
A) La cronologia
Non ci sono dati precisi sulla composizione. Boccaccio nella sua Vita di Dante afferma che l’Alighieri avrebbe composto i primi sette canti dell’Inferno prima dell’esilio e che questi, ritrovati tra le sue carte, gli sarebbero stati inviati in Lunigiana nel 1306 o nel 1307 quando il poeta si trovava alla corte dei Malaspina. Questa forse è soltanto una leggenda, fra le molte sorte intorno a Dante, subito dopo la sua morte.
Tuttavia è certo che dall’ottavo canto il linguaggio dantesco si fa più robusto e personale, si svincola dalle artes dictandi, dalle locuzioni curiali e stilnovistiche. E c’è poi il primo verso del canto ottavo: ” Io dico, seguitando”; legamento che si trova soltanto qui, in tutto il poema.
Attualmente si ritiene che parti di un poema in onore di Beatrice possano essere stati inviati (si veda al proposito anche l’ultimo capitolo della Vita Nuova) a Dante, ma non si sa quali parti.
Il poema così come noi lo possediamo si può dire, in sostanza, tutto composto nell’esilio del poeta, ovvero dopo il 1300.
Di sicuro possiamo affermare che l’Inferno era già conosciuto nel 1313, e ciò vale, a partire dal 1319, anche per il Purgatorio che secondo Petrocchi sarebbe stato composto nel Casentino, ossia in provincia di Arezzo (di qui i notevoli riferimenti alla terra di Toscana)[1].
L’opinione che alcuni dantisti sostennero in passato per cui l’inizio del poema sarebbe da porre dopo la morte di Arrigo VII (1313) – sicché Dante sarebbe stato “muto” sino quasi ai 50 anni – non è oggi molto seguita.
Secondo gli antichi esegeti, Dante avrebbe atteso alla sua opera massima sino alla morte, infaticabilmente.
Cosicché il Paradiso (1316-1321) sembra portato a termine poco prima della morte dell’autore, anzi pochi giorni prima. Boccaccio ci narra che gli ultimi canti sembravano essersi smarriti: soltanto il figlio Jacopo, in una visione, ebbe l’indicazione del luogo e i canti mancanti furono ritrovati.
B) Precursori e fonti
Si può distinguere tra precursori pagani e precursori cristiani; tra i primi annoveriamo Omero[2], i Misteri orfici, Platone, Cicerone, Virgilio, Ovidio[3] Lucano, Stazio e Seneca.
Tra i precursori cristiani vi sono le scritture sacre: l’Apocalisse, il libro di Enoc; alcune opere molto diffuse nel Medioevo: la Navigatio S. Brandani, il Purgatorio di S. Patrizio, la Visione di Tundalo, la Visione di frate Alberico di Montecassino, la De Jerusalem celeste (per le gioie paradisiache) e il De Babilonia civitati infernali (per le pene infernali) entrambe di fra Giacomino di Verona, il Libro delle Tre Scritture di Bonvesin della Riva.
Gli autori cristiani tuttavia non avvicinano nemmeno lontanamente la spiritualità di Dante e sono solo la prova di quanto il genere religioso fosse diffuso.
L’unica fonte letteraria certa fu l’Eneide[4]: in particolare D. fece sicuramente riferimento al canto sesto[5], al concetto di superiore finalità del compito affidato ad Enea, alla struttura esteriore e alla figurazione dei luoghi ed esseri mitologici del Mantovano, all’idea di proiettare la vita nel regno della morte, di fondere la storia con la leggenda, il reale con il fantastico.
C) Titolo, metro e lingua
Con tutta probabilità il titolo di Commedia non è stato dato da Dante al suo poema; la parola Comedia che si ritrova in Inf. XVI, 128 (e XXI, 2) è usata per riferirsi allo stile del racconto in quei due luoghi[6] ma non ha niente a che vedere con il concetto dantesco di tragedia e di commedia (su cui si veda De Vulgari eloquentia II, IV,5); per cui l’attribuzione che presto si diffuse non era in linea con le idee dell’autore.
La Commedia infatti appartiene al genere umile per contenuto e per stile, cosí come esso è definito dalle retoriche medioevali e da Dante stesso nel suo Convivio: a questo genere, tra descrittivo e satirico, si dava l’appellativo di comico[7].
Divina fu poi un’aggiunta dei posteri, a cominciare da Boccaccio, a dire cioè che il poema era umile, ma trattava, ciò nonostante, di argomenti divini.
Solo nel 1555, a dire il vero, compare anche l’epiteto “Divina” nell’edizione veneziana del Giolito a cura di Lodovico Dolce.
Il poema si compone di tre cantiche di 33 canti ciascuna più l’introduzione nell’Inferno: il tutto quindi per un totale di cento canti.
Ciascun canto ha una media di versi un poco inferiore a 150, e presenta una lunghezza assai vicina a quella di tutti gli altri.
Il metro usato è la terzina dantesca a rima incatenata (aba, bcb, cdc,…vzv, z), così definita perché da lui utilizzata per la prima volta e derivata forse dal sirventese incatenato di tre versi o piuttosto dalle terzine del sonetto.
Il poema è in terza rima: i poemi medioevali di intendimento descrittivo e didascalico, sono in terza e in nona rima; verranno poi, con carattere narrativo, i poemi in ottava rima.
L’ endecasillabo della Commedia è in generale fortemente ritmico, e piano[8]. Rari, ma rilevabili, gli endecasillabi con l’accento spostato alla settima sillaba, che compongono il giro lungo e fermo di un’immagine eccezionale o di una sentenza perentoria.
La lingua utilizzata non è esattamente il volgare illustre teorizzato nel De Vulgari eloquentia: specialmente nell’Inferno si usano molti dialettismi toscani, fiorentini e di altre regioni; la materia da trattare era troppo vasta per usare il volgare illustre; il Paradiso tuttavia è stato scritto in una lingua superiore, nobile e dotta.
La lingua della Commedia può definirsi in generale il volgare fiorentino (ma non quello municipale e plebeo); tuttavia non si esaurisce in esso perché sono presenti molti latinismi, forestierismi e vocaboli coniati appositamente da Dante.
Importante è sottolineare che con la Commedia la lingua volgare esce dall’imitazione.
D) Disegno generale.
Il poema rappresenta la materia di un lungo sogno, o, come si diceva allora, di una visione, anzi di una mirabile visione[9].
Il viaggio nei tre regni dell’oltretomba si finge avvenuto nel 1300, l’anno del grande Giubileo romano, regnando sul trono di San Pietro papa Bonifacio VIII, lungamente avversato dal poeta.
Piú esattamente il viaggio avviene nel tempo dell’equinozio di primavera, dunque tra il finire del marzo e il principiare dell’aprile. Si snoda per sette giorni, due (dall’8 aprile, sera, al 9 aprile alle ore 18/19) spesi nello scendere l’abisso infernale, tre (dal 10 aprile, notte inoltrata, al 13 aprile mercoledì) nel salire la santa montagna dell’espiazione, due nel volare su attraverso le sfere celesti sino all’Empireo (da mezzogiorno del 13 aprile, mercoledì, a mezzogiorno del 14 aprile, giovedì).
Per la struttura dei tre regni ultraterreni, Dante accoglie la visione geocentrica sostenuta da Tolomeo nell’Almagesto e accettata da San Tommaso e dalla Scolastica, suoi costanti punti di riferimento filosofico.
Nella rappresentazione tolemaica, la Terra è una sfera divisa in due emisferi, dei quali solo quello settentrionale abitato. Al centro di questo, Dante pone Gerusalemme e ai suoi antipodi la montagna del Purgatorio, sulla cui cima si trova il Paradiso terrestre. La Terra è circondata da nove sfere concentriche, ruotanti l’una dentro l’altra, tutte contenute da una decima, l’Empireo: esso è la dimora di Dio, degli Angeli e dei beati, ed è, invece, immobile.
E) Schema dell’Inferno
L’Inferno è una voragine a forma d’imbuto che si apre sotto la superficie terrestre dell’ emisfero boreale, al cui centro sta Gerusalemme.
Superata la porta, si traversa l’Antinferno, che è una vasta pianura ove corrono dietro a una folle insegna i vili, che vissero senza assumersi responsabilità, senza aver partito o fazione, senza peccati e senza virtù.
Miracolosamente Virgilio e Dante varcano il primo dei fiumi infernali l’Acheronte, oltre il quale sta il primo cerchio o Limbo, il cerchio di coloro che, non per loro colpa, morirono senza essere stati battezzati, pur essendo vissuti onestamente. Seguono i quattro cerchi degli incontinenti, peccatori meno dannati, perché la loro colpa fu la smoderata passione, né ebbe per fine l’ingiuria o la malizia.
Ecco dunque i lussuriosi (secondo cerchio), i golosi (terzo cerchio), gli avari e prodighi (quarto cerchio), gli iracondi e gli accidiosi immersi nella palude Stige (quinto cerchio).
A questo punto vi è un canto di alta tragicità: i diavoli si oppongono a che Dante entri nella città di Dite. Ma interviene l’Angelo e la porta della città si apre.
I due poeti si incontrano con gli eretici e gli atei (sesto cerchio); poi calano giù per un burrato e percorrono il settimo cerchio dei violenti che fecero ingiuria a Dio, o al prossimo o a se stessi.
Dall’estremo margine del settimo cerchio si cala attraverso un baratro, che i poeti scendono sulle spalle del mostro Gerione, sul piano dell’ottavo cerchio, o cerchio dei fraudolenti, distribuiti in dieci fosse dette Malebolge.
Ed ecco i ruffiani, i seduttori, gli adulatori, i simoniaci, i maghi e indovini, i barattieri, gli ipocriti, i ladri, i consiglieri di frode, gli scismatici, i falsari.
Il pozzo dei giganti introduce alla parte piú profonda, riservata ai traditori e chiusa dall’ immenso corpo di Lucifero, confitto nel centro della terra.
Qui la palude di Cocito è ghiacciata; vi stanno conficcati i traditori dei congiunti, della patria, degli ospiti, dei benefattori (nono cerchio).
Nelle tre fauci di Lucifero sono eternamente maciullati Giuda, traditore di Cristo, e Bruto e Cassio, traditori di Giulio Cesare.
Sono essi tre i traditori della Chiesa e dell’ Impero. Mai come qui, in sede poetica, si esalta la concezione politico-morale di Dante: essere il genere umano ordinato provvidenzialmente da Dio su due grandi perenni istituzioni, autonome l’una rispetto all’altra, rispettivamente responsabili dell’ordine spirituale e di quello temporale.
F) Schema del Purgatorio
Il Purgatorio è un monte gigantesco che si leva sulle acque dell’emisfero australe.
Dalle foci del Tevere l’Angelo nocchiero trasporta le anime che sono destinate all’espiazione e alla redenzione sino alla spiaggia dell’isola, sulla quale si leva la mole del sacro monte.
Le prime balze costituiscono l’Antipurgatorio. Esse sono occupate dagli scomunicati, dai tardi a pentirsi e dai principi giusti, ma negligenti nelle cure religiose.
Nelle sette cornici che sovrastano l’Antipurgatorio e cui si accede attraverso la porta del Purgatorio, custodita dall’Angelo confessore, stanno rispettivamente: i superbi, oppressi dai massi che domano la loro superba cervice; gli invidiosi, che recano il cilicio e hanno gli occhi cuciti; gli iracondi, il cui amore peccò per troppo di vigore, avvolti da un denso e acre fumo; gli accidiosi, rei di amore difettoso per manco di vigore, costretti a correre affannosamente in atto di ansiosa sollecitudine; gli avari e i prodighi, uniti insieme e proni sulla nuda terra; i golosi, ridotti a estrema magrezza dall’insaziata fame e dall’insaziata sete; i lussuriosi, rei di amore difettoso per male obbietto, avvolti dalle fiamme, siano essi lussuriosi carnali, siano essi sodomiti.
Il contrappasso fra colpa e pena è evidente. La topografia morale del Purgatorio è ragionata con sottigliezza da Virgilio e poi ripresa e conclusa da Stazio.
Guide di Dante sono Virgilio e, dalla quinta cornice, Stazio, ma il primo dilegua all’apparire di Beatrice, sul Paradiso terrestre. Cosi la ragione umana cede alla Verità rivelata.
Su ogni cornice, uno o più personaggi incontrano Dante e discorrono con lui.
Fra i molti troviamo un papa, Adriano V, e due re, Ugo Capeto e Manfredi. Ma ci sono maestri di poesia, il Guinizelli e Arnaldo Daniello; amici e poeti, da Casella a Bonaggiunta, da Belacqua a Forese Donati.
Su ogni cornice sono offerti in diverso modo – per recitazione e grida e canti, per sculture, per visioni – esempi di virtù e vizi.
Ovunque Dante raccoglie preghiere, notizie, o profezie: ma per una terra distaccata, e a un tempo presente come ineliminabile oggetto di passioni, di riflessioni, di speranze.
Il paradiso terrestre, che occupa la cima della montagna, è una foresta spessa e viva: corrisponde all’Eden biblico.
Qui vissero Adamo ed Eva prima del peccato originale; qui sarebbero vissuti qli uomini nelle generazioni e nel tempo, se non fosse stato consumato il peccato originale.
Qui si svolge una grande processione allegorica, e qui Beatrice scende, rimprovera Dante, e infine lo conforta e conduce con sé.
Qui, dopo che si è allontanata l’ultima visione drammatica, quella della Chiesa schiava del re di Francia, Dante, già purificato dal fiume Lete, può essere immerso da Matelda nel fiume della virtuosa ricordanza, l’Eunoè; e qui trovarsi, alla fine, “puro e disposto a salire alle stelle”.
G) Schema del Paradiso
Secondo la dottrina geocentrica di Tolomeo, le sfere o i cieli che ruotano intorno alla terra immobile sono otto.
I sette pianeti (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) sono, in questo ordine, incastonati nei primi sette cieli, mentre le stelle fisse o costellazioni sono raggruppate nell’ottavo cielo.
Il nono cielo e Primo Mobile è un cielo teologico, non astronomico: esso riceve il movimento da Dio e lo comunica ai cieli sottostanti.
Le creature viventi sulla terra il movimento, la vita vegetativa e le inclinazioni del temperamento sono comunicate dai cieli astronomici.
Le sfere ruotano intorno alla terra saldate in un solo e compatto sistema rotatorio: perciò le sfere sono tanto più veloci, quanto più sono ampie.
Le intelligenze motrici si raggruppano pure in nove ordini: ciascun ordine presiede a un cielo.
Ai nove cieli, a cominciare dalla Luna, corrispondono i nove ordini angelici e cioè gli Angeli, gli Arcangeli, i principati, le Podestà, le virtù, le Dominazioni, i Troni, i Cherubini e i Serafini.
Gli spiriti beati risiedono nell’Empireo, ma si distribuiscono transitoriamente nei cieli per rendere sensibile a Dante il loro diverso grado di beatitudine; quando il poeta sarà giunto alle soglie dell’Empireo, tutti gli spiriti ritorneranno alla loro sede.
Essi sono, a cominciare dalla Luna: le anime che non compirono i loro voti, gli spiriti attivi che operarono il bene per conquistare fama terrena, gli spiriti amanti, gli spiriti sapienti, gli spiriti militanti per la fede, gli spiriti giusti, gli spiriti contemplativi, gli spiriti trionfanti.
Il sistema delle sfere è compreso nell’Empireo, l’infinito che sta al di fuori di ogni tempo e di ogni spazio.
[1] Secondo alcuni nel 1308 l’Inferno era finito, e nel 1313 il Purgatorio; nel 1318, a detta di Francesco da Barberino, ambedue le cantiche erano conosciute e divulgate.
[2] In particolare il cap. XI dell’Odissea: l’evocazione di Ulisse delle ombre nel paese dei Cimmeri.
[3] Nelle sue Metamorfosi descrive un viaggio agli inferi.
[4] Dante la seppe <<tutta quanta>> (Inf. XX, 114)
[5] In cui Virgilio si diffonde sulla discesa di Enea nell’Averno alla ricerca del padre Anchise.
[6] Stile inferiore rispetto a quello che caratterizza l’alta tragedia dell’Eneide.
[7] Nell’epistola a Cangrande della Scala (di non sicurissima attribuzione), Dante afferma “Incipit Comedia Dantis Alagherii, Florentini natione, non moribus” (Comincia la Commedia di Dante Alighieri, fiorentino di nascita, non di costumi), e spiega il titolo: esso, secondo le leggi della retorica medievale, deve rispondere sia all’argomento sia allo stile del poema che comincia in modo triste e termina lietamente e che è scritto in un linguaggio remissus et humilis (dimesso e umile), come si addice appunto al genere “comico”.
[8] Con l’accento tonico quindi sulla penultima sillaba.
[9] E’ evidente che la Commedia è anche la storia interiore, personale del poeta, dal tempo nel quale egli si sta perdendo e dannando moralmente sino al tempo nel quale egli, libero dall’impedimento del peccato, muove naturalmente a Dio – così come muovono a Lui le creature innocenti o redente – e ottiene, alle soglie dell’Empireo, la visione di Dio.
L’itinerario della sua anima dall’innocenza all’espiazione alla redenzione alla beatitudine è assai difficoltoso, ed è rappresentato sensibilmente dal viaggio giù fra i dannati del baratro infernale e su fra gli espianti della dura montagna del Purgatorio.
L’ultimo rito espiatorio Dante lo sostiene sulla cima della montagna, dove si distende il Paradiso terrestre, sotto l’incalzare spietato dell’inchiesta e della diagnosi implacabile di Beatrice.
Poi il trionfo della sapienza, della carità, della beatitudine attraverso il linguaggio sensibile del Paradiso: che è linguaggio di armonie musicali, di danze, di luce e di lumi.
Ma il poema è anche la storia universale della redenzione umana. E non soltanto per una ragione estetica: e cioè perché poeticamente la vicenda privata del poeta si fa universale, comunica a tutti gli uomini se stessa. Ma per una ragione costituzionale al poema dantesco. Perché Dante sente pulsare in se stesso il sangue di tutti gli uomini. Le sue esperienze ripetono quelle dell’uomo in assoluto: la subdola tentazione del peccato, lo scivolare dolce e impaurito verso di esso, la dura fatica a conquistarsi di nuovo la libertà dal peccato, il procedimento e il rito espiatorio fatto di lacrime e di sangue. Per questa programmatica universalità, l’allegoria ha il suo vero, compiuto significato. Allegoria è solidarietà, fraternità umana. E’ caritas. Dante si porta sulle spalle, oltre alla croce dei suoi peccati, la croce di tutti i peccati; e piange le lacrime dell’espiazione universale.