“La nostra poesia è un albero millenario. I nostri canti sono una casa da tè giapponese: quattro stuoie e mezzo in tutto – dove noi bruciamo l’incenso più raro che sale al cielo .”
Yone Noguchi
L’HAIKU: poesia in poche parole
La poesia giapponese, fin dalle sue più antiche origini, è caratterizzata da brevità di schema metrico e da profonda raffinatezza stilistica, qualità esaltate con straordinaria evidenza nello haiku, che si diffonde dal sedicesimo secolo in poi e rende ancora più essenziale la forma poetica tradizionale. La lingua giapponese permette estrema concisione lirica, perché consente di tradurre le complesse immagini mentali di un ideogramma in un’unica sillaba.
In questa forma poetica si riflettono l’amore della cultura nipponica per il minimalismo e per le cose asciutte e compatte (scrive, infatti, Sei Shonagon: “in verità, tutte le cose piccole sono belle”). Negli haikai il poeta diviene solo uno strumento e l’oggetto che anima il componimento diviene soggetto.
L’haiku ha uno schema metrico semplice: tre versi, il primo di 5, il secondo di 7, il terzo di 3 sillabe. Nei versi non esiste la rima, le sillabe hanno identico valore ritmico e quindi vengono solo contate. All’interno di ciascun haiku vi è il kigo, cioè il riferimento ad una delle quattro stagioni, evocata dalla presenza di un fiore, di un animale, di una festa, di un particolare paesaggio, una parola che per metonimia indica la stagione a cui si riferisce la poesia e che ci fa immergere, almeno in parte, nell’atmosfera descritta nei versi.
Tra il secondo e il terzo verso c’è un salto verso l’alto, un balzo metaforico, in cui si liberano simboli e si racconta di un’emozione profonda, spesso legata allo spirito zen. Per dirla con il semiologo Roland Barthes, l’haiku non è un pensiero ridotto in forma breve, ma “un evento breve che tutt’a un tratto trova una forma esatta”, un maximum di energia in un minimum di segni. L’haiku non descrive, ma si limita ad immortalare un’apparizione, a fotografare un attimo ed è per questo che tra le sue peculiari caratteristiche troviamo la brevità, la leggerezza e l’apparente assenza di emozioni secondo i canoni del buddhismo zen.
Come l’alternarsi delle stagioni, anche queste brevi poesie annoverano temi contrastanti fra loro come il mistero (yugen), la povertà (wabi), l’instabilità (aware) e l’isolamento (sabi).
Il primo grandissimo poeta haijin fu Matsuo Bashō, (1644-1694), che viaggiò a lungo in Giappone e ci lasciò un diario in forma di haiku. Altri sommi autori furono Yosa Buson (sec. XVIII), Kobayashi Issa (1763-1827), Sengai (1750-18379)…
Tra gli occidentali: Jack Kerouac, Ghiorgos Seferis, gli italiani Andrea Zanzotto, Edoardo Sanguineti…
Tracce ed echi dello haiku, più o meno ammesse, si trovano nella poesia contemporanea (Ungaretti non ha mai voluto rivelare quale ruolo abbia avuto per lui la lettura degli haiku pubblicati nella rivista alla quale collaborava, mentre Ezra Pound ne dichiarò apertamente l’influenza).
Imitare in tutto e per tutto il modello giapponese non è possibile, perché non si possono riprodurre certi valori semantici o visivi, come la bellezza della calligrafia, in cui si mescolano ideogrammi cinesi ad alfabeti fonetici giapponesi, come l’hiragana ed il katagana, e forse non avrebbe neanche un reale significato, mentre resta intatto il fascino di esprimere il massimo grado di emozione attraverso un minimo di segni. Kerouac avverte che un haiku occidentale può anche ignorare la rigidità dello schema tradizionale, “deve essere molto semplice e libero da tutti i trucchi poetici e tuttavia essere aereo e aggraziato.”
Oggi vi sono in ogni Paese associazioni di poeti che coltivano questo genere di poesia e sono collegate ad un’Associazione Internazionale. In Giappone poi, dove il 10% della popolazione compone haiku, esistono tre associazioni nazionali, ogni grande quotidiano ed ogni rivista pubblicano una rubrica di haiku. In Italia l’haiku è stato introdotto da Sono Uchida, presidente dell’Associazione Internazionale e fondatore con altri di un’Associazione Nazionale Amici dell’Haiku che dal 1987 organizza ogni anno un’edizione del Premio Letterario Haiku, con il patrocinio dell’Ambasciata del Giappone presso la Santa Sede, dell’Istituto di Cultura Giapponese, dell’Istituto di Cultura Italiana a Tokio… I componimenti giudicati vincenti, oltre ad essere premiati (e fino al 1994 vi era come primo premio un biglietto aereo Roma-Tokyo-Roma offerto dalla Japan Airlines), sono pubblicati su una rivista giapponese di poesia.
Fabia Binci