Appunti sulla condizione degli Ebrei nei secoli (ventottesima parte)

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Il Capo VIII delle Costituzioni è destinato a tutelare il credo ebraico e si intitola “Che gli Ebrei non debbano effere tirati per forza alla noftra Santa Fede

Il testo di questo Capo deriva da diverse costituzioni pontificie  tra cui quella del Pontefice Clemente XI del 5 marzo 1703. Il primo pontefice che espresse il principio fu  S. Gregorio I[1].

Si prevede che debba considerarsi illecita la forzatura a ricevere il battesimo[2] e che nemmeno si possano battezzare i bambini contro la volontà dei genitori[3].

Queste disposizioni nel 1828 furono estese al Ducato di Genova[4].

Sono innovative rispetto a quanto prevedeva la legislazione francese e spagnola che invece non ammetteva la libertà religiosa.

La prima legislazione favorevole agli Ebrei in merito si ritrova in Toscana alla fine del 1500 ove si prevedeva che non si potesse battezzare un bambino minore di 13 anni senza il consenso del genitore, a meno che non fosse in pericolo di vita[5].

Nell’Ottocento ci si chiedeva però che cosa succedesse se contrariamente ai principi il bambino venisse battezzato. Si prevedeva quindi che per il neofito dovesse essere impedito il pericolo di perversione e che quindi non dovesse rimanere presso l’infedele[6]; ciò valeva del resto anche per l’Ebreo che manifestasse il desiderio di essere battezzato dato che si doveva togliere dal ghetto e consegnare ai Cristiani.

In ordine a questi paragrafi e alla legislazione successiva furono affrontate alcune questioni che pare interessante riportare qui: a) che professione di fede deve abbracciare il bambino quando uno solo dei due genitori è cattolico:  fino a sette anni prevale il culto cattolico, successivamente c’è bisogno del consenso del bambino[7]; b) che professione di fede seguono i figli illegittimi di madre ebrea e di padre cattolico che non possano legittimare o riconoscere la prole[8]: quella della madre[9] ossia il mosaismo; c) che professione di fede seguono i figli illegittimi di madre ebrea e di padre cattolico che possano provvedere al riconoscimento: la religione cattolica[10]; d) se il testatore possa prevedere con una clausola che l’erede non cambi religione: ciò per l’opinione del tempo era possibile soltanto nel caso in cui il testatore si riferisse alla fede cattolica; ma era comunque inibita una clausola in cui si richiedesse di convertirsi al cattolicesimo; e) se il padre ebreo possa diseredare il figlio che si converta al cristianesimo[11]: solo per fatti successivi alla conversione da cui si ricavi ingratitudine e sempre che tale diseredazione sia espressa nel testamento[12]; l’apostasia della religione ebraica di per sé non può comportare la diseredazione.


[1] G. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, op. cit., p. 13.

[2] Il paragrafo 1 del Capo VIII già presente nel 1430 stabilisce: “Non vogliamo che fia lecito a veruno di coftringere alcun’ Ebreo di qualunque feffo fi fia, e violentarlo a ricevere per forza il Santo Battefimo, fotto pena di fcudi cinquanta d’oro, ed in diffetto di pagamento, del bando dai Stati per anni tre rispetto agli Uomini, e della carcerazione per sei mesi riguardo alle Donne”.

[3] Il paragrafo 2 del Capo VIII, attribuibile a Rex Vitt. Amedeo, precisa: ”Nemmeno fi battezzeranno contro la volontà dei Genitori i loro figlioli, che non fieno capaci dell’ufo della ragione, eccettuati i cafi, né quali foffe ciò dai Sacri Canoni permeffo fotto la pena che sopra.” La disposizione rilevando un’eccezione fa riferimento all’ipotesi in cui i bambini che siano in pericolo di vita possono lecitamente essere battezzati anche di nascosto.

[4] L. VIGNA – V. ALIBERTI, Della condizione attuale degli Ebrei in Piemonte, op. cit., p. 44.

[5] Conformemente alla dottrina di S. Tommaso.

[6] Ma la persuasione del genitore ebreo alla consegna doveva in prima battuta compiersi con buone maniere. Se ciò non bastasse l’Autorità ecclesiastica poteva chiedere alla polizia di intervenire. L. VIGNA – V. ALIBERTI, Della condizione attuale degli Ebrei in Piemonte, op. cit., p. 165.

[7] Parere dell’Avvocato Generale presso il Senato di Piemonte del 26 maggio 1816.

[8] Il caso è quello in cui l’Ebrea non fosse cittadina piemontese successivamente al 1836.

[9] Peraltro all’epoca non si poteva indagare la paternità.

[10] L. VIGNA – V. ALIBERTI, Della condizione attuale degli Ebrei in Piemonte, op. cit., p. 44.

[11] Un padre cristiano poteva diseredare il figlio per apostasia del cristianesimo. E quindi ci si chiedeva se dopo l’entrata in vigore del Codice Sardo che abrogava le costituzioni, si potesse applicare la norma anche agli Ebrei.

[12] L. VIGNA – V. ALIBERTI, Della condizione attuale degli Ebrei in Piemonte, op. cit., p. 45-46.

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