporre le liti in tempi ridottissimi.

Il collega ci vuole raccontare che si doveva insistere su un processo che non dà risposte; non cita i dati economici che escludono la possibilità per l’Italia di incrementare la macchina processuale.

Noi abbiamo il peggior debito pubblico ante covid dopo la Grecia.

Lo stato stanzia già per la giustizia le maggiori somme tra i 27 dopo la Germania.

Su 5.776 milioni di euro che il Ministero ha utilizzato per la giustizia nel 2018, ben 3.916 sono già destinati allo stipendio dei magistrati e al personale delle cancellerie.

Il resto è destinato al pagamento dei giudici non togati, a pagare affitti e bollette dei tribunali, a far fronte ai gratuiti patrocini che con la pandemia sono diventati esponenziali visto lo stato di povertà dilagante.

Non ci sono soldi per aumentare le dotazioni del processo. E le cause civili e commerciali di minore entità tra l’altro aumentano anche perché il contributo unificato da noi è troppo basso.

Se non ci fosse la mediazione a tamponare in Italia saremmo tornati all’ordalia. Non si può che aumentarne la portata se si vuole salvare il paese.

Tutta la mia solidarietà al Ministro Cartabia.

L’impasse in mediazione

Secondo il mediatore australiano Robert Angyal sono cinque le qualità che contraddistinguono il buon mediatore:
1) La capacità di mantenere la riservatezza
2) l’ottimismo
3) la persistenza
4) la pazienza
5) la capacità di evitare l’impasse
In un articolo dell’agosto scorso ci spiega mirabilmente ed in dettaglio il quinto punto.
E conclude che per selezionare il mediatore sarebbe opportuno chiedergli preventivamente:”Ha esperienza nell’evitamento dell’impasse?”.
Se il mediatore non sa di che cosa si parla è meglio affidarsi ad altre mani.
L’impasse può riguardare tre momenti: l’inizio della trattativa (Front-End), il suo corso (Mid-mediation) e la parte conclusiva (quest’ultimo momento lo definisce l’ultimo gap, Last-gap).
In Australia e più in generale nel mondo di derivazione anglosassone le parti di un conflitto, sia esso vissuto in mediazione oppure nel processo, sono abituati a farsi delle offerte.
Curiosamente invece nelle legislazioni europee le offerte delle parti non sono contemplate, mentre è contemplata quella del mediatore che invece nel mondo anglosassone attiene di regola alla conciliazione così come ci insegna l’UNICITRAL nelle Model law.
Conseguentemente nel mondo anglosassone l’impasse riguarda proprio l’effettuazione dell’offerta e l’incontro dei consensi sulla stessa.
Le dinamiche da impasse descritte comunque si presentano anche da noi.
All’inizio della mediazione l’impasse si può determinare perché ogni parte è convinta che sia l’altra a dover avanzare un’offerta oppure può accadere che la parti si facciano un offerta, ma pensino:”Siamo così lontani” e possano aggiungere 4 considerazioni
1) mi rendo conto che questa mediazione è uno spreco di tempo,
2) il mio interlocutore non sta negoziando in buona fede,
3) vedo che ho fatto bene a consigliare al mio cliente di non partecipare alla mediazione (per l’avvocato rappresentante),
4) le mie istruzioni dicono di concludere la mediazione a meno che l’altra parte non ritiri immediatamente questa offerta e faccia un’offerta più ragionevole (per l’avvocato rappresentante).
Questo impasse secondo Angyal sarebbe determinato dal fatto che le parti vorrebbero tracciare l’ambito del setting negoziale, ma che ognuna di loro sia portata a pensare che ad una propria offerta significativa corrisponderà una risposta negativa dell’altra parte e che ciò non possa che determinare una forte riduzione dello spazio negoziale.
Il buon mediatore dovrebbe spiegare alle parti questo meccanismo perché solo la conoscenza può portarle al superamento. In particolare dirà che:
1) fare una prima offerta non è poi un fatto miracoloso,
2) dato che nessun buon negoziatore la prenderebbe sul serio e nessun buon negoziatore si aspetterebbe che la sua prima offerta sia presa seriamente,
3) che le prime offerte servono soltanto ad avviare una contrattazione,
4) che può essere saggio fare una offerta di principio (quella che da noi è la posizione tracciata dall’avvocato sulla base ad esempio del risarcimento previsto da una tabella ecc. e che si esplica in citazione), non irragionevole, per tracciare il solco delle altre offerte (se ogni parte, infatti, parte dal presupposto che l’altra parte effettua proposte campate in aria la mediazione non può procedere).
Il secondo tipo di impasse (Mid-mediation) si verifica quando le parti pensano: “Sono le due e mezzo del pomeriggio, siamo qui dalle 10 del mattino e non ne verremo mai a capo e dunque riteniamo di chiudere”.
La causa dell’impasse è determinata dal fatto che una delle parti ha dimenticato quanto il mediatore ha spiegato all’inizio della procedura, ossia che ci vuole del tempo per spiegare come è nata la controversia; per chiarire i malintesi; per esplorare gli interessi delle parti; per effettuare il brainstorming su come questi interessi possano essere soddisfatti in tutto o in parte; per formulare le offerte; per prendere in considerazione le offerte e fare contro-offerte; e per venire a patti con l’idea che il compromesso è necessario per evitare il rischio di un risultato deteriore da processo od arbitrato.
Un mediatore efficace ricorderà quindi alle parti perché serve tempo ed aggiungerà trasudando ottimismo che:
1) “E ‘molto comune che si arrivi alle due e mezzo senza molti progressi evidenti. L’ho visto molte volte in passato.
2) Pensate soltanto a quale livello avete raggiunto in termini di chiarificazione del problema per preparare il terreno di una intesa.
3) Se continuare a negoziare in questo modo, c’è un’alta probabilità che possiate raggiungere una intesa”.
Il terzo tipo di impasse si verifica quando alla fine della negoziazione le parti dichiarano di non avere più offerte da avanzare, di avere raggiunto la massima concessione (“bottom line” per il chiamante e “top dollar” per il chiamato).
Le cause di questo impasse sono svariate:
1) La riluttanza a perdere alla fine nel conflitto o nel rapporto (the last dance).
2) “Ho già offerto troppo” (“Non sono disposto a dare quest’ultima goccia”; the last straw)
3) Gli avvocati sentono di dover dimostrare il loro valore continuando ad essere aggressivi.
Il mediatore efficace ha a disposizione diverse tecniche:
1) Spiegare la difficoltà della scelta di ogni parte concentrandosi sulle loro BATNA e cercare di convincerli che è meglio accordarsi piuttosto che combattere in tribunale.
2) Dividere la differenza.
3) Espandere la torta.
4) Trasferire l’ultima decisione ad un terzo.
5) Considerare la possibilità di avanzare scuse che può rendere l’ultimo sforzo meno costoso.
6) Affidare alla sorte l’ultima decisione (ad esempio tirare una moneta).

Lapalisse…

Collage

Se disegno delle linee che si incrociano posso chiamarle “linee che si incrociano” oppure rettangolo, chiave inglese oppure bastone da passeggio. Ma una volta che le ho chiamate, che le ho definite non posso più tornare indietro.
Se scrivo delle parole su un pezzo di carta e le chiamo processo, non posso dire che si tratti di una chiave inglese.
Parimenti se le chiamo mediazione, non posso dire che siano un processo, perché diversamente le avrei chiamate processo.
Gli uomini hanno una così grande urgenza di definire tutto perché in questo modo sono vanamente convinti di salvare qualcosa dalla precarietà, ma non si rendono conto di imporsi dei limiti.
Certo le convenzioni servono in una vita associata perché diversamente non riusciremmo a comunicare, ma allora cerchiamo di essere precisi una volta che ci siamo indotti a dare una definizione: il dado è tratto.
Un’altra strada potrebbe essere quella del Giappone dove il termine chotei si usa in cinque diversi sensi, senza che ci sia la minima confusione: esso indica l’istituzione o l’intero sistema di mediazione, la procedura di mediazione, l’atto di mediazione stessa, la sostanza del contratto o compromesso sancito in forma scritta ed in ultimo l’incontro dei consensi.
Ma noi non viviamo in Giappone e non crediamo nell’etica del vago.
E dunque non applichiamo alla mediazione le caratteristiche del processo, perché perlomeno per coerenza logica dovremmo applicare al processo le caratteristiche della mediazione. E sarebbe una grande confusione. Teniamoli distinti.

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