XXII Canto
Nell’ottavo cerchio e nella quinta bolgia, sempre tra i barattieri: è considerato il canto della malizia.
I poeti percorrono l’argine lungo lo stagno di pece bollente, guidati appunto da dieci demoni (vv. 1-30) che acciuffano il dannato Ciampolo di Navarra (vv. 31-75)[1].
Questi parla di sé e di frate Gomita[2] e Michele Zanche[3], barattieri sardi (vv. 76-96).
Con un inganno Ciampolo si libera dai diavoli ributtandosi nella pece bollente, due diavoli si azzuffano tra loro e si invischiano con le ali nella pece; e mentre gli altri prestano loro soccorso, i due poeti si allontanano da essi (vv. 97-151).
XXIII Canto
Nell’ottavo cerchio e nella sesta bolgia, tra gli ipocriti[4]: in questo canto D. si scaglia contro l’ipocrisia di alcuni monaci medievali ed in particolare dei Benedettini di Cluny .
– Quando i poeti si vedono inseguiti si calano a precipizio nella sesta bolgia (vv. 1-57).
Una lunga processione di ipocriti, coperti di cappe di piombo dorato, si muove con estrema lentezza (vv. 58-75); tra questi vi sono due frati gaudenti bolognesi: Catalano de’ Malvolti[5] e Loderingo degli Andalò[6] (vv. 76-108), e insieme crocefissi a terra, Caifa[7] e gli altri del sinedrio che decretarono la morte di Cristo (vv. 109-126). Virgilio si avvede dell’inganno di Malacoda (vv. XXI Canto).
XXIV Canto
Nell’ottavo cerchio e nella settima bolgia.
Dopo le parole di conforto di Virgilio a Dante (vv. 1-21), i poeti salgono faticosamente sull’argine settimo (vv. 22-60), dove nella bolgia, piena di serpi, corrono i ladri (vv. 61-96)[8].
Tra i dannati è, violento e volgare, Vanni Fucci[9], che punto da un serpente, s’incenerisce, e di colpo riprende la figura umana come l’araba fenice (vv. 97-120), confessa il furto sacrilego del tesoro della sacrestia di S. Jacopo in Pistoia, e predice per vendetta a Dante che lo ha riconosciuto, la sconfitta dei Guelfi bianchi nell’agro pistoiese (vv. 121-151)[10].
XXV Canto
Nell’ottavo cerchio e nella settima bolgia, sempre tra i ladri.
Vanni Fucci per dileggio fa un verso sconcio verso Dio e viene punito immediatamente dalle serpi per tale atto (vv. 1-18).
I poeti, restando sull’argine, trovano sempre nella settima bolgia dei ladri, Caco[11] (vv. 19-33): assistono poi alla trasformazioni, da forma umana a quella serpentina e viceversa, di cinque fiorentini appartenenti alle famiglie più illustri (Cianfa Donati, Agnolo dei Brunelleschi, Buoso dei Donati, Puccio Sciancato, Francesco dei Cavalcanti)[12] (vv. 34-150).
[1] Ciampolo o Giampaolo (da ]ean Paul). Navarrese del 1200, di umili origini, riuscì ad entrare alla corte del re di Navarra di umili Tebaldo II e abusò della sua fiducia, barattando favori per denaro. Le uniche notizie che si hanno di lui provengono dal testo di Dante.
[2] Gomita. Frate sardo, fu alle dipendenze di Nino Visconti di Pisa che ebbe il giudicato di Gallura dal 1275 al 1296. Per denaro, fece fuggire i prigionieri che Nino Visconti gli aveva affidato.
[3] Michele Zanche. Governatore del giudicato di Logudoro, in Sardegna, per conto di re Ezio, figlio di Federico II. Alla morte del re, ne usurpò il trono. <fu ucciso a tradimento dal genero Branca d’Oria nel 1275 o nel 1290 (cfr. XXXIII, 137).
[4] Procedono a gran fatica, lentissimi, piangendo sotto pesanti cappe di piombo, dorate all’esterno. In vita sotto un sembiante di virtù e di santità, nascosero una natura viziosa, ora sono nascosti sotto una cappa dorata esternamente, ma fatta di piombo. Così come si muovevano con circospezione nel loro peccato, ora si muovono lentissimamente. Gli ipocriti religiosi, quelli che consigliarono la crocefissione per il Cristo, sono a loro volta crocefissi e, avendo calpestato la verità, ora sono a terra, calpestati dagli altri dannati.
[5] Catalano de’ Malavolti (1210-1285). Frate gaudente di famiglia guelfa, bolognese, fu podestà di Milano, Parma, Piacenza. Nominato podestà a Firenze insieme al ghibellino Loderingo degli Andalò (1266), invece di far da paciere, inasprì gli animi e aggravò le contese tra i partiti.
[6] Loderingo degli Andalò (1210-1290). Ghibellino, bolognese, fu fondatore dell’ordine dei frati gaudenti o Cavalieri della Milizia della Beata Vergine Maria Gloriosa, (istituito con lo scopo di operare per la pacificazione tra guelfi e ghibellini. Quest’ordine, detto dei “frati gaudenti” per la rilassatezza di costumi assunta dai suoi cavalieri); tenne, insieme a Catalano, il governo di Bologna, poi fu podestà con lui del Comune di Firenze.
[7] Caifa. Sommo sacerdote di Gerusalemme; insieme al suocero Anna, consigliò all’ assemblea dei Farisei di condannare a morte Cristo. Secondo Giovanni (18:13-24), Gesù, dopo l’arresto venne appunto condotto da Anna, per un primo interrogatorio. I sinottici non menzionano l’episodio e riferiscono solo che Gesù venne condotto davanti al consiglio supremo degli ebrei, il sinedrio, dove Caifa gli chiese di dichiarare se era “il Cristo e Figlio di Dio” (Matteo 26:63). Alla risposta affermativa (Marco 14:62), il consiglio condannò Gesù a morte come blasfemo.
[8] Corrono nudi, spaventati e tormentati da serpenti che legano loro le mani. Alcuni vengono trafitti dalle serpi, s’incendiano e poi tornano ad assumere il loro aspetto. Altri si trasformano in serpenti e poi di nuovo in uomini, oppure si tramutano in esseri ibridi che hanno entrambe le nature.In vita ricorsero all’astuzia: ora convivono con i serpenti, simbolo di ogni malizia. Le loro mani, usate abilmente per rubare, sono legate dalle serpi, e cosi come si servirono di travestimenti e trucchi, ora subiscono continue metamorfosi.
[9] Vanni Fucci, dei Lazzari. Pistoiese della fazione dei Neri, esule nel 1294, era conosciuto come uomo violento e fu condannato per omicidi e ruberie. Dante lo colloca tra i ladri, perche rubò il tesoro della cappella di San Iacopo, nel duomo di Pistoia, furto per il quale fu ingiustamente incolpato un tale Rampino Foresi. Morì agli inizi del 1300. La figura di Vanni Fucci è tra le più violente e disumane dell’ Inferno: la sua bestialità domina l’ atmosfera del canto e si contrappone all’atteggiamento altero e sprezzante di Dante. Annunciato dalla metamorfosi in cenere e dalla riconversione in essere, dallo sguardo vacuo come l’epilettico, Vanni è aggressivo, abietto nell’orgoglio della propria animalità, vergognoso solo di essere stato scoperto da Dante nella colpa, per cui altri era stato accusato.
[10] Fa riferimento alla guerra mossa dal marchese Malaspina di Lucca, alleato dei Neri fiorentini, contro Pistoia; guerra che culminò con l’assedio e la conquista della città. La sconfitta dei Bianchi pistoiesi avrebbe inevitabilmente segnato la rovina dei Bianchi di Firenze. La profezia di Vanni Fucci si aggiunge alle altre (quelle di Ciacco, di Farinata, di Brunetto Latini) presenti nella cantica; ma qui si colora dell’intenzione malvagia espressa da Fucci: È detto l’ho perché doler ti debbia! (v. 151). È la vendetta del ladro che si vede scoperto e nella sua astiosa umiliazione non può far altro che predire un triste destino peraltro già da Dante conosciuto.
[11] Caco. Figlio di Vulcano, rubò gli armenti che Ercole aveva rapito a Gerione; per questo Ercole lo uccise. Nell’ Eneide (VIII, 193-305), Virgilio lo rappresenta come satiro che vomita fuoco dalla bocca; Dante invece lo raffigura come centauro, che ha sulle spalle un drago che soffia fiamme e fuoco.
[12] Cianfa Donati. Fiorentino, della famiglia che fu a capo dei guelfi neri fino al 1300. Mori tra il 1283 e il 1289; fu noto come ladro di bestiame e altri beni.
Agnolo dei Brunelleschi (XIII secolo). Di nobile famiglia fiorentina, prima di parte bianca, poi passata ai Neri. Si diede a ruberie, ricorrendo spesso a travestimenti.
Buoso dei Donati. Da non confondere con lo zio Buoso Donati, che Gianni Schicchi sostituì sul letto di morte, per falsificarne il testamento (cfr. c. XXX, vv. 44-45). Fiorentino, fu tra i giurati della pace del cardinal Latini, firmata nel 1280 tra ghibellini e guelfi. Mori nel 1285.
Puccio Sciancato. Fiorentino della famiglia dei Galigai, ghibellina. Fu bandito dalla città nel 1268 e nel 1280 fu tra i giurati, con Buoso, della pace del cardinal Latini. Soprannominato (“Sciancato” perché era zoppo, gli era difficile scappare dopo i furti.
Francesco dei Cavalcanti. Detto il Guercio, fiorentino del XIII secolo, noto come ladro. Venne ucciso da alcuni uomini di Gaville, piccolo castello in Valdarno. l parenti di Francesco si vendicarono, facendo strage dei Gavillesi.