
Dante Alighieri – Divina Commedia – Purgatorio – Canto XXXII
SINTESI
Nel canto XXXII D. è appena giunto, ormai purificato nella selva dei vari beati, e subito Beatrice gli propone immagini e motivi di riflessione sulla questione decisiva per le vicende della cristianità sulla terra, cioè il rapporto tra Chiesa ed Impero. Due sono le rappresentazioni allegoriche, necessariamente collegate, che sviluppano l’argomento: quella sull’accordo tra le due entità, e quella sulla corruzione della Chiesa:
a) l’accordo tra la Chiesa e l’Impero: è rappresentato nel gesto del grifone che lega il carro trionfale all’albero, spoglio, del bene e del male: subito i rami fioriscono meravigliosamente, e Beatrice si siede a guardia sulla radice dell’albero. Così Cristo conduce e unisce la Chiesa da Lui fondata all’Impero, garante della giustizia divina sulla terra, e subito l’unione dà i suoi fiori e i suoi frutti di Carità e Virtù, mentre Beatrice, la Verità rivelata della Teologia custodita dalla Chiesa, ha posto la sua sede a Roma, radice dell’Impero.
b) la corruzione della Chiesa: il carro trionfale simbolo della Chiesa è attaccato dall’aquila, simbolo dell’Impero, per riferirsi alle prime persecuzioni da Nerone a Diocleziano: esse fanno piegare il carro, feriscono la Chiesa, ma non la danneggiano. Quindi vi si insinua la volpe, cioè l’eresia, ma anche questa è cacciata facilmente. Poi, l’aquila depone le sue penne, ad indicare la donazione di Costantino con cui inizia il potere materiale del papato, e questo annuncia futuri mali. Ed ecco l’attacco decisivo del drago, Satana, che spacca il carro a fondo, insinuandosi ed intaccando la santità della Chiesa proprio grazie alla donazione di Costantino; infatti il carro viene completamente ricoperto da piume come il campo di grano dalla gramigna, ad indicare la corruzione dettata da avarizia e desideri terreni che devasta la Chiesa. Infine, la grandiosa metamorfosi del carro nel mostro apocalittico dalle sette teste e dieci corna, stanti ad indicare i vizi capitali; su di essa campeggiano le figure della lasciva puttana simbolo della curia romana ai tempi di D., e il geloso gigante simbolo della casata di Francia. Il gigante che stacca il carro dell’albero e lo trascina via nella selva, è l’atto conclusivo del trasferimento della corte papale, in terra di Francia, ad Avignone.
Dante Alighieri – Divina Commedia – Purgatorio – Canto XXXIII
COMMENTO
Ci troviamo nel Paradiso terrestre a mezzogiorno del 13 aprile 1300
La custode è sempre Matelda.
I personaggi sono: Beatrice, Matelda, Stazio, le sette donne-virtù
Gli elementi principali del canto sono:
1) La profezia di Beatrice: la trattazione delle grandi tematiche spirituali e politiche si conclude qui nel Purgatorio nel segno della speranza e nei termini altosonanti della profezia.
Essa si collega e completa la raffigurazione allegorica del canto precedente sulla corruzione della Chiesa, che aveva descritto e commentato la storia della depravazione originata dallo scorretto rapporto tra Chiesa e Impero fino ai tempi di Dante. Ora è il momento di annunciare i tempi nuovi del trionfo di Cristo, e ciò si sviluppa attraverso i vari momenti della profezia:
a) citazione evangelica delle parole di Cristo agli apostoli sulla sua scomparsa e sul suo ritorno;
b) il male fatto dal demonio non ha futuro, poiché giungerà la vendetta di Dio, cui nulla può opporsi;
c) l’Impero presto avrà una nuova e vera guida;
d) il corso delle stelle annuncia imminente la venuta di un messo di Dio, oscuramente indicato con l’espressione “cento diece e cinque”, che ucciderà la meretrice ed il gigante, cioè farà giustizia della corrotta curia pontificia e dei maneggi politici della casa di Francia;
e) maledizione e minaccia contro tutti coloro che osano opporsi alla volontà di Dio.
2) La sorgente dei fiumi Eunoè e Letè. Nella seconda parte del canto D. viene condotto alla sorgente dei due fiumi del paradiso terrestre, per bere dell’acqua dell’Eunoè[1], che rinnova il ricordo ed il vigore delle buone azioni.
Si tratta dell’ultimo atto della cantica, con cui si completa la disposizione di D. a salire l’ultimo regno, il sublime regno dei beati. In questa ultima operazione purgatoriale vediamo per l’ultima volta agire anche i personaggi di Matelda e Stazio[2], di cui poi non verrà più detto nulla.
3) Il rapporto tra D. e Beatrice: quasi a preparare la nuova dimensione dei rapporti psicologici tra i due personaggi a partire dal primo canto del paradiso, qui il dialogo e la disposizione dei due personaggi si fanno più articolati e vari, rispetto ai canti precedenti.
I dati più rilevanti sono la maggior comprensione e la vicinanza di Beatrice alla condizione di Dante, che chiamerà a partire da ora frate, fratello, e a cui rivolge ancora rimproveri ma in toni più sensibili e pacati; e la capacità di D., sia pure esitante e bloccato da riverenza, di esprimere i suoi pensieri i suoi dubbi con voce comprensibile.
La mutata condizione è anche da mettere in relazione con il fatto che solo ora D., superato il Letè, può considerarsi davvero purificato e quindi partecipe alla condizione di beatitudine di Beatrice.
RIASSUNTO
Le sette donne-virtù intonano un salmo di doloroso commento allo strazio del carro della Chiesa, appena narrato nel canto precedente (il salmo accennato allude alla distruzione di Gerusalemme da parte dei Caldei); Beatrice si unisce nell’atteggiamento al loro dolore, per poi elevarsi a pronunciare parole (che poi sono le ultime parole di Cristo agli apostoli) di accesa e vigorosa speranza (vv. 1-12).
Mentre tutti si allontanano dall’albero, Beatrice si prende a fianco D., lo invita a parlare e ad esprimere i suoi pensieri, ed inizia il commento alla scena cui hanno appena assistito, in toni tra l’invettiva e la profezia. (vv. 13-33)
Beatrice spiega come presto sarebbe venuto qualcuno, mandato da Dio (misteriosamente indicato nel numero cinquecento diece e cinque), che avrebbe fatto vendetta della Chiesa corrotta e della malvagia casata di Francia, e invita D. a segnare ciò che lei afferma e a ridirlo sulla terra; dica inoltre a tutti quello che ha visto accadere alla pianta di Dio, cui nessuno può far danno senza subire una gravissima pena; e se egli stesso si fosse con maggiore virtù accostato alla verità, avrebbe già compreso quanto giustamente l’uomo fosse stato escluso dai frutti dell’albero del bene e del male (vv. 34-78).
D. chiede spiegazione sul fatto che le parole di Beatrice si elevino tanto al di sopra delle sue possibilità di comprensione, e Beatrice spiega che ciò avviene per dimostrargli quanto siano limitate la filosofia e la ragione umana, di cui egli si era fatto tanto ardente discepolo; ed all’obiezione del poeta di non ricordarsi di essersi mai allontanato dal pensiero di Beatrice, cioè dal retto insegnamento della Teologia, la donna rivela che questo è il primo segno della sua avvenuta purificazione nel fiume Letè, che gli ha fatto dimenticare i peccati compiuti (vv. 79-102).
Il corteo formato da D., Beatrice, Stazio, Matelda e delle sette donne-virtù giunge e si ferma ai limiti di una zona dove l’ombra è meno fitta, e qui il poeta si stupisce incantato di fronte ad una sorgente da cui si formano due rivi, i fiumi Letè ed Eunoè.
Su invito di Beatrice, Matelda conduce D. e Stazio a dissetarsi sublimamente nelle acque dell’Eunoè, quello che esalta il vigore delle buone azioni compiute.
Da questo santo abbeveraggio D. ritorna rinnovato a Beatrice, puro e disposto a salire alle stelle, pronto cioè ad ascendere al Paradiso (103-145).
[1] «Il fiume dei buoni pensieri», dal gr. êu, bene, e nûs, pensiero.
[2] Poeta latino, nato a Napoli attorno al 45 d.C. e morto nel 96; è il celebre autore della Tebaide e della Achilleide. Dante lo confonde, come tutto il Medioevo, con Lucio Stazio Orsolo, retore di Tolosa, vissuto sotto Nerone, poiché la sua origine napoletana è documentata nelle Silvae, le rime riscoperte solo nel 1417. D., come già sappiamo, lo incontra nella cornice degli Avari e prodighi (canti XXI e XXII) e poi Stazio lo seguirà negli altri canti con un ruolo non così approfondito; è colui che spiega a Dante la struttura morale del Purgatorio