Quale sia il miglior governo, il rigoroso o il soave (estratto)
Tutto il mondo si accorda in questo, che il governare uomini è la più difficile cosa che si ritrovi tra gli affari del mondo.
E a dire il vero quanti sono gli uomini, altrettanti sono i piccoli mondi; ed è forse più malagevole governare il mondo piccolo che non il grande.
Il corso del maggior mondo è tanto uniforme e uguale, che si può dire, che chiunque fosse capace di governarlo bene per un anno, potrebbe quasi governarlo eternamente senza fastidio.
Ma il minore ad ogni momento si cambia, ed è un banderuola battuta da tutti i venti, e quanti uomini avete da governare, son quasi altrettanti mondi uno differente dall’altro.
Uno è tutto impeto; l’altro è freddo e pesante come fosse di piombo, e così poco maneggevole, che come una zolla di rozza terra se niente niente lo premete dà in dispersione e si rompe; quegli è leggiero ed instabile come argento vivo, né mai quel Mercurio si può fissare; e questi è ombroso, e mezzo ipocondriaco, che ogni cosa prende di traverso, e non sa far altro che lamentarsi e poi crede che non vi sia al mondo cosa più candida ed innocente di lui.
Un altro è tutto glorioso, pare che in questo mondo non si possa né si debba pensare ad altri che a lui.
Questo vuol essere adulato e quello, se mostrate di lisciarlo, s’insospettisce e non si fida di voi.
Qual capacità dunque, o per dir meglio, quale benedizione del Cielo sarà necessaria per governare tanta diversità d’umori felicemente o con qualche sorta di soddisfazione?
Ora se nei soggetti che hanno da essere governati si trova della diversità non c’è niente di meno in quelli che hanno l’ufficio di governare.
Dato che alcuni sono del parere che il governo debba essere nervoso, vigoroso ed efficace, vengane quel che mai ne deve venire; altri credono esser meglio che il governo sia dolce, cordiale, e pieno di paterna benignità.
I più sensati dicono che bisogna temperare l’uno con l’altro, e maritar la rosa con le spine e avere una certa maniera di reggere dolcemente efficace.
Il paggio è che ciascuno si adula e crede per certo che tale è il suo modo di governare e che egli ha tanto di dolcezza quanto bisogna; e niente meno dell’efficacia e insomma pensa di aver trovato una perfetta modalità di soave rigore.
Che se alcuno di loro li contraddice affermano di non esser così: e si danno a credere che in verità tutto il mondo in ciò si inganna, fuori che loro, e che ogni persona di buon gusto quando sia bene informata, troverà, che il suo buon governo è molto temperato, e che ha del dolce, e dell’agro quanto bisogna, e non più.
Il male è che non c’è chi lo creda se non i miserabili, e qualche adulatorello, che fa finta di crederlo.
Se uno pensasse che una perfezione così rara si potesse conseguire in pochi mesi, o con un poco di buona intenzione, e con un tantino di studio che la persona vi ha posto, questo sarebbe il segno infallibile, che quello che egli crede così fermamente, non altro è che quello che crede solo lui.
E ciò perché ordinariamente quelli che hanno questo così prezioso talento, sogliono ingenuamente confessare di non averlo, quantunque essi continuamente studino per acquistarlo, e riconoscendo la loro debolezza, fuggono quanto possono, dentro i termini dell’ubbidienza, la croce del governo, e di maneggiare il timone di una nave battuta continuamente e combattuta da tanti turbini e da tanti venti contrari.
Lo stimarsi dunque veramente incapace di saper governare e di preferire ogni altro a sé, non già per un vano complimento e per cerimonia, ma per buon senno e come nel cospetto di Dio e dei suoi Angeli, questo per verità è il vero segno di un uomo degno di governare.
Étienne Binet, Idea del buon governo, descritta da Renato Francese predicatore del Re, presso Giò Giacomo Hertz, Venezia, 1674, p. 10 e ss.