S. Re-L. Simoni. L’invenzione letteraria. Volume primo. Carlo Signorelli editore. Milano. 2001
Con tutto ciò è indubbio che la maggior figura poetica prima di Dante non è quella di un fiorentino, ma di un aretino, Guittone del Viva (vissuto all’incirca tra il 1235 e il 1294)[1]. Secondo il Renucci è <<il solo autore toscano di cui si sia certi che abbia sperimentato l’arte di scrivere in volgare sia in prosa, sia in versi>>.
Guittone introduce nella tradizione ormai lunghissima e stanca della poesia siculo-provenzale un’ardua tematica politico-religioso-morale che rompe gli argini della stilizzazione precedente.
Come annota il De Sanctis e concorda il Momigliano <<In Guittone senti è notabile questo: che nel poeta senti l’uomo: quella forma aspra e rozza ha pure una fisionomia originale e caratteristica, una elevatezza morale, una certa energia d’espressione>>.
Guittone apparteneva ad una numerosa famiglia aretina e il padre, Viva di Michele, era stato anche camerlengo (tesoriere) del comune ai tempi della massima fioritura della città.
Egli trascorse un lungo periodo impegnato in una serie di viaggi, compiuti forse per ragioni di commercio, e in incarichi sostenuti per coadiuvare il padre nel suo ufficio.
Di fronte alle lotte che si scatenano tra le fazioni, Guittone, schieratosi tra i Guelfi conservatori, sceglie nel 1256 volontariamente l’esilio fuori della Toscana, entrando nel 1265 (anno in cui nasce Dante) nell’ordine dei Milites Beatae Virginis Mariae[2], che furono detti “frati gaudenti”, il cui impegno era quello della pacificazione delle parti in lotta nei comuni e tra i comuni[3].
La conversione religiosa del poeta è anche conversione letteraria. Guittone era stato poeta dell’amor cortese siculo-provenzale[4]; muovendosi nella consueta tematica dell’innamoramento alla vista della donna, dell’esaltazione sentimentale delle sofferenze amorose e così via, ora sente che quel potere irresistibile dell’amore che annichilisce l’innamorato è follia e immoralità.
Di qui la sua decisione di abbandonare la tematica amorosa sostituendola con quella politico-morale, con adozione privilegiata della canzone[5]come metro atto a veicolare una tematica alta e solenne, di stile “tragico” (del poeta rimangono 50 canzoni, oltre a 24 sonetti e per lo più amorosi e ad 8 epistole metriche)[6].
Il passaggio da una tematica all’altra era già previsto nella poetica provenzale, specialmente con il metro della canzone: ma Guittone accentua tale viatico, facendo della conversione il momento culminante di una vicenda esemplare e offrendo in questo modo uno schema organico di “canzoniere” che sarà adottato dallo stesso Dante e Petrarca.
Le sue rime sono ardue e complesse perché il poeta ricorre volutamente ad un “ornato difficile” per innalzare il tono poetico.
Uno dei primi esempi di questo tipo di poetica è offerto dalla celebre canzone Ahi lasso, or è stagion de doler tanto, scritta da un guelfo (e quindi con un approccio di parte) per la sconfitta dei Guelfi a Montaperti che vide vittoriosi i senesi[7], alleati ai Ghibellini esiliati da Firenze e guidati da Farinata degli Uberti[8].
Guittone d’Arezzo
Ahi lasso, or è stagion de doler tanto[9]
[1]Chiaro Davanzati, che pure riprende essenzialmente l’esperienza siciliana e occitanica, con predilezione per i temi dell’infelicità d’amore, si rifà infatti a Guittone, e ancora più ne risente Monte Andrea.
Si tratta, in questa canzone come nelle altre, di una poesia moralistico-oratoria che ha bensì per tema la politica presente, ma che tende ad innalzarsi ad una visione ideale e profetica, rivolgendosi al passato come modello per un futuro diverso.
In questo senso la poesia guittoniana rappresenta una tappa ineludibile sulla strada, che sarà percorsa genialmente da Dante,delle grandi canzoni della “rettitudine”, in altre parole di esaltazione della virtù.
In questa strofa il dolore di Guittone viene soverchiato dal sarcasmo.