1b) Diritto ebraico e diritto romano
È bene forse evidenziare qui l’evoluzione del diritto ebraico Mishpat ‘ivrì): esso è sentito dai Giudei come l’ininterrotta continuazione della Torà[1] che è stata concessa da D-o[2] a Moshé Rabbenu[3] e tramandata poi di generazione in generazione.
La lettura rabbinica che riguarda gli aspetti giuridici si definisce Halachà e si propone di insegnare all’uomo come comportarsi nei vari casi della vita.
Il sistema giuridico ebraico è diviso in norme che regolano i rapporti tra uomo e D-o e i rapporti tra gli uomini: entrambi le norme sono considerate giuridiche, divine, immutabili[4] e senza contraddizioni, ma allo stesso tempo ne è consentita l’interpretazione solo agli uomini.
Per la tradizione ebraica i precetti contenuti nella Torà che ogni Ebreo è tenuto ad osservare sono 613.
Vi sono però sette precetti noachidi[5] che secondo i Giudei devono essere osservati da ogni uomo o donna:
1) divieto di idolatria;
2) divieto di bestemmia o blasfemia;
3) divieto di omicidio;
4) divieto di incesto e di adulterio;
5) divieto di furto e rapina;
6) obbligo di stabilire dei tribunali che assicurino l’ordine, la giustizia e assicurino il rispetto di tali precetti
7) il divieto di mangiare un arto tratto da un animale vivo[6].
Si debbono ricordare inoltre alcuni diritti di epoca biblica inerenti ai rapporti familiari.
Il padre ha diritto di dare in sposa la propria figlia. La madre non ha questo diritto a meno che la figlia non sia orfana.
In base alla Torà il padre non chiedeva il parere della figlia per darla in sposa, ma la dava in sposa in cambio di una somma di denaro[7] o di un’azione compiuta.
Tuttavia dal periodo talmudico la donna poteva opporsi, anche se non le era richiesto il consenso.
In tale periodo il diritto del padre è riconosciuto nel caso di figlia minorenne, ma si pone altresì il divieto per il padre di dare in sposa la figlia sino alla pubertà.
La figlia veniva fidanzata in tenera età ed il padre riceveva il prezzo del fidanzamento.
Per il fidanzamento del figlio che avveniva invece in età avanzata non si riceveva alcun prezzo.
L’adultero e l’adultera erano entrambi passibili di pena di morte, se veniva provato l’adulterio: il diritto biblico è durissimo, mentre altre leggi ammettevano che se il marito perdona la moglie anche l’adultero deve essere tenuto in vita[8].
La figlia adultera, ossia la ragazza che non ha palesato al marito di non essere più vergine e che si è prostituita quando era già fidanzata, ma dopo la maggiore età, veniva lapidata se due testimoni attestavano davanti al Consiglio degli anziani che si è prostituita.
(Continua)
[1] Letteralmente significa “insegnamento”. Essa indica in senso stretto il diritto biblico contenuto nel Pentateutico ed in senso lato, l’insegnamento ebraico della Bibbia sino ai nostri giorni.
[2] Gli Ebrei non scrivono completamente il nome della divinità.
[3] Mosè nostro maestro.
[4] Anche i Greci consideravano le leggi immutabili e preesistenti al diritto: si pensi a Licurgo che le aveva ricevute dall’oracolo di Delfi. La proposta di nuove leggi era pertanto considerata cosa eccezionale. A. BISCARDI, Diritto greco antico, Giuffré, Varese, 1982, p. 65.
[5] Dati da Noè.
[6] V. A.M. RABELLO, Introduzione al diritto ebraico, Fonti, Matrimonio e Divorzio, Bioetica, op. cit. p. 3 e ss.
[7] Il matrimonio-compera era normale anche nel mondo omerico.
[8] Codice di Hammurabi, leggi ittite ed assire.