
Allora mi era sembrato un tentativo per trattenermi, dato che facevo finta (ma tu non potevi saperlo) di non volerne più sapere di te.
Mi sbagliavo: avrei dovuto capire che volevi semplicemente indicarmi l’unica strada percorribile.
Mi sono cullato nell’illusione che ci fossero altre vie per amarti: la tua tristezza di ogni volta dopo l’amore mi ha fatto pensare che anche tu le ricercassi.
Nei tuoi progetti invece io non sono – e non sono mai stato – nemmeno un’idea: lo capisco tutte le volte in cui mi sputi in faccia che la tua vita fa schifo e che non trovi alcun conforto nel fatto che io straveda per te, anzi, come dici tu, la cosa ti fa ancora incazzare.
Non perché non mi puoi avere (o non mi vuoi?), ma in quanto rappresento una delle tante cose a cui ti sei abituata a rinunciare.
Eppure ho creduto tu fossi davvero la metà ritrovata, tutte le volte che ci annusavamo e chiudevamo gli occhi in apnea per catturare un po’ del nostro essere reciproco che ci sfuggiva dopo la fase di inspirazione.
Era irresistibile allora accarezzarci, naso contro naso, nell’attesa di un bacio e semplicemente avvicinare le labbra per mostrare gli incisivi di sotto, magicamente scoperti ed offerti dal e nel desiderio.
Era naturale allora trattenerti la nuca con i polpastrelli e cercare di baciarti, inebriato dal profumo dei tuoi capelli, più a lungo e più nella possibile profondità, mentre liberavi la tensione del labbro inferiore e mi facevi entrare con la lingua in un incavo rilasciato, caldo e morbido; e poi stringerti e far scivolare contemporaneamente le mie labbra sul collo fino alla clavicola, e poi passare a massaggiarti sui bordi elettrici del bacino, là dove i nervi tiravano già verso il pube e tu contraevi il ventre con la velocità scomposta, incontrollabile e possente della centrifuga di una lavatrice.
Una lavatrice, simbolo per qualcuno, della maternità, per me della fulminea necessità di scendere ancora verso la tua intimità.
Già umida nella divincolante attesa…
In effetti hai il collo più lungo ed è diversa l’attaccatura del seno, le tue spalle non sono poi così rotonde ed il pube non è certo così vicino all’ombelico.
Ma io ti guardavo godere dal basso e la mia lingua avrebbe voluto restringerti per raggiungere ogni poro.
Ed i tuoi seni s’illuminavano impedendo ai miei occhi di andare al di là dei capezzoli.
Avrei voluto aprire nel tuo corpo mille labbra come le tue da cui succhiare il segreto della vita.
Se questa tastiera si trasformasse in una bacchetta magica, tu saresti oro amore mio e le mie parole vile metallo che un alchimista potrebbe trasmutare.
Ma un sogno chiude i miei occhi ed anche i tuoi, il buio comune dura un istante e vola via verso una luce che non posso contenere, né fissare troppo a lungo… arriva al cervello il suo profumo dalle radici increspate della tua anima.
Vorrei baciarle fino all’apice per mordere il fascino… più facile sarebbe contare uno ad uno i tuoi capelli che mi attirano da lontano: tendere una mano è lo scopo di ogni giorno in cerca di te.
Sei bosco magico che ride del mio cavallo imbizzarrito e smarrito, sei radura insidiosa dai verdi brillanti, di muschio bagnato e compatto che mi circonda a dismisura, sei il movimento della luna che ondeggia lenta tra le stagioni, sei il mare che è sempre azzurro quando si screzia di blu, sei un mi bemolle che si allunga all’infinito sul distorsore della vita, sei la felicità del sole che invita l’alba a cambiare colore, sei l’alba che cattura ed invita a sperare in un nuovo sole, sei il mio passo che si fa più frettoloso per attenderti ancora, sei la gioia di ogni frase che mi accende, arpeggio e melodia, sei la fronte corrucciata di una farfalla senza identità, leggera ape laboriosa rimasta a pensare sullo stesso fiore che si consuma, sei il corpo della terra: friabili i capezzoli si raggrumano verso il cielo.
Ed io li accarezzo con l’impazienza tremante di un vasaio innamorato dell’umida creta.(Continua)