L’eremita (Seconda parte) (Scena unica-parte trentasettesima)


Solitudine

L’eremita
Se fossi sicuro di riuscire a sconfiggere l’attesa…forse riuscirei a cambiare: è quella che mi snerva perché non so che cosa attendo e soprattutto quando dovrà avvenire…tutta la vita ho avuto la sensazione di dover fare qualcosa che non sono mai riuscito ad identificare con certezza…era una condizione di forte irrequietezza, ma di volta in volta gli scopi per quanto lontani da raggiungere si presentavano e catturavano ogni mia risorsa… non c’era tempo per la noia… mi sembrava una situazione  inconcepibile…ora invece forse potrei definire noia questa attesa insopportabile dell’ignoto…e non dirmi che aspetto la morte, perché mi sembrerebbe di perdere tempo… dammi una ragione per questa stasi… tu se vuoi puoi riuscirci.

Abelardo
Che ti posso dire…noi siamo come bottiglie di vetro trasparente…ci sono molti fattori che contribuiscono a donarci di volta in volta un colore piuttosto che un altro…ma anche il vetro trasparente possiede un colore per quanto provvisorio… in natura il neutro non esiste, è una mera convenzione…l’attesa è uno dei colori, amico mio, sta a te esporti alla luce e renderlo brillante oppure rimanere nel buio…i colori non si vedono, ma ci sono lo stesso… in fondo è uno spreco per gli occhi, un colore che non si può apprezzare…ma Dio ci vede anche di notte…
Non avere paura della notte, se proprio non ne puoi o non ne devi fare a meno…ma sii sincero con te stesso…il buio inevitabile è condizione di pochi…e quegli stessi pochi cercano di solito di sfuggirlo con le tutte le loro forze

L’eremita
Facile a dirsi, ma non a farsi…non posso mica mettermi fuori dalla porta e dire a tutti quelli che passano:”ti stavo aspettando” e magari essere pure fiducioso e col cuore aperto alle esperienze…nella migliore delle ipotesi le persone mi tratterebbero come un  mendicante…nella migliore.

Abelardo
E tu provaci, potresti rimanere sorpreso…meglio che attendere soltanto la solitudine…la libertà di non sapere cosa fare è assai pericolosa…può portare a gesti inconsulti…io sono preoccupato per te…devi cercare di dipingere la tua giornata in un modo o in un altro e l’attesa potrà assumere dei significati insospettabili…una pienezza che fa bene al cuore…in fondo la tua esperienza è universale…siamo tutti pellegrini nell’attesa di qualcuno che ci dica:”ti stavo aspettando”, diversamente che senso avrebbe camminare, se non ci fosse una meta da raggiungere…sarebbe una fatica priva di senso e al mondo tutto ha un significato ben preciso…e se proprio non vuoi uscire dalla casa dove stai rintanato apri il tuo cuore…e dillo a Dio, all’Angelo custode o a Maria, che Li stai aspettando…prima o poi Qualcuno Si libererà dagli impegni…certo è che se tu non preghi, né ti cibi di Dio…Dio Si immola per qualcun altro e Maria non può intercedere se non Glielo chiedi e l’Angelo attende come attendi tu e così vi frustrate in due…chissà quanto deve patire il tuo Angelo a vederti così ripiegato su te stesso e per che cosa poi? per pensare al nulla… o meglio per dire di non pensare e costringere il cervello a pensare di non pensare…che fatica! Quella sì che è una fatica priva di senso…fai stancare anche me.
Attendi al limite solo il giorno…parti da questo piccolo grande presupposto…dillo almeno al giorno che lo stavi aspettando…anche il sole ha piacere di essere gradito, scalda con più attenzione…dillo al mare quando si placa perché anche lui ha bisogno che qualcuno respiri la bonaccia come la tempesta…ma tu devi sforzarti di capire la differenza tra la bonaccia e la tempesta…così come il mare si sforza di recare profumi diversissimi a tutti gli esseri viventi perché cerca di interpretarne le esigenze… se non ci credi soffermati sul pontile di sera e vedrai quanto può essere accogliente il calore del giorno quando si incontra con la prima brezza della sera…e non è poesia…semplice poesia…sono sensazioni che ti possono far chiudere gli occhi e dire:”Aspettavo questo, ho atteso tutta la giornata soltanto questo”.

Autore: tieniinmanolaluce

Sono attualmente avvocato, mediatore civile e commerciale, formatore di mediatori e mediatore familiare socio Aimef. Per undici anni sono stato docente di letteratura italiana e storia antica al liceo classico. Sono accademico dell'Accademia Internazionale di Arte Moderna. Scrivo da sempre senza privilegiare un genere in particolare. Ho pubblicato diversi libri anche in materie tecniche. Tra quelli letterari ricordo da ultimo: Un giardino perfetto, Poesie 2012-2016, Carta e Penna Editore, novembre 2016. La condizione degli Ebrei dai Cesari ai Savoia, Carta e Penna Editore, aprile 2017 La confessione, Dramma in quattro atti, Carta e Penna Editore, aprile 2017 Ho iniziato questo blog nel febbraio del 2006 e mi ha dato grandi soddisfazioni. Spero continuino anche su questa piattaforma. Tutto ciò dipende fondamentalmente dalla interazione con tutti voi, cari lettori.

10 pensieri riguardo “L’eremita (Seconda parte) (Scena unica-parte trentasettesima)”

  1. Sto pensando alla figura di Francesco, vorrei chiedere a tutti voi se quello a cui sto pensando ha importanza o no… voglio dire, supponiamo che Francesco fosse nato in una classe sociale inferiore…quello che porta tutti ad amarlo da subito é proprio il fatto che abbia rifiutato tutto ció che aveva, ed aveva tanto, tantissimo, ora, supponiamo che Francesco fosse giá in qualche modo parte di quella parte della societá rifiutata e abbandonata, pensate che sarebbe diventato Francesco, pensate che avrebbe avuto la stessa spinta di aiutare gli ultimi, avrebbe visto gli ultimi con gli stessi occhi di chi un giorno é stato primo?
    Per assurdo credo che per una persona che creda di non possedere niente, di non essere niente sia molto piú difficile cedere all’ariditá, é un controsenso ma forse é piú facile spogliarsi come primo passo dei beni materiali che spogliarsi dai tormenti, dai dubbi, dall’egoismo, da tutto il negativo che abita in noi nella quotidianitá. Buon fine settimana a tutti.

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  2. il solo fatto di poter dire a mia moglie TI AMO mi realizza come uomo, perchè non lo dico tanto per dire qualcosa ma lo dico con la consapevolezza di dirle, ancora una volta: “E’ tutta la vita che ti aspetto…ringrazio Dio per averti trovato!”…e rinnovare questa affermazione mi realizza e mi fa crescere ogni giorno, mi fa aprire alla vita e vado incontro agli altri con un atteggiameto di gratuità che è fecondo! Alberto

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  3. credo e ne sono convinto che la lirica TU degli scorsi giorni non sia altro che il fedele ritratto dell’eremita: un uomo che non si è realizzato, ecco il perchè di quell’orma leggera, di quel FORSE. L’eremita non ha raggiunto la piena consapevolezza di sè, non si autostima e non si afferma, come non rimane traccia dell’orma quando l’onda copre la battigia. E’ un uomo in stasi e la stasi è pericolosa, perchè non c’è crescita, non solo non si è in atto, ma neppure in potenza….fortunatamente qui sopra siamo tutti in cammino e ci teniamo per mano:c’è un forte dinamismo, grazie al cielo!!! Buon fine settimana!

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  4. attendere la solitudine dopo che si è vissuti nel caos forse può essere anche una soluzione, forse un’esperienza di eremitaggio potrebbe servire a molti, ma mi par di capire che la preoccupazione di Abelardo sia che l’eremita possa togliersi la vita perchè di fatto non ha nessuno a chi donarla…non c’è un’anima che possa raccogliere le sue carezze e lui non si sente in grado di donarle perchè vuoto ma nello stesso tempo tempo troppo pieno di sè, non ancora in grado di spogliarsi di tutte le sue infrastrutture come Abelardo tante volte gli ha chiaramente detto. Solo da spogli si può accogliere l’amore, solo così potrebbe guardare negli occhi una donna e dare un senso ed una continuità alla sua vita, ma per far ciò l’eremita dallo stato di bimbo deve passare a quello di adulto e di genitore….e la strada mi pare ancora piena di curve! Magari i nostri commenti possono aiutare Abelardo a salvarlo…chissà. Buon fine settimana a tutti!

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  5. il problema sta nel fato che l’eremita è uno che non è affatto realizzato, non è appagato nè di se stesso nè di ciò che fa…è come un bimbo in fasce! La non realizzazione è pericolosa, porta a gesti estremi, ma credo che Paolo abbia detto una cosa giustissima:dipende da cosa si vuol realizzare, cosa si pretende da se stessi…che aspirazioni abbiamo e a cosa tendiamo…San Francesco non tendeva che a poco, parlava con gli uccelli e nella sua umiltà è diventato santo…senza conoscere la noia! E state tranquilli che umilmente ha lasciato un’orma indelebile! Rossana

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  6. Ci preoccupiamo della profonditá della nostra impronta quando non sappiamo neppure riconoscere la forma dei nostri piedi. Il tubero non si preoccupa del fatto di essere piantato o meno, perché tende comunque alla vita, quello é il suo scopo, anche nel buio di un cassetto. I nostri occhi hanno la stessa funzione della luce, perché danno non solo forma al circostante, ma ne danno uno scopo. E’ nelle piccole cose che siamo responsabili. Mi viene in mente la storia dei due monaci che guardano i pesci nello scorrere del fiume e li vedono tristi o felici in conseguenza dei propri stati d’animo. Questo mondo che ci circonda e che sembra andare avanti noncurante del fatto che noi ci siamo o no, ha bisogno del nostro sguardo, del nostro sorriso, della nostra anima. La luce gli dá una forma, ma sono i movimenti della nostra anima a dargli un senso. Siamo responsabili del fatto che il Circostante si puó specchiare in noi tanto quanto noi ci possiamo specchiare in Lui… di che cos’altro abbiamo bisogno?

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  7. quando hai l’anima così tormentata non ti rendi conto che intorno a te c’è un mare che mormora ed un cielo che cambia colore…sono particolari insignificanti, perchè la mente è volta a fare a creare a produrre qualcosa di enorme, di importante, qualcosa che possa stupire tanti, di cui potersi compiacere perchè ci fa ammettere: “solo io sono in grado di fare ciò”…ma poi, una volta creata la “prodezza” che fai? ne vuoi fare un’altra, poi un’altra…e tali prodezze a che portano? se portano soldi stai pur certo che dopo un po’ cadi nella stanchezza, se non li portano rimani un frustrato perchè hai investito tutte le tue energie in qualcosa che poi non si è concretizzato..il problema è a monte: non viviamo per produrre, per far soldi, non viviamo che per lasciare tracce…i santi lasciano orme pesanti, mi spiace per chi pensa che sia un male, ma francamente certe pietre miliari sono solo un esempio da seguire e ci aiutano semmai a calcare un po’ più la nostra: l’eremita non lascia alcuna traccia di sè perchè non ha consapevolezza di sè…non sa da che parte stare, da dove incominciare per vivere. Ed è per questo che si aggrappa ad Abelardo perchè egli è in grado di condurlo per mano alle sue origini: ringraziare il sole che sorge e poter dire “Grazie giorno perchè ti stavo aspettando!” perchè in realtà stavo aspettando un’occasione per amare! Non per far soldi, non per lavorare con la finalità di portare a casa soldi, non studiare per non trasmettere agli altri ciò che abbiamo appreso…ti stavo aspettando, giorno, perchè oggi avrò l’opportunità di poter ascoltare qualcuno, di poter aiutare qualcuno, di lenire la piaga di qualcuno, di essere umile con qualcuno, di godere del colore del cielo e del mare, dei prati e dei fiori. Questo significa spogliarsi di se stessi e andare incontro al giorno…privarsi delle proprie meschinità ed affrontare il giorno nell’attesa di poter essere utile a qualcuno, fosse anche una sola parola detta con gratuità…non è poco…è poco se abbiamo altri parametri di felicità, è tanto se l’unica nostra attesa è quella di colmare il nostro cuore d’Amore. Paolo

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  8. i due commenti mi fanno venire in mente la strenua inertia di Orazio o l’inquieta inertia di Seneca. Incapace di realizzare la propria humanitas nel rapporto con gli altri o al servizio di un’idea, insoddisfatto e soffocato da una vita che non lo appaga l’eremita mi pare afflitto da una inquietudine che lo porta a spendere forse il proprio tempo in mille attività che di fatto non lo portano a nulla, se non al fatto che toglie a se stesso la possibilità di perfezionarsi moralmente e non apprende a stare da solo con se stesso…anche in confessione forse egli fugge da se stesso, è come se ne avesse paura. Se avesse timore di guardae con serenità nella sua anima

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  9. forse le ragioni di una stasi vanno ricercate solo dentro di noi:probabilmente la senzazione di fare qualcosa di grande è errata, semplicemente sbagliata, o almeno non corrisponde al grande che intendiamo noi, perchè spesso il metro di giudizio umano non corrisponde a quello divino, una madre che sta tutto il giorno dietro ai figli fa senza dubbio qualcosa di grande al pari di un capo dello Stato…bisogna vedere solo se si trova realizzazione in ciò che si fa e come lo si fa! è l’irrequietezza che frega l’eremita. Paola

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  10. come donna devo dire che l’attesa non è poi una condizione malvagia, mi riferisco ai nove mesi nei quali si aspetta una creatura e vi giuro che è un’attesa estremamente feconda. L’eremita però mi pare parli di un’attesa fine a se stessa, di un’attesa di che? che cosa si aspetta l’eremita? forse dovrebbe guardare dentro di sè e coprendere che cosa chiedere alla vita veramente, se non chiediamo non possiamo aspettare una risposta:vogliamo un compagno di viaggio, dei figli, un amore, un lavoro, una casa, dei soldi? che cosa cerca l’eremita? cerca se stesso, ma se non valorizza la sua stessa vita continuerà ad attendere invano l’ignoto. Tiziana

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