L’eremita (seconda parte) (Scena unica-parte settantaquattresima)


L’eremita
Ho paura di morire senza aver capito… avendo bruciato ogni opportunità, ogni strumento e dono… io non ho mai imparato a ringraziare, forse perché non ho mai cercato di costruire una relazione, ma ho sempre preso e preteso alla rinfusa, così come potrebbe pretendere un ladro in fuga… sento che il mio corpo è stanco di sopportare il logorio di una vita ripetuta e così drammaticamente irripetibile… e in bocca trovo sovente il gusto del sangue, il respiro si fa difficoltoso ed il cuore accelera senza emozione, solo perché lo stomaco si è riempito a dismisura di questa dolce e grassa infelicità.
Non sono mai stato credibile nemmeno per me stesso… sembra che la menzogna mi circondi come un salvagente e che la gente non possa che stare alla larga da me… sarà pure il segno dei tempi, ma è davvero brutto diffidare sempre del prossimo ed attaccarlo, anche quando si sa benissimo di avere torto… questo, tanto per dire qualcosa… la cattiveria altrui non servirà certo a salvarmi l’anima, anzi alla fine forse sarà pure un’aggravante per non aver saputo, voluto, cercato, tentato… certe volte abbasso pure la guardia e l’istinto non funziona più… quell’istinto che ci vuole verso il Bene…mi chiedo che differenza faccia la mia sorte… se sia davvero possibile risolvere ogni questione in termini filosofici… se io ci sono non c’è la morte e se c’è la morte… io non ci sono più. Perché preoccuparsi allora? Solo perché l’inferno potrebbe essere peggiore di quanto già vivo o non vivo qui? E se poi comunque fossero preoccupazioni vane per un destino che in realtà era stato già deciso… no, questo no… perché allora saremmo assolutamente svincolati dall’umana responsabilità e la nostra permanenza qui non avrebbe alcun senso… comunque mi domando che mondo sia quello in cui l’uomo diviene solo un peso per il prossimo… un peso da scrollare via con tutti i mezzi…

Abelardo
Il salice piange senza difficoltà perché la natura ha voluto che avesse questa forma particolare… ma tu non sei un salice, tu sei nato per stare in piedi bello diritto, ad ognuno la sua funzione… tu non sei nemmeno un ciliegio a cui gli uomini sembrano badare solo in certi periodi dell’anno, tu sei sempre in fiore e fai sempre frutti succosi e saporiti…è vero che il contadino utilizza spesso un veleno contro i parassiti, ma non è un veleno mortale, basta un po’ d’acqua fresca per neutralizzarlo… Anche Dio sceglie spesso certe situazioni, certi stati d’animo per proteggerti da nemici mortali… a te basta giungere le mani, come per metterle sotto una fontana di acqua fresca ed il tuo essere si purifica, anche da ciò che in fondo ti proteggeva…il dolore, l’angoscia, l’insoddisfazione continua sono come il verderame… sono un male necessario, perché qualcuno un giorno possa coglierti, perché il tuo frutto ed il tuo fiore si facciano ogni giorno più forti e più desiderabili…tu sei un albero speciale che non è un albero, un po’ come quello del Bene e del Male, con la differenza che tu devi diventare cibo per il prossimo.
Chiedi a Dio che il tuo frutto brilli proprio quando è più carico di pena, ma al tuo cuore non basti allertare i sensi altrui, il tuo cuore chieda di appartenere… ci vuole un senso in più per appartenere al grande cuore dell’Universo, quello lo devi scatenare tu e si mette in moto soltanto con la preghiera… lo Spirito giunge soltanto quando Lo richiama la sua sposa… il mondo non avrà mai questa forza di attrazione… per questo ti pare così crudo e disumano… nessuna realtà può essere così potente da metterti in relazione con Dio, sei tu che devi cercare la relazione ed una relazione privilegiata… Dio può mettersi “a tu per tu” con ogni uomo perché Lui è Amore infinito, ma senza una tua parola questo Amore è un po’ come un uomo che dimentichi le chiavi di casa sua…l’appartenenza fa solo più amaro l’uscio serrato…

Autore: tieniinmanolaluce

Sono attualmente avvocato, mediatore civile e commerciale, formatore di mediatori e mediatore familiare socio Aimef. Per undici anni sono stato docente di letteratura italiana e storia antica al liceo classico. Sono accademico dell'Accademia Internazionale di Arte Moderna. Scrivo da sempre senza privilegiare un genere in particolare. Ho pubblicato diversi libri anche in materie tecniche. Tra quelli letterari ricordo da ultimo: Un giardino perfetto, Poesie 2012-2016, Carta e Penna Editore, novembre 2016. La condizione degli Ebrei dai Cesari ai Savoia, Carta e Penna Editore, aprile 2017 La confessione, Dramma in quattro atti, Carta e Penna Editore, aprile 2017 Ho iniziato questo blog nel febbraio del 2006 e mi ha dato grandi soddisfazioni. Spero continuino anche su questa piattaforma. Tutto ciò dipende fondamentalmente dalla interazione con tutti voi, cari lettori.

13 pensieri riguardo “L’eremita (seconda parte) (Scena unica-parte settantaquattresima)”

  1. carisimi, trovo questa pagina molto significativa e fatta apposta per scuotere almeno la mia coscienza. Credo che quando si ha la sensazione di aver paura di morire senza aver capito non si abbia tempo per filosofare, ma bisogna solo correre ai ripari e dunque VIVERE! Perchè la vita comporta sì sofferenza, dolore, ma anche slani di amore, riflessione, preghiera, apertura, gratitudine….oltre al dolore c’è un mare di cose belle che non possiamo affondare dietro la nostra incapacità di reazione:esse ci sono, ci chiamano, ci prendono per mano e a nulla serve fare i sorsi…o spegnere la lampada…perchè lo sposo arriverà all’improvviso e tu dovrai essere pronto a riceverLo!

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  2. con quale immenso piacere vi ritroviamo!!! mi ha colpito molto nel discorso di Abelardo il fatto che Dio sceglie per noi certe situazioni per difenderci da nemici mortali:faccio molta fatica ad accettare questa cosa nel momento della prova, del dolore. E non mi basta personalmente giungere le mani, non riesco a capire che la sofferenza sia necessaria perchè qualcuno possa cogliere me ed io diventare cibo per gli altri. In certi momenti confesso che fare e pensare tutto ciò è veramente impossibile…ma è comunque una strada, varrebbe la pena di provare a seguirla, perchè in alternativa che cosa c’è? Solo la paura di morire senza aver capito!!!

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  3. “tu sei nato per stare in piedi bello dritto”…dritto! Dinanzi alla prova, senza spezzarsi, piegando il capo, congiungendo le mani in preghiera…Giobbe ci è maestro da questo punto di vista…il dolore come strumento al fine di essere colti e diventare vita per gli altri. Ecco, penso che rare volte io mi soffermo a pensare che sono vita, che posso essere cibo per il prossimo. Che qualcuno può nutrirsi dei miei gesti, della mia riconoscenza…che la mia miseria abbia comunque una funzione. Devo capirle, queste cose…per non arrivare troppo ignorante al momento della morte…per comprendere che i miei limiti sono un viatico e che io, come tutti, sono un “homo viator” , un uomo in cammmino, nel dinamismo che fa tutte le cose.
    Grazie a tutti! Emilio

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  4. un po’ alla spicciolata ci si ritrova tutti!! Bellissimo! Bentornata a tutta la “famiglia” virtuale!
    Aver paura di morir senza aver capito, senza aver tenuto per mano il lungo filo comune della speranza che lega uomini e donne apparentemente lontani dai cammini della fede ma che riescono a dire parole grandi e rivelano in profondità la loro domanda d’infinito. L’eremita è uno di loro. Così oggi io lo ritrovo, con le sue fragilità, le sue paure, le sue domande radicali sul senso della vita…in tal modo egli si fa portatore di un pofondo senso religioso e scuote i pensieri di tutti noi…lancia la palla, noi la raccogliamo e la rilanciamo a nostra volta…Rossana

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  5. ho letto con molta attenzione i vostri bellissimi commenti a questa pagina così spessa e densa di “moniti”! Visto che siamo ancora tutti fermi alle parole dell’eremita mi riallaccio ad esse e parto dalla speranza, che mi pare sia ciò che non compaia nelle parole dell’uomo eremita. Sperare è la cosa più personale, ma ciò credo non sia possibile senza che si tenga in mano la speranza degli altri. Nello slancio della comune speranza non solo trapela ciò che attendiamo, ma viene incontro il Risorto stesso. E sono assai convinto che sia la trama della speranza a descrivere il disegno delle relazioni tra gli uomini. Uomini incamminati sull’unica strada (noi insieme all’eremita ed Abelardo) che cercano di realizzare attese e sogni che conducono, pur nella fatica ineludibile del loro limite, alla ricerca di vita, di relazioni buomne, di giustizia, libertà e pace. Speranza: parola che appartiene al linguaggio umano di ogni tempo. Se hai paura di morire senza aver capito hai perso la speranza!
    Nella speranza c’è la forza di una sete radicata nel cuore di ogni uomo e nelle aspirazioni di ogni popolo. Se si dovesse individuare il filo di un possibile legame su cui rifondare una convivenza civile, riaccendere la luce in un mondo buio, si dovrebbe partire proprio da qui. Dalla speranza. Ed allora comprendo le parole di Filippo e degli altri amici, quelle parole che esortano a gridare la speranza che si prova dentro con un GRAZIE, un TI AMO, “grazie Dio! Ti amo mio Signore”, grazie a te che mi fai sentire ancora un uomo e degno di essere chiamato tale, te che mi aiuti e mi rispetti, te che non voglio deludere perchè so di amarti, perchè mi hai accolto come un prodigio senza voler nulla in cambio, solo mi hai donato le tue premure, le tue attenzioni ridonandomi una speranza ch, una fede, che dà forza alla intera mia esistenza. E un grazie, un ti amo non detto è un’occasione di vita, di speranza mancata. Un’omissione che alla lunga si fa imperdonabile e rende il cuore vuoto e freddo, come di pietra…. Grazie eremita, grazie perchè mi hai ricordato che oggi devo dire il mio grazie, in primis a Dio e poi a voi, per questa pagina d’amore che mi avete saputo donare.
    Paolo

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  6. non lo aiuta la filosofia…proprio non lo aiuta! C’è solo la preghiera che può aiutarlo e mi accorgo ora di come sia importante pregare per quanti non siano più capaci di farlo….quanta importanza ha ricavare una piccola, breve nicchia interiore per pregare per chi non ha più fede! Perchè Dio ci dia ascolti e salvi un’anima smarrita. Federico

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  7. è senza speranza oggi l’eremita!!! Non piange neppure come il salice. E’ un uomo che con cinismo sente di non aver più un ruolo, una missione nella vita….Carlotta

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  8. vorrei dire all’eremita che nessuno è per il prossimo un peso da scrollar via…ho visto malati tetraplegici che pur sbavando soltanto riuscivano ad avere una relazione con coloro che si prendevano cura di loro…non si è mai solo un peso…solo per il fatto che si è, che si esiste, che si è una vita, che si è una persona e come tale si può sentire, sperare…pur non parlando, pur senza agire. Nessuno è un peso per il fatto che è dono di Dio. Ci sono poi momenti nella vita nei quali ci si sente impossibilitati a fare qulaunque cosa, ci si sente dipendere dagli altri e non si è in grado di ricambiare i doni che si ottengono….il dono più grande per chi si sente così è proprio l’altro che senza interesse tende a noi la mano, quando sa che nulla potrà ricevere in cambio, se non un sorriso, un grazie perchè si è creata la relazione, quella dello scambio d’amore, muto, fatto di gesti concreti e di speranza. E’ la fede che nutre ed alimenta relazioni del genere. Vorrei dire all’eremita di goderne, di ringraziare chi lo accoglie pur se egli si sente un peso, di urlare a chi riceve questo peso come un dono del Signore tutto il suo affetto e la sua riconoscenza, perchè il dire grazie, il manifestare il suo affetto, potrebbe essere un passo importante per farlo uscire dal suo guscio ed andare incontro all’altro che lo aiuta con il sorriso di chi ha riconosciuto Gesù tra le mani aperte del fratello che gli sta dinanzi.
    Non peso, ma dono! Così bisogna accettarsi.
    Un abbraccio fraerno a tutti voi ritrovati. Filippo

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  9. Quante volte ho fatto sentire il mio prossimo come un peso! C’é sempre una vocina che conosco troppo bene, che questiona il mio agire quotidiano e la risposta é sempre una, il bisogno di sentirmi indispensabile…e in questo bisogno si confonde ogni azione, per buone che possano sembrare. E’ difficile capire la gratuitá del dare, piú che del ricevere…é difficile liberare la mente dal secondo fine cosí da non sentire piú quella vocina.
    Un giorno un professore ci disse di imparare tutto ció che c’é da imparare, di renderlo parte di noi cosí da poter arrivare a dimenticare tutto ció che abbiamo imparato. Credo che questo consiglio vada ben al di lá del banco di scuola. Conoscere noi stessi per poterci dimenticare di noi stessi, conoscere Dio per ‘dimenticarsi’ di un paradiso e di un inferno progettato in un qualche futuro, congiungere le mani perché si hanno mani da congiungere. Siamo speciali é vero ma non siamo indispensabili. Indispensabile nullitá, cosí mi sento, a volte. Bentornati a tutti Alberta

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  10. il salice piange perchè è la natura che così ha voluto. Non voglio contraddire Abelardo, ma credo che ognuno di noi abbia i suoi particolari, specifici talenti ed è con questi che deve fare i conti, che deve farsi frutto…sono qesti talenti che devono essere fecondi per se stessi e per gli altri. Che talenti ho? Come posso metterli a disposizione? E’ questo a parer mio che si chiede l’eremita. Chi sono? Come posso ESSERE? Credo che sia alla ricerca di questa risposta che per ora si perde ancora in un gusto di sangue, ferruginoso quasi, come ferro che si scioglie piano in bocca. Ed invece bisogna apprezzare la vita e sentirne il sapore dolce scorrere in gola, prendere atto di quelle piccole, fugaci gioie alle quali sovente non facciamo caso, sempre proiettati come siamo al domani, mentre l’oggi ci sfugge inesorabilmente di mano.
    Sono felicissimo di aver ritrovato la vostra incomparabile compagnia. Vi abbraccio tutti. Salvatore

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  11. anche a me capita di aver paura di morire senza aver capito, avendo sprecato ogni oppurtunità, strumento e dono. soprattutto mi capita di fae i conti con la mia stupidità, con la cecità che tante volte caratterizza i miei gesti quotidiani, gesti che mirano al mio interesse, che non sanno riconoscere che cos è un dono, che non mostrano gratitudine…gesti a-umani, perchè non hanno nulla di quella somiglianza divina in nome della quale siamo stati creati. Neanche nel mondo animale talvolta si riscontra tanta presunzione nella relazione! La lezione di oggi è quella di capire, di capire subito, perchè domani potrebbe essere troppo tardi. Di spalancare gli occhi e il cuore, il cuore soprattutto, oggi! Di cogliere le opportunità di oggi, non con un orazioano atteggiamento edonistico da carpe diem, quanto con la consapevolezza che abbiamo intorno frutti da cogliere e che noi stessi possiamo essere nutrimento per altre anime.
    Grazie per questa bella pagina.
    Patrizia

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  12. mi pare di fondamentale importanza l’imparare a ringraziare, il non dare nulla per scontato, niente come dovuto. Se non sai ringraziare significa che non hai compreso il significato del dono, il senso di essere frutto per qualcuno…edallora sei in un circolo vizioso mortale. Perchè sei sterile, sei arido … dunque sei spiritualmente morto. Chi ringrazia al contrario gioisce ed è riconoscente per un gesto di gratuità, sa di essere stato oggetto di un’attenzione non scontata, disinteressata:in questo sta la relazione. Non è un do ut des, è un do ut sim et sis…un donare affinchè io per prima sia uomo, tu sia uomo e da umani ci sia una relazione umana e quindi spirituale in primis, non materiale. Perchè le relazioni non si fondano su scambi di beni materiali:il bene materiale è il gesto concreto e gratuito di una vera ed autentica relazione costruita sull’amore e sulla stima reciproca, non sull’interesse che mi può derivare dalla conoscenza, dall’amicizia stessa. Grazie di essere ritornati a scuotere le nostre coscienze e a farci lavorare sui nostri meschini atti di egoismo.

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  13. bentornati Carlo e Giulia! Sero che per tutti noi le vacanze siano state all’insegna del riposo e della pace. Questa lunga pagina sicuramente sprona alla riflessione sulla pace che deriva dalla preghiera, una pace che ci porta a farci frutto e quelle due mele esprimono bene il significato delle parole di Abelardo: siamo frutto quando ci offriamo gratuitamente e disinteressatamente, quando ci facciamo cogliere dalla vita e dal Signore soprattutto, quando possiamo sfamare, dissetare, dare sollievo e nutrimento…tutte metafore, ma che significato grande dietro all’espressione:farsi frutto! Cristo lo ha fatto morendo sulla croce. Ci chiede di essere frutto non morendo, ma vivendo, testimoniando l’amore che abbiamo per Lui. Farmi frutto, io, oggi! Mi metto subito all’opera. Un abbraccio a tutti. Carlo

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