Una interessante distinzione nell’antica Roma era quello tra foro e forum.
Il foro era l’insieme degli organi che amministravano la giustizia, ad esclusione del popolo.
Il foro indicava anche il luogo fisico ove si amministrava la giustizia che era costituito da una serie di portici che davano su una piazza ove si riunivano le tribù romane.
Il popolo era legislatore e giudice e veniva chiamato forum. In linea di principio tutte le cariche dello Stato erano soggette al forum, ma da Giulio Cesare in poi la maggior parte delle questioni approdavano in Senato che era un organo asservito ai principi.
Il foro indicherà in seguito l’ordine degli avvocati che in francese viene detto barreau dalle barre di legno dietro a cui in ad un certo punto staranno gli avvocati.
Ma originariamente le persone che a Roma o in Grecia ambivano alle cariche pubbliche non diventavano avvocati, ma retori.
I retori che ad un certo punto diventarono in qualche caso anche avvocati prestavano la loro opera gratuitamente. Stiamo parlando di Pericle, Demostene, Nicia, Ortensio, Cicerone e la lista potrebbe proseguire.
Queste figure di retori-avvocati a Roma diventavano spesso tribuni ed ebbero un largo seguito di tutti i ceti sino a quando il loro servizio venne prestato senza corrispettivo.
La cosa cambiò quando si iniziò a pretendere denaro. Si fecero leggi per frenare la rapacità degli avvocati (ad esempio legge Cinzia o munerale del 204 a.C. a cui Augusto aggiunse pene afflittive) e l’imperatore Claudio stabilì che non potessero guadagnare più di 10 sesterzi grandi a causa (1800 franchi del 1845).
Ma fu tutto inutile e l’arte oratoria degenerò in mestiere. Venne l’abitudine di fare grandi scarpe per piccoli piedi. Aristofane, Cicerone e Quintiliano si lamentarono invano di quel che succedeva.
Quindi il foro romano si divise in due categorie: i giureconsulti (patroni de iure respondentes) e gli avvocati discutenti (causidici).
I giureconsulti (Papiniano, Ulpiano, Paolo ecc.) formavano una sorta di magistratura privata che fiorì sotto gli imperatori.
I causidici o avvocati venivano al contrario presi in giro da Giovenale perché per distinguersi avevano alle dita delle mani anelli tempestati da pietre preziose e quando andavano in tribunale (basilica) si circondavano di un corteggio quasi regale.
In tempi imperiali gli avvocati che erano per lo più di nazionalità gallica, greca e latina decisero per lo più di mettersi a servizio di imperatori come Tiberio e Domiziano, ossia dei despoti. Di solito venivano utilizzati come spie, così almeno ci riferisce Tacito.
Quando i Franchi arrivarono in Francia trattarono i vinti con una certa moderazione e ciò si può dire anche con riferimento agli avvocati.
I Franchi conservarono le discussioni nel foro, ma vi aggiunsero qualcosa di proprio.
Dopo aver discusso davanti al giudice e quindi di aver tentato la conciliazione se la contestazione era ancora difficile da sciogliere, i due avversari si ritrovavano in campo chiuso e al giudizio di Dio si combattevano ad oltranza.
Il giudizio di Dio invenzione dei Ripuarii non escludeva discussioni precedenti, almeno quando si trattasse di sudditi Gallo-romani.
Tutto ciò risale a VI secolo dopo Cristo e la legge che ne ebbe il merito si chiamava Gombelta (501).
In pratica se le parti non si accordavano amichevolmente e si rifiutavano di giurare gli veniva deferito il duello.
I difensori delle parti venivano chiamati clamatores da clam che significava azione (plaidours in francese).
A fronte di una paga si incaricavano di sostenere le difese; in ogni tribunale erano eletti gli uomini probi e i più istruiti alla presenza del duca o del conte. Erano un corpo di persone revocabili come quello dei magistrati.
Il loro lusso era così sfrenato che Carlo Magno con un capitolare vietò loro di andare in udienza con più di 30 cavalli.
Vi erano poi dei laici nobili che si proclamavano difensori e rappresentanti delle chiese, delle comunità, dei monasteri, delle province e delle città; essi venivano detti advocati, defensores, causidici (in fancese uvoueries). Questi nobili laici vennero presto eretti come feudatari oppure come vassalli dei loro clienti.
I capitolari estesero in tutto il sacro romano impero l’uso del combattimento giudiziario che sostituì così le prove della croce, dell’acqua fredda e dell’acqua bollente a cui era legato soprattutto il clero.
Il combattimento giudiziario coinvolgeva tutti gli attori del processo. Se il giudice citava qualcuno e questo non si presentava in giudizio il magistrato combatteva con la parte e la parte con il testimonio; la parte non contenta del giudizio si appellava e combatteva contro il suo giudice. I servi combattevano a piedi col bastone ed i nobili a cavallo.
Siccome vennero a mancare i giudici si introdusse l’appello per errore di diritto che non contemplava duello.
La giustizia romana scomparve e ai giureconsulti ed avvocati furono sostituiti da campioni che assomigliavano a gladiatori e che appunto a fronte di una retribuzione si incaricavano di difendere una causa qualunque.
Con Carlo il Calvo (860) la Francia si coperse di giurisdizioni; re, nobili e clero avevano i loro tribunali canonico particolari. Quelli del re si chiamava parlamento e si occupava di questioni pubbliche e private ed era formato da baroni, ecclesiastici, teologi e giuristi.
I giuristi furono chiamati perché a quel tempo vigevano quattro diritti: feudale, canonico, civile e statutario e chi non era giurista non sapeva districarsi; la procedura era poi qualcosa di impossibile.
Il diritto romano era conosciuto assai vagamente dai giuristi.
Ma due secoli dopo successe un fatto che cambiò tutto. Nel saccheggio di Amalfi (1133) un soldato trovò un manoscritto legato con oro e con la copertina di diversi colori. Lo portò a Lotario II che era imperatore di Germania.
Si trattava dei 50 volumi delle Pandette di Giustiniano.
Lotario lo donò alla città di Pisa e si fece solo delle copie. Italia, Francia e Germania adottarono subito la nuova legislazione; il manoscritto fu deificato ed ottenne un culto particolare.
Tutta la giurisprudenza passata fu messa da parte. La Santa sede si inquietò sia per la deificazione sia per l’abbandono della vecchia giurisprudenza.
Un concilio di Tours (1180) vietò ai religiosi di fuggire dai chiostri per studiare il diritto romano.
Nel 1225 Onorio vietò con un decretale lo studio del diritto romano ai chierici ed ordinò che i contravventori venissero cancellati dall’albo degli avvocati e pure scomunicati.
Queste proibizioni fecero sì che da questo momento in poi fossero i giuristi laici ad occuparsi di diritto romano. Il Digesto venne visto dal re come il rivestimento del nuovo Cesare, ma ci vollero secoli per affermare le nuove regole perché i re di Francia non volevano inimicarsi la Chiesa.
Sta di fatto che nelle decisioni più importanti dei re dal 1200 in poi c’è sempre stato lo zampino dell’avvocatura.
Un nome per tutti: Robespierre faceva l’avvocato.
In altre parole sino al 1790 l’avvocatura svolse un ruolo politico.
Ed ebbe in cambio dignità e ricchezza.
Si pensi che erano anche esenti dalle imposte.
A Parigi nel 1790 c’era un quartiere dedicato a loro residenza (St.-Jacques) ed erano in numero di 600. Nel 1845 furono sostituiti dagli studenti e dai tipografi: per chi non la conosce sembra di parlare dell’attuale Via Balbi a Genova.
I più abili erano avvocati del parlamento, poi c’erano gli avvocati detti UTILI che si occupavano delle controversie nei tribunali e che dipendevano dall’arbitrio dei procuratori; altri si dedicavano come oggi solo alla redazione delle memorie ed altri ancora erano segretari di magistrati e ricevevano le lagnanze (insomma erano dei cancellieri).
Fra di loro erano molto corretti e si scambiavano tutti gli atti e produzioni senza ricevuta od elenco: già all’epoca dunque esisteva la discovery e veniva chiamata comunicazione dei sacchi.
Ogni sabato dalle 12 alle 19 davano consulti gratuiti (consulti di carità) a tutti i poveri che si presentavano, come facevano del resto già i giuristi dell’antica Roma.
Le cose cambiarono con la Rivoluzione francese perché l’avvocatura si schierò coerentemente per il re e i rivoluzionari non la perdonarono.
L’ordine fu cancellato: quello che non tutti sanno è che gli stessi legali, percepito che cambiava il vento, votarono segretamente per l’abolizione; in cambio 183 di loro entrarono nell’Assemblea Costituente.
Il nome avvocato venne cancellato dal dizionario ed al suo posto si parlò di uomo di legge e di difensore officioso.
Nonostante ciò furono gli artefici più convinti del periodo del Terrore. Tanto che il Direttorio fu chiamato il regno degli avvocati; solo non si macchiarono di corruzione e di concussione.
L’ordine non ricomparve che con la Monarchia. Fu Napoleone a restaurarlo nel 1810.
Napoleone non amava gli avvocati; un avvocato era per lui la personificazione di tutto ciò che vi era di ciarliero, di debole, di inutile e di oppressivo; egli considerava la loro influenza politica come il più pericoloso dissolvente di ogni governo. Così col decreto del 1810 li pone comunque sotto la dipendenza del pubblico ministero e dunque cercò di stroncarne comunque le ambizioni politiche.
Nel 1812 gli avvocati erano solo 300 e nel 1838 solo 800 ed avevano per lo più rinunciato alla professione UTILE. Così facevano i soldati, gli agenti immobiliari e svolgevano ruoli commerciali proibiti dal regolamento, altri semplicemente scrivevano sul biglietto da visita che erano avvocati alla corte reale, ma qui nulla facevano.
Nel 1845 per arginare la crisi dell’avvocatura il consiglio dell’ordine faceva un’assicurazione che copriva il danno se i clienti non pagavano o pagavano male. Una pensione di 400 franchi era destinata agli orfani, agli invalidi e alle vedove.
Cfr. Dizionario delle date, dei fatti, luoghi ed uomini storici o repertorio alfabetico di cronologia universale contenente … pubblicato a Parigi da una Società di dotti e letterati sotto la direzione di A.-L. d’Harmonville, Volume 3,1845