Si inibì inoltre ai Cristiani la partecipazione a feste religiose ebree[1]; e almeno all’origine furono integralmente proibiti i rapporti di lavoro o di servizio (famulato).
Con il Codice Theodosiano viene stabilita la liberazione di uno schiavo pagano o cristiano[2], la perdita dello schiavo e la punizione del padrone che lo avesse fatto ebreo[3], ed in seguito con le Novelle la pena di morte e la confisca dei beni per il padrone ebreo che avesse indotto alla conversione lo schiavo o con la persuasione o con la forza[4].
Già nel 335 Costantino stabilì in primo luogo che se un Ebreo avesse acquistato e circonciso uno schiavo cristiano, o di altra setta, il padrone avrebbe perso il diritto di proprietà sullo schiavo e questi avrebbe ottenuto la libertà.
Con il figlio Costanzo si stabilì la confisca dello schiavo comprato dall’Ebreo e la pena di morte per la circoncisione; se poi lo schiavo acquistato fosse stato cristiano l’Ebreo poteva perdere il possesso di tutti i suoi schiavi.
Con Teodosio I si facilità il riscatto dello schiavo cristiano, e con Teodosio II e Onorio si permise in un primo momento di mantenere la proprietà e patto che lo schiavo potesse mantenere la fede cristiana.
Ma nel 417 gli stessi imperatori ritornarono sul tema prevedendo appunto la pena di morte per chi avesse convertito lo schiavo unitamente alla confisca dei beni.
Il primo concilio di Macon nel 581 renderà poi obbligatoria l’accettazione del riscatto da parte dell’Ebreo per 12 solidi.
Gregorio Magno negherà in assoluto il diritto degli Ebrei di possedere schiavi cristiani e di ottenere indennizzo per il riscatto, a meno che la fede dello schiavo non sia messa in pericolo.
Con il IV Concilio di Orleans nel 538 si stabilì che lo schiavo cristiano poteva essere riscattato al giusto prezzo per il solo fatto di non voler servire un Ebreo e all’uopo i fedeli dovevano fare una colletta.
Lo schiavo poteva comunque chiedere il diritto d’asilo nelle Chiese ed il padrone non poteva punirlo per essersi ivi rifugiato.
Con Giustiniano si stabilì che il servo dell’Ebreo[5] che fosse divenuto cristiano avrebbe acquistato ipso facto la libertà, senza che ci fosse il bisogno di pagare un riscatto[6].
L’imperatore fissa inoltre il principio per cui “I Giudei saranno condannati alla confisca dei beni e con esilio perpetuo se sarà constato di aver circonciso un uomo della nostra fede, o dato mandato onde essere circonciso”[7].
In pratica con Giustiniano nessun padrone (ebreo, eretico o pagano) può essere proprietario o possedere o circoncidere schiavi cristiani. L’Ebreo poteva dunque acquistare solo schiavi ebrei o pagani[8].
Tale divieto ha avuto un influsso dirompente sulla vita dell’Ebreo nel senso che gli ha fatto abbandonare completamente il lavoro della terra: all’epoca nessuna azienda, che non fosse di proporzioni modestissime, poteva mantenersi senza usufruire dell’ausilio di manodopera servile[9].
Nel 426 Teodosiano II e Valentiniano stabilirono che fosse proibito a genitori o avi ebrei o samaritani diseredare e lasciare fuori dal testamento figli o nipoti che avessero abbracciato il Cristianesimo; se ciò fosse avvenuto il testamento sarebbe stato invalidato e l’erede cristiano avrebbe ricevuto la sua porzione ab intestato[10].
La legittima spettava al figlio e al nipote anche se si fossero macchiati di gravi crimini e fossero stati dunque punibili[11].
Anche in tema di educazione l’intervento imperale fu pregnante perché si stabilì che “Essendovi genitori di diversa fede e religione, la sentenza di colui prevalga, che avrà prescelto di condurli alla fede ortodossa: benché sia anche il padre che si oppone: affinché da ciò, non prendendo occasione di adirarsi, li privi degli alimenti necessari o di qualunque altra spesa necessaria”[12].
Si giunse inoltre ad interdire l’edificazione di nuove sinagoghe (438 d. C.)[13], la distruzione delle sinagoghe samaritane[14] e ad imporre agli avvocati ebrei che volessero esercitare il giuramento di fede cattolica (468 d. C.)[15].
Lo scopo dichiarato era che nessun Ebreo dovesse esercitare influenza, autorità o potere su Cristiani, e specialmente sui vescovi, per timore che se ne servissero per nuocere loro o per insultare la fede cristiana[16].
(Continua)
[1] Tuttavia il loro culto fu ammesso anche se veniva definito superstitio e gli Ebrei venivano considerati una secta. B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, Giuffré, Milano, 1952, p. 337.
[2] C. Th. XVI, 9.1.
[3] C. Th. III. 1. 5.
[4] Nov. Th. III, 4.
[5] Per l’Ebreo può esserci anche la sentenza capitale (C. 1. 10. 1)
[6] C. 1. 10. 1. 2. Cfr. A. M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, op. cit. p. 578 e ss. e p. 714; cfr. anche sul punto V. A. DE GIORGI, Elementi di diritto romano considerati nello storico svolgimento, G. Franz, Monaco, 1854, p. 334.
[7] C. 1. 9. 16.
[8] A. M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, op. cit. p. 788.
[9] A. M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, op. cit. p. 785.
[10] Ossia la quarta parte del patrimonio.
[11] C. Th. XVI, 8. 28. Il principio venne ripreso anche nel Codex (C. 1. 5. 13). E ciò probabilmente contribuì ad alimentare la rivolta degli Ebrei contro l’Imperatore.
[12] C. 1. 5. 12.
[13] Era permesso solo di restaurare le sinagoghe pericolanti.
[14] “Le sinagoghe dei samaritani son distrutte: e se tentano di farne altre, son puniti”. (C. 1. 5. 17). Non si sa se questa norma venne composta prima o dopo la rivolta dei Samaritani.
[15] Le leggi razziali del 1938-39 che richiesero ai Consigli dell’Ordine degli Avvocati di cancellare i legali ebrei dall’albo professionale ebbero dunque un ben triste ed antico precedente.
[16] CJ I, 5. 12 del 527; CJ I, 9. 18 (19). Cfr. A. M. RABELLO, Giustiniano, Ebrei e Samaritani, op. cit. p. 697.