Si tratta di un’operetta autobiografica in cui Dante tocca il vertice dello stil novo[1], composta tra il 1283 ed il 1292 e raccolta nel 1293-94; il suo tema è la vita giovanile del poeta ma soprattutto la vita spiritualmente rinnovata dall’amore per Beatrice.
Non sappiamo molto di quest’ultima ma abbiamo tre testimonianze sulla sua storicità, da parte di Bambaglioli Graziolo (1323), di Pietro (figlio di Dante), e di Boccaccio; inoltre vi sono alcuni particolari assai realistici presenti sia in quest’opera che nella Divina Commedia.
Forse Beatrice fu figlia di Folco Portinari e andò sposa a Simone De Bardi prima del 1288; morì l’8 giugno del 1290.
Dante ne fornisce una visione incorporea e indeterminata: ciò rientrava nei canoni del dolce stil novo ove l’amore veniva celebrato come un sentimento che si nutre solo di sé stesso, di adorazione umile e muta.
Ma la donna-angelo assume qui un significato più vasto e profondo, quello della Salvezza (concetto questo già in parte presente in Guinizzelli: v. il sonetto Io voglio del ver la mia donna laudare e che D. esprimerà magistralmente nella canzone Donne che avete intelletto d’amore) e della Grazia, sigillate dalla stessa morte di Beatrice, secondo un disegno provvidenziale.
Beatrice è colei che è beata e che dona beatitudine, è davvero “donna della salute”, portatrice della salvezza.
In altre parole la dimensione descritta da D. non è soltanto emotiva e formale, ma compiutamente religiosa: la poesia iniziale (nel capitolo III: A ciascun alma presa e gentil core), cavalcantiana, esprime un amore visto come pena e dissidio, ma in seguito esso dispande beatitudine e appunto salvezza.
Il libro, diviso in 42 capitoli, dispone cronologicamente 25 sonetti, 4 canzoni una stanza ed una ballata[2][3] più alcuni commenti in prosa delle liriche, che verranno composti ed inseriti soltanto nel 1293-94; sono queste prose, decisamente più mature delle poesie, a dare all’opera un tono tra il mistico e l’allucinato (si descrivono spesso sogni, visioni ed incubi)[4].
Come nella Commedia D. è sia autore che protagonista dell’opera che, allo stesso modo, costituisce un exemplum di rinnovamento della vita morale
La trama si impernia soprattutto su due incontri che il poeta ebbe con Beatrice a nove e a diciotto[5] anni (quando se ne innamorò perdutamente) e soprattutto su un saluto che da Beatrice ricevette nel secondo incontro[6].
Vi sono poi citati vari altri avvenimenti, dal momento che siamo in presenza di una raccolta di poesie di diverso periodo ed occasione: la finzione del poeta di amare una donna diversa da Beatrice (donna-schermo) per evitare che altri possa conoscere il segreto del suo amore; la morte di un’amica di Beatrice; la sostituzione della prima donna schermo che si allontana da Firenze con una seconda[7] e quindi, in relazione alle chiacchiere della gente sulla presunta “infedeltà”, la negazione del saluto da parte dell’offesa Beatrice[8]; una visione di Amore che convince D. a parlare apertamente del suo amore a B. e la burla (il gabbo) della stessa e di altre donne per l’improvviso smarrimento del poeta che trema ad una festa nuziale di fronte alla donna amata [9]; il colloquio con alcune donne[10] circa la natura dell’amore di Dante[11] ed il proposito di utilizzare solo Beatrice come oggetto delle sue rime[12], dal momento che il saluto, unico oggetto del suo amore, è venuto meno[13].
Da quest’ultimo proposito nascono le nuove rime iniziate con le canzoni di lode “Donne che avete intelletto d’amore” e “Amor e ‘l cor gentil sono una cosa” e proseguite con alcuni sonetti che sono capolavori del dolce stil novo e di tutta la poesia italiana: “Ne li occhi porta la mia donna Amore“, “Tanto gentile e tanto onesta pare“, “Vede perfettamente onne salute“[14].
Tra il primo ed il secondo dei sonetti sopra citati è narrata la storia della morte del padre di Beatrice; segue poi la descrizione del delirio di Dante (di nove giorni) in cui il poeta vede la morte di Beatrice (cantata nella canzone “Donna pietosa e di novella etate“), mentre viene portata in cielo dagli angeli e tutta la natura si copre di segni luttuosi (con evidente riferimento alla morte di Cristo ed ai suoi effetti di sacrificio redentivo).
In queste poesie Beatrice è ormai considerata una creatura angelica; grande è il dolore di Dante per la morte (già prefigurata nel capitolo III e nel capitolo XXII) che poi effettivamente avviene (capitolo XXVIII) e che viene immortalata nella canzone “Li occhi dolenti per pietà del cuore” (capitolo XXXI).
Trascorso però un anno dalla morte di Beatrice una donna gentile (la filosofia) da una finestra muove segni di pietà e quindi D., seppure riluttante, se ne innamora; a questa passione sono dedicati quattro sonetti (Videro li occhi miei; Color d’amore; L’amaro lagrimar; Gentil pensiero).
Beatrice appare in sogno a D. che piange per il rimorso della temporanea infedeltà (altro sonetto: Lasso per forza di molti sospiri).
Nel penultimo sonetto (Deh peregrini che pensosi andate) Dante invita alcuni pellegrini diretti a Roma a piangere anch’essi Beatrice.
Nell’ultimo sonetto (Oltre la spera che più larga gira), dopo una visione in cui contempla Beatrice oltre il primo empireo, il poeta afferma che non parlerà più di lei finché non sarà in grado di dire quello che non fu detto da alcuno (è palese il richiamo alla Commedia); in altre parole D., anche se non sa ancora che scriverà la Commedia, si rende conto che quella che sta descrivendo è ancora una donna reale e che i mezzi stilnovistici sono insufficienti a dire di più, ad esprimere la funzione redentiva di Beatrice; egli si ripropone quindi di cantarla in modo nuovo e straordinario ed allora tronca il libello.
[1] La stagione poetica che si consuma negli ultimi decenni del Duecento tra Bologna e Firenze è definita <<dolce stilnovo>>: è un primo punto d’arrivo della lirica italiana.
È Bologna, città all’avanguardia negli studi a dare l’avvio a questo movimento poetico con l’opera di Guido Guinizzelli, ma sarà Firenze, tra il 1280 ed il 1310, ad imporsi come nuova capitale della poesia italiana: fiorentini sono i due principali esponenti della nuova scuola, Dante Alighieri e Guido Cavalcanti, i quali insieme a Cino da Pistoia, non furono comunque estranei all’influenza dell’ambiente bolognese.
Il dolce stil novo è nuovo perché sceglie come tematica quella amorosa, tralasciando i temi politici e morali tipici di Guittone, anche se l’impostazione è certamente filosofica.
Guido Guinizzelli (1230 o 40-1276), un giudice bolognese di parte ghibellina – che nel 1270 fu pure podestà di Castelfranco Emilia, ma quando nel 1274 la parte guelfa ebbe la meglio, dovette andare in esilio, rifugiandosi con la moglie e il figlio a Monselice, dove morì pochi anni dopo – ne è l’iniziatore (o il precursore secondo alcuni) perché è il primo a formulare poeticamente un’organica teoria dell’amore.
Nella poesia guinizzelliana sono compresi entrambi i filoni che saranno ripresi e approfonditi dai fiorentini: il tema della lode ad una donna ineffabile, ammirata esteticamente in un trionfo di luce (tema che viene ripreso da D. che accentua la spiritualizzazione), il tema dell’amore visto come passione tormentosa dei sensi che provoca angoscia e morte (tema ripreso dal Cavalcanti).
L’idea fondamentale da cui parte il Guinizzelli è quella dell’identità di amore e cuore gentile, per cui l’amore può nascere solo nel cuore di una persona gentile il cui sguardo sia così puro da poter riflettere la luce che proviene dagli occhi della donna, così come gli angeli riflettono la luce di Dio.
La donna angelicata ha in sé tanta virtù da mettere nel cuore gentile la volontà di sottomettersi a lei, realizzando così l’unione spirituale beneficante. Al contrario un cuore vile non può sentire quest’amore.
Quando il poeta morirà e Dio gli farà notare di aver riservato l’onore a Lui dovuto ad una donna, il poeta risponderà che tale donna aveva sembianze d’angelo e amare lei era come amare una creatura del paradiso.
Mentre nella poesia trovadorica il rapporto tra la donna ed il poeta è, come abbiamo già visto, di vassallaggio, di ordine sociale, in quella stilnovistica il rapporto di lontananza tra l’amante e l’amata è di ordine morale, religioso, per cui la donna è vista come incarnazione della virtù (la donna-angelo) e il distacco è quantitativo e non qualitativo, per cui il poeta ottiene attraverso l’amore di elevarsi spiritualmente.
La figura femminile insomma si fa portatrice dei valori di nobiltà e purezza, che innalzano l’amante devoto, cosicché l’amore profano, benché caduco ed effimero, assurge a principio di virtù e non di perdizione.
Nel dolce stil novo il problema è infatti quello di conciliare l’amore per Dio e l’amore per la creatura: la donna è chiamata a mediare questo contrasto facendosi tramite tra i due livelli; quando la passione per essa rimane legata all’anima sensitiva, la donna può essere solo uno strumento per esaurire le forze del vitali del poeta.
Il dolce stilnovo è “dolce”: i poeti che vi aderiscono hanno tutti la preoccupazione di rinnovare l’espressione attraverso una selezione accurata del lessico e della sintassi poetica; vengono abbandonate le oscure sperimentazioni stilistiche di Guittone; essi devono essere dolci perché tale dolcezza, ossia una più facile cantabilità del verso, corrisponde ad una aristocrazia del sentire, ad una maggiore elevatezza della lode della donna.
Anche la lingua usata è nuova, dal momento che viene privilegiato il fiorentino illustre, depurato sia dai municipalismi plebei, sia dai provenzalismi e sicilianismi, sentiti ormai come ingombranti ed usurati.
[2] In cui si discosta dalla lirica di Guittone (che ricomparirà nel De Vulgari Eloquentia) per abbracciare la poesia di Guido Guinizzelli.
[3] In essi D. non rievoca la sua vicenda amorosa in quanto tale, ma ciò che questa riverbera nella sua anima, a partire dal 1274, allorché bambino di nove anni, vede per la prima volta la gentilissima Beatrice.
[4] Nella composizione della Vita nuova Dante poté rifarsi a un autorevole modello di prosimetro. il testo tardo-latino De consolatione philosophiae di Severino Boezio, un dialogo fra l’autore e la Filosofia, personificata, che con i suoi consigli di sapienza allevia al primo il dolore provocato dalla prigionia. Un ruolo altrettanto importante nella composizione dell’opera dantesca hanno senza dubbio giocato i generi provenzali delle «vidas» (cioè, le biografie idealizzate o romanzate dei trovatori) e delle «razos» (le esposizioni dei motivi ispiratori e le analisi tematiche e retoriche che i provenzali elaboravano sulle loro stesse poesie).
[5] I numeri sono multipli di tre, simbolo della Trinità divina.
[6] D. ode il saluto di Beatrice e fugge turbato, dalla presenza degli uomini, si raccoglie inebriato nella solitudine di una camera; qui lo coglie un “soave sonno”, e nel sonno una visione che è quasi un compendio del suo amore. Amore gli appare con involta nelle braccia Beatrice in un drappo sanguigno; il dio costringe la giovane a mangiare il cuore del poeta. Ma passa poco tempo e Amore prorompe in un pianto e sparisce con la donna verso il cielo.
[7] Donne a cui apparentemente il poeta dedica il suo amore.
[8] Saluto che D. non riottiene nemmeno scrivendo una ballata in cui dichiara la sua fedeltà a lei sin dalla puerizia.
[9] Da ciò nascono due sonetti ove D.confessa come la passione lo porti là dove spera di vedere la sua donna e lo getti nel più profondo sconforto quando la vede.
[11] Irrealizzabile in quanto non può più sostenere lo sguardo di Beatrice.
[12]A seguito della convinzione del poeta di dover amare Beatrice disinteressatamente, senza aspettarsi una ricompensa.
[13] In questo senso la Vita nova è la storia di un progressivo distacco dei due protagonisti, così che la morte di Beatrice, preparata da tutta una serie di indizi, diventa in un certo senso indispensabile affermazione dell’affetto interiorizzato di D.: è la vicenda dell’io che interessa, non un rapporto obiettivo.
[14] Queste poesie serviranno poi sia a D. per il Purgatorio e per il Paradiso, sia a Petrarca per il suo Canzoniere.