Quando a scuola studiai la storia dell’indipendenza americana mi fecero presente che nella Dichiarazione del 4 luglio 1776 si parlava di diritto alla felicità.
Esattamente il testo recita: “Noi riteniamo che sono per sé stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità;…”.
Già da una attenta lettura del testo peraltro si evince che non è proprio così perché non sta scritto che gli uomini hanno il diritto alla felicità, ma che hanno il diritto al perseguimento della felicità.
Questo ” diritto al perseguimento” sta alla base del principio liberale e del sogno americano, ma non solo.
Lo stesso motto repubblicano “Liberté, Égalité, Fraternité” non ci consegna uno status di libertà; la libertà è sempre stata intesa nel senso che il ricco rimaneva ricco e che il povero, se intraprendente, poteva sulla carta diventare ricco.
Così ci raccontava peraltro a suo tempo anche Norberto Bobbio.
Io non sapevo all’epoca che il termine “perseguimento” venne ispirato ai compilatori della Dichiarazione di indipendenza dal filosofo tedesco Christian Wolff che usa spesso appunto il verbo latino “promovere“.
Officia humanitatis sunt officia erga alios, quibus eorum perfectio, consequenter felicitas promovetur (I doveri degli uomini si esplicano nei confronti degli altri e dal loro raggiungimento consegue la promozione della felicità).
Come si può agevolmente capire il pensiero di Wolff era un po’ diverso dai suoi sviluppi: la felicità era vista come una naturale conseguenza delle nostre azioni virtuose, ma non come il fine.
Costitutivi del diritto naturale sono per Wolff i doveri degli uomini. Non esiste un diritto alla felicità come diritto naturale, ma un dovere di rendere felici gli altri e da questo dovere discende la nostra felicità.
E chi promuove la felicità altrui, promuove anche la perfezione altrui (Quoniam qui aliorum felicitatem promovet, eorundem perfectionem promovet).
Wolff ha chiaro il concetto che gli uomini sono felici quando sono destinatari dei beni materiali e di quelli che dispensa il caso (Bona corporis et fortunae ad felicitatem hominis quid conferunt), ma avverte pure che se non sono uniti alla virtù non valgono alcunché (Bona corporis et fortunae non parunt existimationem, honorem ac laudem, nisi quatenus concursu virtutum…).
Diritto alla felicità
