A Donatella Ferranti, membro della II Commissione (Giustizia)
Ebbene giovedì sono partito di buona mattina per recarmi al rifugio Questa: la mia intenzione era quella di coprire un dislivello di 1000 metri in tre ore ed è ciò che ho fatto.
Mentre salivo ho iniziato a pensare che tutto sommato il cammino verso una cima è un po’ come quello di una causa.
Si guarda la cartina per individuare il percorso più agevole, si consultano le previsioni del tempo, si cercano anche dei compagni perché andare in montagna da soli può essere pericoloso, ci si attrezza a seconda della presunta difficoltà del percorso e poi si parte per quella che sarà probabilmente una salita, con la consapevolezza che il dislivello che si può coprire in una sola giornata è davvero limitato.
Il diritto è un ombrello che si porta nello zaino nella speranza che si riveli di qualche utilità: serve a poco però contro i fulmini ed anzi talvolta ne amplifica la forza; può aiutare forse se si incontra una pioggia poco insistente, purché non ci sia vento, si intende; a certe altezze però il vento c’è quasi sempre.
In definitiva l’ombrello si rivela sovente e semplicemente un peso che ci grava le spalle; oltretutto non mi consta che possieda dei sentimenti o che si possano provare dei sentimenti per lui, nemmeno la gratitudine.
Nel codice civile non esiste la parola “amore”, né il vocabolo “comprensione”; certo ci può essere un minimo di riconoscimento indiretto, ma spesso non corrisponde esattamente a quello che si pensava di ottenere.
Quando il mediatore accetta di mediare è invece consapevole che le distanze da percorrere sono siderali (altro che mille metri di dislivello!) ed incolmabili per le sue umane forze; mette in conto sin da subito che probabilmente non avrà a disposizione tutta la giornata per il cammino: il tragitto è avaro, spesso concede soltanto pochi minuti…
Il mediatore non può sapere con precisione come attrezzarsi: gli strumenti che servono confida di trovarli sulla via.
Non ha con sé poi una piantina topografica il mediatore, perché ignora dove lo parti lo condurranno; non c’è necessariamente da affrontare una montagna, potrebbe anche trattarsi di un oceano oppure di un labirinto o ancora di un cul de sac.
E se ci sarà davanti una montagna il mediatore non tenterà di conquistarne la vetta, ma farà il tifo per i sentieri su cui cammina: sono i sentieri che ad un certo punto del tragitto decidono, se lo ritengono opportuno, di unirsi per raggiungere la vetta.
Il mediatore rimane di solito stremato a pochi minuti dal rifugio e ne guarda con commozione la bandiera: è stata una gran fatica, ma pure un immenso piacere fotografare il cammino percorso.
I sentieri da imboccare all’inizio sono poi sempre due: l’avvocato alpinista ne ha invece uno soltanto e spesso si perde comunque d’animo perché gli esperti della montagna non esistono.
Il mediatore non può permettersi il lusso di scoraggiarsi, anche se sa perfettamente che per buona parte della sua opera dovrà camminare in contemporanea su mulattiere scomode che tra l’altro indicano direzioni di una divergenza apparentemente insanabile.
Il mediatore è consapevole che le sue gambe dovranno allungarsi a dismisura per non spezzarsi e che il migliore degli allenamenti potrebbe non bastare.
Devono essere flessibili le sue gambe e un ombrello aperto gli farebbe di sicuro perdere l’equilibrio.
Il mediatore non si preoccupa delle previsioni del tempo: nello zaino si porta una bacchetta da rabdomante.
Non è un mago, ma un uomo fiducioso e attento che pazientemente ricerca l’energia nei sentieri.
Sa che la pioggia è di aiuto quando contribuisce a smussare le curve a gomito e a ridefinire il cammino.
Sa che le frane sono inevitabili, ma pure che i massi rotolati sulla via servono a riposarsi quando si è stanchi.
Il mediatore non ha compagni di viaggio che possano tranquillizzarlo e non cerca alleati.
Il mediatore sorride sempre anche quando i suoi piedi sanguinano senza meta, il mediatore non ha obbiettivi, sono sempre i sentieri che decidono se avere una meta comune oppure no.
Il mediatore accarezza le strade con un guanto di lana e con un gesto delicato: non ripiana le ferite della terra, ci scende dentro e condivide l’oscurità nella speranza che si riduca e che sia la stessa terra a permettere uno spiraglio di luce.
Il mediatore non fa altro che augurarsi in cuor suo che i sentieri collaborino nel grande disegno di Dio.