L’eremita
Mi risulta difficile parlare con Dio…così come avere rapporti con gli esseri umani…specie quando hanno bisogno di me e sono in difficoltà…non so piangere con loro, né sorridere…non piango mai nemmeno con me stesso e mi stupisco di tanta aridità d’animo…da un certo punto di vista mi sento forte, molto più forte degli altri…eppure darei qualsiasi cosa, se l’avessi, perdona la battuta… per un momento di sincero disarmo… di abbandono disperato alla fatalità del vivere con la certezza di essere compreso dai più…vorrei non essere più così solo in cima di una torre invisibile ed inutile.
Abelardo
Dio non ha dato a tutti la capacità di comunicare con le parole, ma ai più soltanto quella di creare un mondo interiore: sono tanti i pezzi di legno che non bruciano nel camino…la loro essenza sta nel resistere al fuoco… anche se all’apparenza ciò può sembrare inutile…quel che conta in certi casi è soltanto, si fa per dire, l’esistenza… anche se il significato sfugge… e forse la sofferenza di non poter colmare le nostre lacune fa il resto…come per magia.
L’eremita
Ma non ci si dovrebbe sforzare di andare incontro al prossimo?
Abelardo
L’amore non è fatto di parole soltanto, spesso il silenzio può avere una potenza dirompente…e così l’ascolto, per quanto ci possa sembrare vuoto.
Spesso non conosciamo nemmeno il vero destinatario delle attenzioni di Dio…e scopriamo con una insperata speranza che in realtà voleva parlare al nostro cuore…e che quel silenzio di cui ci facciamo una colpa era la condizione più favorevole.
Un’esperienza del genere può essere il lutto. Quando ci rechiamo a casa di qualche amico che magari ha perso un genitore crediamo spesso di portare consolazione…poi magari le parole non vengono e ci limitiamo ad ascoltare i segni di una disperazione sconfinata…la sensazione può essere quella di un grave disagio…possiamo arrivare a pensare di essere inutili…ma chi è utile davanti alla morte? Nessuno. Tuttavia è questa una conclusione che per quanto semplice ed immediata non alimenta di certo la speranza… Dovremmo invece rovesciare la domanda e chiederci a chi la morte porta utilità…se Dio permette che soffriamo per la morte altrui, ci deve essere un senso profondo…la sofferenza non è mai priva di un significato arricchente.
Chi è colpito negli affetti dalla morte diventa un catalizzatore formidabile dei messaggi di Dio… un po’ come i messaggeri divini che incontriamo nei tempi antichi e che sotto mentite spoglie si rivolgono agli eroi ed indicano la strada per le scelte più importanti…poche sillabe ci possono cambiare la vita… ci possono portare a fare un bilancio non solo sulla nostra preparazione alla morte… tutti noi siamo preparati quando il Signore decide di prenderci con Sé e allo stesso tempo nessuno è pronto ad affrontare un’esperienza così totalizzante esclusivamente con i propri mezzi… il bilancio vero e proprio avviene invece sulla nostra vita spirituale… se chi soffre ti confessa che inizia a dubitare dell’esistenza di Dio e che non riesce più a frequentare la Chiesa con l’abituale assiduità… il messaggio è chiaro… Dio sta parlando alla tua coscienza e ti fa dire da un altro ciò che sei tu… perché tu non hai alcun problema eppure dubiti…non ti manca nulla di importante eppure non ringrazi Dio.
In definitiva il morto a cui stai recitando il rosario sei tu. Guardati nella stanza e trova la vita…guarda i volti rigati dal pianto e pensa alle loro promesse, ai rimorsi che troveranno con grande fatica una soluzione; tu invece hai ancora il tempo di riportare l’armonia dove c’è dissonanza… colpevole dissonanza…sei ancora in tempo!