
Sono già in autostrada, la giornata ride meravigliosamente; il sole è ancora talmente caldo che mi costringe ad aprire il finestrino; spero di non prendere l’influenza, finora mi ha graziato e non vorrei mai…
Stranamente, oggi sembra che da casa non si sia mosso nessuno, non c’è il minimo rallentamento; così arrivo davanti al teatro mezz’ora prima del pattuito, mezz’ora che si prean-nuncia con un languore di sguardi persi nel vuoto.
Sei un poco in ritardo, ti avvicini con l’eleganza di sempre. <<Ciao, mi dispiace d’averti fatto aspettare… ma devi attendere ancora qualche minuto: ho da parlare…>>
Ti giri e rientri: non posso fare a meno di guardare i lunghi e lucidi capelli, i polpacci, allenati come quelli di una ballerina, ma anche sottili al punto giusto.
Esci salutando un bellimbusto con un farfallino nero che mette in mostra un ossequioso e largo sorriso; giri su te stessa rimanendo un attimo in sospensione sulle punte, proprio come una ballerina, probabilmente per confermare quanto precedentemente concertato e finalmente dirigi il solito passo sicuro verso di me.
<<Come stai? Sei stanca?>> domande che non cercano replica; qualsiasi cosa tu dicessi otterresti soltanto una sonora rispostaccia; mi sento talmente geloso che ogni civile contegno sarebbe improponibile: a pensarci bene però è un atteggiamento tra il buffo e patetico, su di te non posso vantare alcun diritto, ma la gelosia non bada certo a tali “sottigliezze”.
<<Sì, abbastanza… dovevo mettermi d’accordo per gli spettacoli della settimana prossima… lavorare il lunedì per le mie colleghe è sempre un pasticcio perché hanno famiglia>>
<<Per te invece non c’è problema!>>
<<Difatti.>>
Come mi piacerebbe invece se questo lunedì uscissi con me o almeno potessi venire a prenderti, dopo il lavoro: è improponibile il solo pensiero.
<<Cosa vuoi fare?>>
M’arriva uno sbuffante non so a cui replico con la famigerata rispostaccia covata in gola a lungo e anche nervosamente: <<Se dici così, ti porto immediatamente a casa!>>
<<No, no, è una bella giornata, c’è ancora il sole… magari facciamo un giro a piedi…>>
La città in effetti non mi è mai sembrata così bella ed irreale, anche se la luce obliqua mi costringe a tirar giù l’aletta parasole; vorrei che il tempo si fermasse e che il tramonto potesse appartenere solo al passato, presto invece arriverà la notte e con essa il ritorno.
<<Indovina dove ti sto portando?>>
<<Nel posto dell’altra volta.>>
Sono proprio infantile a rivolgere certe domande, di cui poi mi compiaccio da solo: tu lasci fare, hai capito quanto io sia ingenuo e cosa possa venirne da una persona talmente abituata al suo isolamento da non concepire altro piacere, se non quello della propria voce.
<<Stavolta vorrei finire quella passeggiata… non c’è ghiaccio che possa fermarci…>>
<<Va bene… non c’è nulla che possa fermarci…>> che a parte la sgrammaticatura, equivale ad un “non hai bisogno di tutte queste manfrine per chiedermi qualcosa… in fondo una passeggiata è una cosa normale, andassimo al martirio! prendila con più calma…a volte mi sembri davvero un invasato!”
E lo sono cara mia, sono invasato di te, meraviglioso ed intelligente demonietto: vanamente tento di esorcizzarti sullo schermo del mio calcolatore, ma non riesco… ogni parola è una minuscola goccia d’acqua caduta nell’inferno; brucia in un attimo, nella speranza d’essere seguita da altre gocce, altre illusioni che a loro volta arderanno in un fuoco convulso, irri-nunciabile, doloroso e allo stesso tempo dolcissimo… il fuoco della mia anima, senza origine né fine, inebetito e urlante come quello di un qualsiasi altro, esile, insignificante ammasso di nervi; nervi tesi verso una meta irraggiungibile e segreta, banale in fondo e insieme straordinaria, unica e infinitamente ripetibile.
(Continua)