Dante Alighieri – Rime

Sono pervenute a noi liriche[1] che si attribuiscono[2] a Dante e che sarebbero state composte in un tempo non continuativo, tra il 1283 ed il 1307(1308?) durante la stesura della Vita Nova, nel periodo che va da detta composizio­ne all’esilio e durante l’esi­lio stesso contemporaneamente quindi alla stesura del De Vulgari eloquentia e del Convivio[3]; non è facile però stabilire né la datazione precisa, né i fatti o le persone a cui si riferiscono.

Possiamo considerare queste liriche il “laboratorio della Commedia”.

In relazione alle composizioni di Dante si parla di <<rime>> e non di <<canzoniere>>, come nel caso delle poesie del Petrarca, perché l’autore non ne curò mai direttamente l’ordinamento e la struttura: la sequenza che noi leggiamo oggi è frutto di una ricostruzione critica[4], basata su criteri di ordine cronologico e tematico.

Anche se non è facile stabilire la datazione precisa delle liriche nel corpus delle rime si possono riconoscere e distinguere alcune fasi di produzione.

Due serie formano il gruppo delle rime giovanili.

1) le rime prestilnovistiche, improntate al modello guittoniano, ancora acerbe ed immature;

2) le rime stilnovistiche escluse dalla Vita nuova (dette extravaganti) o perché non pienamente rappresentative del nuovo stile o perché destinate ad altre donne: nelle liriche amorose sono presenti varie donne (Beatrice, Fioretta, Lisetta); D. imita la poesia siciliana e guittoniana; si ritrovano quindi situazioni psicologiche convenzionali narrate con moduli espressivi astrusi e rigidi; il poeta risente poi dell’in­fluenza dei versi del Cavalcanti (con l’accettazione della dottrina cavalcantiana dell’amore e quindi con la personale conquista di una lingua e una poetica dense di complessità intellettuali) e del Guinizzelli.

Nel cuore della stagione stilnovistica si situano il sonetto Guido, i’ vorrei[5], quello per Violetta, la ballata Per una ghirlandetta, il sonetto Sonar bracchetti: tutti facenti parte di un unico amichevole clima, quello della scuola del Dolce Stile, tutti debitori in qualche modo della tradizione del plazer di marca provenzale e giullaresca.

Al magistero di Cavalcanti e alle requisitorie antiguittoniane (prima nella Vita nuova, poi nel De vulgari eloquentia) subentra progressivamente il Guinizzelli: nei sonetti De li occhi de la mia donna e Ne le man vostre e nelle canzoni E’ m’incresce di me e Lo doloroso amor, che preparano la strada al ciclo delle dottrinali.

Vi sono poi le rime della maturità e del tempo dell’esilio comprendono:

1) le rime allegoriche: commentate nei libri II, III e IV del Convivio; alle  rime allegoriche appartiene la più bella canzone scritta da Dante durante l’esilio (Tre donne intorno al cor mi son venute): la giustizia umana, quella divina e la legge, scacciate dagli uomini, divengono tre nobili donne, esuli e mendiche, che sono venute da Dante per avere il conforto di essere ascoltate; il poeta a questo punto si sente orgoglioso del suo esilio (<<l’essilio che m’è dato, onor mi tegno>>), considera il suo destino come un riflesso di un destino di decadenza che ha colpito tutta la umanità.

2) Le tre canzoni dottrinali: una sulla leggiadria, un’altra sulla liberalità ed una terza sulla nobiltà che entra a far parte del Convivio; sono però liriche, secondo alcuni, di poco spessore poetico.

3) Due canzoni (“Io son venuto al punto della rota“; “Così, nel mio parlar[6]), una sestina (“Al poco giorno“) ed una sestina doppia (“Amor, tu vedi ben che questa donna“), dedicate ad una donna insensibile chiamata Pietra.

Sono le cosiddette <<rime pietrose>> (1296) in cui non vi è la descrizione di un amore incorporeo ma di una passione violenta, sensuale ed amara, di un amore duro, difficile, aspro[7]: alcuni sostengono che Petra sia soltanto un’immagine allegorica della conquista della sapienza; altri vi vedono un’allegoria di Firen­ze.

Come lo stesso D. conferma nel De Vulgari Eloquentia[8], que­ste poesie hanno una funzione sperimentale. In effetti più che ad una donna l’Alighieri si ispira al poeta provenzale Arnaut Daniel, facendo un arduo esercizio di stile aspro (così detto <<trobar clus>>).

4) Rime varie, tra cui si annoverano canzoni, sonetti, rime di corrispondenza con altri poeti: tra queste ultime ritroviamo versi che sono oggetto di una tenzone con Forese Donati[9] (scritti tra il 1294 ed 1296 anno in cui Forese morì) di cui D. farà ammenda nel XXIII canto del Purgatorio: il Donati lo accusava di povertà ed avari­zia, D. replica dipingendolo come un violento ed un ghiottone (il linguaggio è assai realistico, addirittura scurrile e volgare: qui D. fa le prove per certe espressioni dell’Inferno ed in particolare delle Malebolge).

Nelle rime allegoriche come in quelle dottrinali, del resto, c’è già il mondo della Commedia, sebbene la mano dell’artista non sia ancora matura.

5) Ventisei rime la cui attribuzione a Dante è discussa.

Nel complesso le Rime rivelano la capacità artistica di Dante nell’affrontare qualunque materia in qualunque stile.


[1] In totale il corpus delle Rime conta 54 componimenti: 34 sonetti (di cui uno rinterzato), 15 canzoni (tra cui due stanze isolate, una sestina e una sestina doppia), cinque ballate.

[2] Ventisei rime sono ancora molto discusse.

[3] Al 1283 corrisponde probabilmente la stesura del sonetto dedicato a Beatrice, A ciascun alma presa e gentil core, scelta poi per inaugurare la Vita nuova ed inviata a tutti i rimatori fiorentini, come ci fa sapere Dante stesso (Cap. III della Vita nuova). Al 1307 risale probabilmente la canzone Le dolci rime d’amor ch’i’ solia, commentata per inaugurare il quarto libro del Convivio e al 1308 l’ultima canzone “O montanina mia canzon” che il Momigliano ascrive alle rime pietrose.

[4] Condotta da Michele Barbi che aveva adoperato, in un suo studio del 1915, il titolo di Canzoniere poi abbandonato da successivi editori.

[5] Destinato a Guido Cavalcanti testimona l’amicizia che legò i poeti stilnovisti (“il sodalizio tra i fedeli d’amore”),  una ristretta schiera di persone elette sul piano morale ed intellettuale (“gentili”) che “ragionano sempre d’amore”. Tuttavia nella lirica si fa riferimento anche ad un sodalizio tra donne gentili tra cui spicca per virtù Beatrice (“quella ch’è sul numer de le trenta” fa riferimento alla prima donna-schermo della gentilissima). Anche le donne gentili (cfr. Voi ch’avete intelletto d’amore) sono considerate un uditorio privilegiato, anzi l’unico a cui destinare le “nuove rime” (le  rime della lode: cfr. la Vita nuova). Questo duplice sodalizio è trasferito su un piano fantastico, in una dimensione di sogno ed incantesimo grazie al riferimento al vascello incantato (creato da “un buon incantatore“: il mago Merlino), che D. deriva dalla narrativa cortese in lingua d’oil e che viene tradotta in lirica nel plazer(elencazione di cose piacevoli) dai provenzali; questo motivo che lega la poesia alla tradizione pre-stilnovistica, ne giustifica forse l’esclusione dalla Vita Nova.

[6] Dal Momigliano considerata la migliore delle rime pietrose ed una delle più originali della lirica contemporanea (v. A. Momigliano, Bullettino della società dantesca italiana, 1908, p. 132; cfr. A. Momigliano, Antologia della letteratura italiana –volume primo, Messina, Giuseppe Principato, 1937, p. 119). Per un commento autorevole di questa composizione v. E. G. Parodi, in Le rime, nel volume collettivo Dante, Milano, Treves, 1921, p. 63.

[7] Si legga come esempio del registro stilistico il congedo della lirica Così, nel mio parlar:

Canzon vattene dritto a quella donna

che m’ha ferito il core e che m’invola

quello ond’io ho più gola,

e dàlle per lo cor d’una saetta;

chè bell’onor s’acquista in far vendetta.

[8] In cui parla di queste rime come <<di qualcosa di nuovo e non ancora tentato in poesia>>.

[9] Un gruppo di sei sonetti nelle Rime costituiscono la Tenzone con Forese Donati. Si tratta di un dialogo in versi che ci è giunto frammentato in due gruppi di codici, il che è all’origine delle discussioni sulla loro datazione e sul loro ordine.

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