2121 anni prima di Cristo: un colloquio tra Kao-yao e Yu, imperatore della Cina

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A Giorgio Napolitano

Il Sovrano (rispose Kao-yao) è per così dire il principio e la sorgente della condotta del suo popolo.

S’egli conserva una gravità maestosa e veglia con un’attenzione continua sopra a se stesso: se osserva con esattezza tutti i regolamenti stabiliti nei suoi stati, né mai discorda da sé tanto nei suoi discorsi che nelle sue azioni; se si lascia avvertire con docilità e si corregge dei suoi difetti; se si ricorda continuamente che la perfezione non consiste solamente nel ben cominciare, ma nel continuare ancora sino alla fine; si può dire che tal Principe è veramente degno di regnare.

Quanti grandi vantaggi risulterebbero da ciò! La sua famiglia ed i Grandi si farebbero un dovere di seguire il suo esempio; le persone savie dell’impero si darebbero tutta la premura di ben servirlo; né vi sarebbe chi non sentisse vergogna di non praticare la virtù.

Essendo così ben regolata la sua famiglia e la sua Corte tutto l’impero si livellerebbe sul modello del Principe; ed i suoi vicini parteciperebbero d’una tanta felicità.

Ciò non è tutto: conoscere se stesso e correggersi dai propri difetti non basta ad un sovrano.

E’ anche necessario ch’egli studi il cuore degli uomini, e che sappia distinguere le buone e le malvagie qualità di coloro che lo devono servire, che conosca il genio dei suoi popoli; e che sappia trovare la maniera per renderli felici.

Ah quanto è difficile (disse Yu) per il potere arrivare a tanto! Aver la prudenza di discernere le qualità degli uomini, le loro inclinazioni e talenti per impiegarli ove lo richieda il bisogno, ciò è quasi impossibile. Qual cosa è più incostante e variabile del cuore del popolo?

Saperlo ricompensare e punire quando esso lo merita, persuaderlo che non si opera se non per amore del bene generale; sottoporlo senza che esso se ne lamenti ai più giusti castighi; illuminare le persone più stupide; raddolcire i cuori intrattabili in modo che essi amino egualmente e la mano che li castiga e quella che li ricompensa; certamente allo stesso grande Yao (precedente imperatore della Cina)  sarebbe stato difficile arrivare a tal segno.

Se un Sovrano riunisse in se stesso tutte queste qualità che cosa mai potrebbe temere da Hoan-teou e da Yeou-miao? Per quanto ribelli e corrotti essi fossero, essi correrebbero senza alcun dubbio a sottomettersi volontariamente da se medesimi. Che potrebbero poi mai sperare quei furbi e quegli adulatori di professione i quali non pensano che ad ingannarlo? I popoli nulla avrebbero più da temere da quella sorte di gente.

Sebbene sia difficile conoscere se uno uomo sia o no virtuoso (replicò Kao-yao), si può nondimeno, esaminandolo da vicino, arrivare a conoscerlo. La virtù non è ideale, ma ha in se stessa della realità: è attiva; e non è virtù se non quando lascia d’essere concentrata in sé medesima. Una persona savia che non fa passi falsi ed un uomo virtuoso sono la stessa cosa.

Vi sono nove maniere per assicurarsi della virtù di un uomo e di riconoscerlo come vero savio.

Una persona che ha sentimenti elevati ed ambiziosi si conterrà difficilmente nei giusti limiti e sovente se ne allontanerà; un savio, al contrario, si conterrà strettamente in quelli della virtù.

Un uomo dolce e compiacente spesso appare stupido: la dolcezza e la compiacenza in un savio fanno concepire un’idea anche più vantaggiosa di lui

Il più delle volte un uomo semplice e timido si lascia trasportare facilmente alla credulità: un savio sta sempre in guardia contro le novità, né si lascia così facilmente persuadere.

Un uomo che abbia delle abilità e dei talenti è ordinariamente presuntuoso e non ha alcun riguardo per gli altri: un savio che è fornito di scienza e di talenti superiori diffida sempre di se medesimo, né ciecamente deferisce all’altrui sentimento.

Un uomo facile ed affabile si lascia ordinariamente trasportare dal cattivo esempio: il savio, all’opposto, è costante ed immobile nel bene.

Un uomo retto e sincero si abbandona talvolta a parole piccanti ed offensive: un savio, che abbia sincerità, nulla mai dice che possa dispiacere, né altro aspira se non alla pace e alla concordia.

Un uomo che si picca di d’una condotta regolata, è sovente minuto: un savio che conserva sempre un serio e grave contegno, non si occupa che di cose utili e sensate.

Un uomo che ha molto spirito e penetrazione suol essere il più delle volte ostinato ed ardito: il vero savio abbandona facilmente il proprio sentimento per seguire quello degli altri, qualora ne conosca la verità.

Un uomo che sia fornito di forza e di coraggio si lascia sovente trasportare dalla sua passione predominante: il savio sa moderare il proprio coraggio con la prudenza  e con la ragione.

Finalmente un uomo che non manca in alcuno di questi nove articoli può dirsi un vero savio.

Si può aggiungere che questi nove articoli non riguardano indistintamente ogni sorta di persona.

Se i Grandi ne praticassero solamente tre e li rinnovassero ogni giorno con perseveranza, sera e mattina, essi potrebbero essere stimati come veri savi.

I Principi ed i Governatori delle province, che hanno i popoli sotto la loro direzione, dovrebbero praticarne sei.

Il Sovrano però deve possederli tutti e nove, perché ad esso è soggetto tutto l’impero.

Essendo uomo non può governare da solo. Non deve dunque istruire coll’esempio e colle parole coloro a cui confida gli impieghi e ordina che facciano le sue veci? Quali devono essere le sue inquietudini, a fronte del gran peso di cui si sente gravato? Non passa mai giorno in cui non sia obbligato a determinare ciò che è bene e ciò che è male; e a decidere la sorte di qualcuno dei suoi sudditi. Se la scelta che egli fa dei suoi Ufficiali non è giudiziosa, se questi non sono forniti della saviezza e della virtù necessaria, i mali che ne derivano forse non ricadono su lui stesso? Deve egli continuamente ricordarsi che il Cielo, il quale lo ha eletto per governare il popolo, non lo ha fatto invano, e non lo ha innalzato sopra tutti gli altri se non perché li istruisca e li indirizzi nell’esercizio della virtù. Se il popolo non è quale deve essere, non sarà forse sua colpa?

Chi sa onorare il Cielo comprende facilmente quanto importi perfezionare se stesso, conoscere l’uomo e rendere felice il popolo.

Il Cielo è infinitamente illuminato; nulla vi è che esso non sappia; tutto il nostro spirito e le nostre cognizioni sono un suo dono. E’ esso giusto e ragionevole, remuneratore  della virtù e punitore del vizio. La giustizia che si trova nel mondo ha nel Cielo la sua origine. Sebbene sia infinita la distanza che corre tra il Cielo e l’uomo, passa tra di essi nondimeno una comunicazione reciproca per mezzo della virtù.

Storia generale della Cina, Tomo II, Siena, 1777, p. 156 e ss.

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