Risale alla fondazione di Roma un complesso sistema etico sul quale è stata elaborata tutta la società romana. In tutta la letteratura ci sono continui richiami ai mores maiorum senza però che da nessuna parte essi vengano elencati in modo preciso ed ordinato. E’ come se i Romani non avessero mai sentito la necessità, né in epoca arcaica, né in epoca repubblicana, di esplicitare questo tacito e condiviso habitus di comportamento. In realtà essi rappresentano il cardine della società romana e sono una sintesi di ideali e valori che riguardano non solo la vita del singolo individuo, ma quella di tutto lo stato, la res publica, il bene collettivo. Infatti nei mores maiorum confluiscono le qualità interiori che si traducono negli obblighi e nei doveri di uomo e di cittadino:la pietas, il rispetto verso la patria, i genitori, gli dei, gli amici; la fides, la lealtà verso la parola data; la frugalitas, la sobrietà nello stile di vita; la probitas, il disinteresse e la gratuità; la gravitas, la condotta irreprensibile dai modi controllati e lontani dagli eccessi; il pudor, il sentimento di vergogna per ogni mancato rispetto della norma; la sapientia, la saggezza politica, indispensabile nella vita pubblica.
L’insieme di tutte queste qualità è la virtus, termine che etimologicamente rimanda a vir, poiché è proprio al vir che spetta esercitarla. La virtus si raggiunge in guerra, tramite la gloria, e nella vita civile, tramite l’honos, l’onore dal quale nascono la dignitas e l’auctoritas, il riconoscimento pubblico del proprio ruolo e delle proprie prerogative. La virtus non può esistere senza una rigida delimitazione delle situazioni della vita civile: religiones, culti a fondamento dello stato; negotia, gli affari privati; otium, il tempo libero individuale o, per gli aristocratici, quello vacante da impegni pubblici.
I primi documenti che ci permettono di comprendere quali fossero i valori in cui credevano i Romani sono contenuti negli elogia funebri rinvenuti nei sepolcri di due membri della celebre famiglia degli Scipioni: dei due uomini vengono ricordate la bellezza, la forza ed il valore militare.
Nel primo vero poema epico latino, il Bellum Poenicum di Nevio, troviamo espresso, nei pochi frammenti superstiti, uno dei pilastri del codice morale romano: occorre che il cittadino anteponga in ogni circostanza il bene della patria all’interesse personale, sacrificando, laddove sia necessario, anche la propria vita.
A questo ideale Catone il Censore conformò tutta la sua esistenza ed orientò la propria battaglia culturale per la difesa dell’identità romana, cercando continuamente di richiamare i concittadini alla sobrietà degli antichi costumi paterni, lontana dall’ostentazione sfrenata del lusso, alla serietà (gravitas) di fronte ad eventi e situazioni difficili, alla lealtà nei confronti della patria (fides) e alla devozione verso di essa e nei confronti degli dei (pietas).
Fides e pietas costituivano per un Romano due valori irrinunciabili.
La fides (lealtà) era sentita alla base di qualunque rapporto interpersonale, sociale e politico e proprio su di essa si poggiavano le relazioni tra politici e cittadini, tra lo stato romano e gli alleati, tra patrono e cliente.
Al termine pietas era invece sottesa una serie di qualità morali alle quali ci si doveva ispirare circa il proprio comportamento nei confronti della patria, degli dei e dei genitori. Era un insieme di dedizione, senso del dovere, affetto, rispetto e devozione. Nella letteratura latina il pius per eccellenza è il virgiliano Enea.
Un altro valore fondamentale per un civis romanus era la severitas, la “severità” intesa come rigore intellettuale, il decus, il “decoro” che si esprime attraverso la dignità, la fortitudo, sia in senso fisico che morale, col significato proprio di “resistenza”, di “autocontrollo”, esercitato attraverso la forza di volontà e l’energia della mente.
Ed è grazie alla commedia di Terenzio che l’attenzione del pubblico romano si concentra sui valori e sugli atteggiamenti che caratterizzano l’uomo in quanto tale. Proprio con Terenzio nasce il concetto di humanitas, improntato sulla philanthropia greca, che presuppone mitezza e generosità verso i propri simili, in virtù del saper riconoscere nell’’altro la propria stessa “umanità”. Sostenitore per eccellenza dei principi sottesi al termine humanitas è Cicerone, soprattutto nel De officiis.
La vera svolta però nell’’interpretare i valori del mos maiorum giunge da Catullo, che con grande abilità trasferisce le qualità tipiche dell’uomo romano dal contesto socio-politico alla sfera privata. Per il poeta i sentimenti e il legame con le persone care hanno un’importanza fondamentale nella sua vita, perciò egli carica di nuovi significati, personali ed affettivi, termini che fino a quell’epoca erano utilizzati solo in relazione alla vita sociale e politica: fides diventa la fiducia, la sincerità, la lealtà tra innamorati ed amici, mentre pietas è principalmente il dovere nei confronti delle persone amate.
La stessa cosa si può riscontrare anche tra i poeti elegiaci, come Tibullo, Properzio e lo stesso Ovidio che inseriscono la fides tra i valori più importanti da celebrare in poesia.
Molti storici hanno preferito lasciare alle imagines ( i ritratti dei personaggi della storia romana) la funzione di offrire l’exemplum, la concretizzazione della virtus. In epoche diverse gli storici, come Sallustio Livio e Tacito, videro un declino globale di Roma, indagarono allora le virtù partendo dallo studio e dall’analisi dei vizi e misero spesso in contrapposizione la degenerazione dei costumi della società a loro contemporanea con l’austerità degli ormai tramontati mores maiorum.
In epoca cristiana la nuova religione impose un nuovo modello etico, improntato ai concetti di uguaglianza e fraternità di tutti gli uomini dinanzi a Dio:in questa ottica, il valore universale viene ad essere individuato nell’amore, per il Creatore e per il prossimo.
Per approfondire:
Leges delle XII Tavole
Bellum Poenicum, 43 Morel
Accio, Diomedes, v. 263 W.
Epinausimache, v. 301 W.
Catone, De re rustica II, 1-5
Nepote, Vita Attici 1; 6; 13; 16-17
Cicerone, De Repubblica VI, 13-16
Catullo, carmi 101, 109
Terenzio, Andria V, vv. 871-903
Sallustio, De coniuratione Catilinae 14-15
Virgilio, Georgiche 1, 122-148
Eneide, IV 584-602; XII 919-952
Tibullo, Elegie I, 10 vv. 1-25
Ovidio, Ars amatoria I, 629-644
Lucano, Bellum civile II 372-391
Tacito, Annales XIV, 7-8
Agricola 46
Svetonio, De vita Caesarum, Nero 34
Giovenale, Satira VI, 1-20; 85-113
S. Ambrogio, Inno 4
S. Agostino, Confessiones X, 27-38
Epistulae 155, 18
Giulia Del Giudice