La Costituzioni piemontesi prevedevano dunque il divieto di costruire nuove sinagoghe, restando possibile il solo restauro.
Il paragrafo 1 Capo II riprende la regola degli Statuti Sabaudi del 1430: “Non potranno gli Ebrei edificare, né in veruna forma fondare nuove Sinagoghe, o ampliare, quelle, che aveffero, ed in ogni cafo contrario gli Uffiziali Noftri far demolire fubito quanto si foffe ampliato, e nuovamente edificato, permettendo loro nondimeno di riftaurare, e riparare quelle, che si trovano in effere”.
È Teodosio II nel 438 e.V.[1] a stabilire il divieto di costruire nuove sinagoghe o di abbellirle: in caso di trasgressione la sinagoga era trasformata in chiesa e a ciò si sommava un’ammenda di 50 libbre[2].
Anche Giustiniano riprese il principio “…ordiniamo che alcuna giudaica sinagoga non sorga per novella fabbrica: dato il permesso di rifare le antiche che minacciano ruina”[3].
Le sinagoghe dovevano apparire in altre parole trasandate, vecchie, repellenti[4], in stridente contrasto con la maestosità e la bellezza delle chiese.
Chi al tempo di Giustiniano avesse costruito nonostante il divieto una sinagoga, avrebbe lavorato in realtà a favore della Chiesa cattolica, venendo adibito il manufatto a chiesa, anziché a sinagoga; e chi non si fosse limitato a riparare una sinagoga preesistente sarebbe stato privato dell’edificio e punito con una multa di 50 libbre[5].
Sino al 423 e.V. per la verità non poteva mutarsi la destinazione delle sinagoghe né in senso pagano, né in senso cristiano e lo stesso Giustiniano poi deciderà di mutare personalmente la destinazione a due sinagoghe.
Il divieto di edificazione nella storia non è stato però così rigido perché con il permesso del Papa o del Re era stata possibile anche la fondazione.
Si provvedeva all’edificazione per gli stessi motivi per cui ciò avvenne nella Palestina giustinianea: se gli Ebrei in un dato luogo erano molti e se soprattutto si potevano permettere l’edificazione.
Dato che si trattava di culto tollerato non si poteva alzare strepitosamente la voce durante il culto.
Il paragrafo 2 del Capo II limita in altre parole le modalità dei loro riti.
“Si guarderanno d’alzare ftrepitofamente le voci nell’efercizio de’ loro Riti, ma faranno obbligati ad efercitarli con tuono modefto, e sommeffo”.
Già Gregorio Magno riteneva che fosse lecito occupare le sinagoghe quando l’eco dei canti si sentisse nelle Chiese vicine[6].
La legislazione che regge in casa sabauda a distanza di più di mille e trecento anni cercava dunque pur sempre di rendere la religione ebraica poco allettante e di spingere i Giudei ad abbracciare non più il culto dell’Imperatore, ma comunque la religione cattolica[7].
Questi principi che vigevano anche a genova domineranno ancora la legislazione dell’Ottocento che richiamava gli usi ed i regolamenti sotto i quali l’osservanza del culto era tollerato[8].
Agli Ebrei in Genova si vietava però di partecipare ai culti cristiani in forza di una Bolla di Clemente XI del 1703, ma in Piemonte non vigeva tale osservanza[9].
Inoltre in osservanza delle prescrizioni del Consiglio di Trento si riteneva che gli Ebrei potessero avere diritto di asilo nelle chiese cattoliche, nei casi in cui era concesso ai Cristiani[10].
(Continua)
[1] Novella 3 del 31 gennaio.
[2] Anche se si poteva ricostruire la sinagoga distrutta (C.TH. XVI. 8. 25 e 27 del 423 e.V.) e rinforzare quella che stava per crollare (con Teodosio II e Valentiniano nel 39. C. I. 9. 18)
[3] C. 1. 9. 18. (19)
[4] A. M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, Giuffré, Milano, 1988, p. 783.
[5] C. 1. 9. 18. (19)
[6] A. M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, Giuffré, Milano, 1988, p. 691.
[7] A. M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, Giuffré, Milano, 1988, p. 40.
[8] L. VIGNA – V. ALIBERTI, Della condizione attuale degli Ebrei in Piemonte, op. cit., p. 57.
[9] L. VIGNA – V. ALIBERTI, Della condizione attuale degli Ebrei in Piemonte, op. cit., p. 61.
[10] L. VIGNA – V. ALIBERTI, Della condizione attuale degli Ebrei in Piemonte, op. cit., p. 62.
[11] Il paragrafo 1 stabilisce che “Non farà lecito agli Ebrei di far acquifto de‘ Beni ftabili ne’ Noftri Stati, fotto pena della confifcazione di effi, e se in occafione di qualche efecuzione fopra i Beni del Debitore saranno aftretti a prenderne in pagamento, vogliamo, che paffato il termine del rifcatto, fieno tenuti alienarli a Perfone capaci un’anno dopo, fotto la medefima pena”.