In questi secoli spesso dovettero sostenere di discendere da quegli Ebrei che avevano pianto le ceneri di Giulio Cesare e che quindi non avevano preso parte alla crocifissione di Gesù Cristo e non da quelli che Tito aveva portato da Gerusalemme[1].
S’iniziò anche a vietare l’accesso a determinate cariche, la carriera militare[2] e la costruzione di nuove sinagoghe.
Tali provvedimenti cercavano di allontanare gli Ebrei da posti di prestigio, di farli considerare psicologicamente indesiderabili e di rendere evidente ai Cristiani che il popolo ebreo era stato dimenticato dalla fortuna e da Dio che ormai privilegiava esclusivamente la Cristianità[3].
Con le invasioni barbariche arrivarono in Italia popolazioni ariane che erano di sicuro più tolleranti nei confronti dei Giudei rispetto ai Cristiani.
Teodorico proteggeva gli Ebrei dalle violenze e permise la ricostruzione delle sinagoghe in Ravenna ed in Roma; affermò inoltre in capo ai tribunali rabbinici la giurisdizione civile quando i contendenti fossero entrambi ebrei.
La condizione era così favorevole che gli Ebrei collaborarono in ogni modo con i Goti per fermare Belisario che conquistò la penisola per conto di Giustiniano.
In particolare i Giudei difesero la città di Neapolis con la forza della disperazione[4].
Ma Giustiniano non li ricambiò: venne esteso all’Occidente un Codice che conteneva leggi discriminatorie nei confronti dei Giudei.
Procopio attribuisce la politica religiosa di Giustiniano alla sua avidità di denaro ed al suo desiderio “demonico” di nuocere al genere umano e specifica come l’Imperatore perseguitasse le varie sette eretiche, i pagani gli Ebrei ed i Samaritani[5].
Per forzare verso la conversione Giustiniano utilizzava la pena di morte, ma pure la incapacità di testare o di succedere, l’esclusione dalle cariche civili, dall’esercito e dall’avvocatura, il divieto di trasferire la proprietà.
In Francia i precetti giustinianei non ebbero però una grande applicazione nei fatti.
Si vieta comunque ai chierici di mangiare con Ebrei, si proibiscono matrimoni misti, le magistrature, le posizioni di potere civile e militare, l’osservanza del sabato, il lavoro domenicale, la comparsa tra i Cristiani a Pasqua, il contatto con le monache e la residenza nei Monasteri, la conversione al Giudaismo degli schiavi. La Chiesa cerca di imporre la conversione forzata, determinando una migrazione.
Nel 629 Dagoberto, sotto l’influsso bizantino li cacciò forse dal paese e comunque sino al IX secolo ne sentiamo parlare solo in una piccola area della Francia, la Septimania[6].
In Spagna la politica nei confronti dei Giudei è ispirata alla tolleranza sino al 587 (si ripresero i principi del Codex Theodosianus) quando fu rimessa in piedi la macchina della legislazione antigiudaica (con il re Reccaredo i Visigoti erano passati, infatti, dall’arianesimo, al cattolicesimo); la politica discriminatoria si concluderà solo con gli Arabi nel 711[7].
La Chiesa anche in questo periodo non perse occasione per ribadire il primato spirituale ed il clero locale tradusse tale concetto in violenze nei confronti di Giudei[8]e Samaritani.
[1] G. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, op. cit., p. 38.
[2] C. TH. XVI. 8. 16, data a Roma il 22 aprile 404; C.TH. XVI. 8. 24, edita da Onorio e Teodosio II il 10 marzo 418.
[3] A. M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, op. cit. 1988, p. 55.
[4] A. M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, op. cit., p. 205.
[5] V. A. M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, op. cit. p. 240.
[6] V. A. M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, op. cit. pp. 60-64.
[7] V. A. M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, op. cit. pp. 65-70 e p. 617.
[8] Un argine a tale situazione fu posto da Gregorio Magno a cui si rivolsero spesso gli stessi Ebrei.