Il paragrafo 10 del titolo V disciplina ancora la sorte dei pegni non riscattati.
“Spirato, che fia il termine ftabilito per il rifcatto de’ Pegni, potranno i Banchieri fuddetti devenire[1] all’Incanto de’ medefimi, e per ciò efeguire, fi porteranno fopra le Piazze in que’ giorni, e tempi, che fono per la vendita de’ Pegni Giudiziarj ftabiliti, ed ivi fi procederà all’incanto, e deliberamento[2] di effi nella forma per gli altri prefcritta”[3].
Queste disposizioni verranno abolite, ma solo per essere sostituite da altra analoga ed ingombrante disciplina dettata dal Codice penale sardo nel 1839[4] e ribadita nel 1859 (art. 611 C.p.), per poi approdare nel Codice penale del regno d’Italia all’art. 641 c.p.[5]
Il prestito concesso dagli Ebrei era così diffuso che nel 1789 a seguito di Viglietto Regio la prefettura di Acqui vietò a loro di comparire in pubblico nei giorni festivi per evitare che il popolo fosse distolto dall’andare in Chiesa[6].
Mentre le leggi ecclesiastiche proibivano a chiunque di prestare a mutuo con interessi[7], i Principi (e solo i Principi) vendevano agli Ebrei il diritto di fare il commercio di banca coi loro sudditi (v. il già citato paragrafo 9 del capitolo V) e di esercitare nei loro Stati il commercio delle monete.
In sostanza i Principi a corto di denaro imponevano agli Ebrei, al principio di ogni condotta, enormi tributi e per compenso gli permettevano di esigere gravosi interessi. Quando il popolo si lamentava i Principi provvedevano a confiscare i loro beni e li cacciavano dal territorio e quindi l’alto rischio per esercitare l’arte feneratizia doveva essere compensato da un lucro sempre più elevato.
Più l’usura era odiata, più era pericolosa da esercitarsi; più era pericolosa e più era cara[8].
Prima del 1603 i Savoia consentivano un interesse del 33 per cento e da questa data il limite consentito si attestò al 18 per cento[9].
Solo nell’Ottocento il Codice civile prima (art. 1936) ed il Codice penale (art. 516-517) imposero agli Ebrei il rispetto del tasso legale[10].
Le Regie Costituzioni vietano all’Ebreo di essere sensale di prestiti o di altri contratti da cui derivasse un prestito: la pena era la nullità del contratto e la perdita del denaro in capo ai Cristiani mutuanti[11].
Già Carlo V[12] aveva in una sua legge condannato “i cessionari dell’iniquità degli Ebrei”, a perdere i loro crediti.
Questa prescrizione legata e alla presunzione di pravità dell’Ebreo, ma anche al fatto che i Cristiani non potevano esercitare l’arte feneratizia[13], verrà meno solo nell’Ottocento quando l’usura verrà vietata a tutti.
Gli Ebrei a partire dagli anni ‘40 poterono dunque far da mediatori di prestiti tra Cristiani o tra Cristiani ed Ebrei senza essere per ciò solo soggetti ad una pena[14].
(Continua)
[1] Addivenire.
[2] Aggiudicazione.
[3] Il paragrafo 11 del capitolo V dispone la disciplina che reggerà la registrazione dei pegni che non fossero stai comprati all’incanto: ”Dei Pegni, che refteranno ai banchieri, per non effere comparfo alcun ‘Offerente, fe ne darà da effi una nota ai predetti Segretarj, efprimendovi con chiarezza la qualità del Pegno, la Stima, che è ftata fatta dall’Efperto, la quantità loro dovuta tra Intereffe, e Capitale, e fe avanza o no fomma veruna, e mancando di ciò fare, incorreranno per ciafcuna volta nella pena fovr’efpreffa”.
[4] Art. 690. “I gioiellieri, orefici, oriuolai e qualsivoglia persona che attende alla compra e vendita di gioie, ori e argenti, gli ottonai, stagnaiuoli, calderai, rigattieri, ferrivecchi dovranno fare al Segretario del Giudice locale e in difetto a quello del Comune ed in assenza di questo al Sindaco o ad altra autorità a ciò destinata, una distinta e circostanziata consegna di tutta le cose che compreranno o riceveranno in pegno, pagamento o permuta, oppure per vendere, esprimendone la quantità, qualità ed altri connotati ed il prezzo per cui avranno quelle avute, indicando altresì il nome, cognome, patria e condizione delle persone che gliele avranno vendute o rimesse. Tale consegna debb’essere fatta entro 24 ore dopo che avrà avuto luogo la vendita o la rimessione. In caso di trasgressione le persone suddette sono punite con multa estensibile a lire 100 e se fossero recidive col carcere per mesi tre e colla sospensione dall’esercizio della loro professione. Saranno però eccettuate dall’obbligo della consegna le robe che saranno comprate nei fondachi e negozii aperti>>.
[5] Discipline simili le rinveniamo nel Codice penale austriaco, nel Regolamento punitivo della Toscana, nel Codice estense ed in quello di Parma.
[6] L. VIGNA – V. ALIBERTI, Della condizione attuale degli Ebrei in Piemonte, op. cit., p. 54.
[7] I fedeli che ricorressero al prestito erano passibili di scomunica. Però già il concilio Laterano I aveva vietato solo le usure troppo esagerate e quindi la Chiesa stessa arrivò a legittimare le usure moderate. L. VIGNA – V. ALIBERTI, Della condizione attuale degli Ebrei in Piemonte, op. cit., p. 79.
[8] L. VIGNA – V. ALIBERTI, Della condizione attuale degli Ebrei in Piemonte, op. cit., p. 80.
[9] L. VIGNA – V. ALIBERTI, Della condizione attuale degli Ebrei in Piemonte, op. cit., p. 79 nota 2.
[10] V. Sentenza del Regio Consolato di Torino 24 gennaio 1845.
[11] Il paragrafo 12 vieta alcune condotte di interposizione da parte degli Ebrei. “Proibiamo agli Ebrei di preftar’ il loro Nome, o d’effere Mediatori di Preftiti, o altri Contratti fra Criftiani, e Criftiani, o fra criftiani, ed Ebrei, ne’ quali il Criftiano riceva il Pegno, ed efiga intereffe, o vi partecipi, fotto pena, oltre la nullità del Contratto, della perdita della fomma rifpetto ai Criftiani, che imprefteranno ‘l danaro, ed altretanta per gli Ebrei, che ne faranno mediatori”.
[12] 1500-1558.
[13] Il Libro IV Tit. XXXIV, posto al paragrafo 1 il divieto generale di attività usuraria, al paragrafo 2, risalente al 1430, però specifica che “Il frutto permesso agli Ebrei ne’ loro privilegj per il denaro, che daranno ad imprestito, solamente si intenderà per que’ Banchieri Ebrei riconosciuti come tali dal Consolato[13], e per i soli danari loro proprj, e non per quelli, che ricevessero da’ Cristiani con patto tacito, o espresso di negoziali in comune”. Il paragrafo 1 prevedeva la confisca dei beni anche nel caso in cui si scopra dopo la morte che il defunto era usuraio.
I Cristiani per aggirare questa norma cedevano agli Ebrei le loro azioni contro i creditori. Questa pratica verrà meno soltanto nel 1837 quando l’art. 1694 del Codice civile stabilirà il perfezionamento della cessione del credito soltanto con il documento che individuava il prezzo convenuto e lo stesso possesso del credito ceduto si trasferiva con tale documento. Al paragrafo 2 si vieta in generale il prestito dai Cristiani agli Ebrei. “Verificandosi, che alcun Cristiano imprestasse, o in qualsivoglia modo dasse danari ad Ebrei per avere parte certa, o incerta in quell’utile, che ad essi è permesso, s’avranno gli uni, e gli altri per Usuraj, e si procederà contro di essi nel modo sopraprescritto”.
[14] L. VIGNA – V. ALIBERTI, Della condizione attuale degli Ebrei in Piemonte, op. cit., p. 84.