L’eremita
Piegato
dal non essere
mi accontento
d’essere vivo.
Abelardo
Respiro la gioia
d’esistere
ad ogni palpito
d’amore in cui
mi anniento
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Autore: tieniinmanolaluce
Sono attualmente avvocato, mediatore civile e commerciale, formatore di mediatori e mediatore familiare socio Aimef. Per undici anni sono stato docente di letteratura italiana e storia antica al liceo classico. Sono accademico dell'Accademia Internazionale di Arte Moderna. Scrivo da sempre senza privilegiare un genere in particolare. Ho pubblicato diversi libri anche in materie tecniche. Tra quelli letterari ricordo da ultimo: Un giardino perfetto, Poesie 2012-2016, Carta e Penna Editore, novembre 2016. La condizione degli Ebrei dai Cesari ai Savoia, Carta e Penna Editore, aprile 2017 La confessione, Dramma in quattro atti, Carta e Penna Editore, aprile 2017 Ho iniziato questo blog nel febbraio del 2006 e mi ha dato grandi soddisfazioni. Spero continuino anche su questa piattaforma. Tutto ciò dipende fondamentalmente dalla interazione con tutti voi, cari lettori. Leggi tutti gli articoli di tieniinmanolaluce
Sulla citazione di Shakespeare vorrei sottolineare come il dubbio amletico sia imperniato sull’interrogativo esistenziale del vivere (essere) e del morire(non essere). Da questo punto di vista è molto lontano il testo del tragediografo dal nostro post, perchè in realtà l’idea del suicidio che è sottesa alle parole di Amleto non è affatto presente nelle due liriche…pur avendo un tempo l’eremita pensato al suicidio (questo è vero!).
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quasi con un masochismo compiaciuto, che con una reale obiettività. carlotta
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e tante volte io ho pensato che per affermare se stessi i poeti abbiano negato se stessi…Federico
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bravo! Corazzini per l’appunto dice “Perchè tu mi dici :poeta?/ io non sono un poeta…
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forse i crepuscolari…Fabio
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mi pare spettacolare questa chiacchierata simposiaca! Ma anche la letteratura ha preso spunto dall’essere e non essere. Vediamo se i ragazzi hanno qualche idea….
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Platone adotta quindi una logica più complessa, che ammette anche l’esistenza del non essere, molto ben distinto dal nulla di Parmenide.
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Platone supera i divieti di Parmenide, egli aveva vietato di pensare che il non essere in qualche modo sia, laddove per Platone esiste un “esere del non essere”:il non essere come diverso, come altro, dialetticamente correlativo all’identico.Enrica
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profondamente diverso è il discorso che fa Platone: egli afferma infatti che per determinare che cosa è l’uomo io devo dapprima determinare che cosa esso non è. Per Platone infatti ogni idea è identica a se stessa, in quanto diversa, altra, rispetto a quella opposta.
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L’essere per Anassagora non può venire dal non essere, nè finire in esso:per il filosofo non c’è produzione dal nulla, nè diastruzione totale delle cose, ma solo una loro perenne trasformazione
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questa intuizione che noi oggi diremmo “embriologica” fornisce la base per una teoria filosofica più generale:ogni realtà deriva da semi in cui era già contenuta “implicitamente”. Enrica
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Anassagora spiega lo sviluppo del seme come crescita delle parti distinte e la loro separazione progressiva, quindi come differenziazione di ciò che prima era omogeneamente mescolato. Paola
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Quindi nel germe, nel seme, devono già essere contenuti tutte le cose che sono. Elisa
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Infatti per Anassagora era assurdo pensare che il capello venisse dal non-capello:questo andrebbe contro tutti i principi eleatici. Fabio
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Anassagora, come Empedocle e Democrito, accetta il principio eleatico per cui l’essere non può derivare dal non essere, nè finire in esso:la nascita non può venir concepita come opassaggio dal non essere all’essere, nè la morte come annichilirsi di ciò che è. Esse sono invece processi di combinazione e divisione di enti che già da sempre e per sempre sono. Enrica
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più tardi con Empedocle si verrà a costruire una teoria del divenire in cui essere e non essere non siano posti contraddittoriamente come identici. A tal proposito nel suo poema Sulla Natura egli spiega la varietà e le trasformazioni dei fenomeni naturali a partire dalle quattro radici (terra, acqua, aria e fuoco) e le due forze dell’amore e dell’odio.
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Per Parmenide poi esiste un’identità tra essere e pensiero. “Lo stesso è il pensare e l’essere” Fabio
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questa attenzione che la filosofia rivolge all’essere delle cose verrà chiamata nel corso della storia della filosofia con il termine di ontologia, che vuol dire appunto discorso sull’essere. Essa parte con Parmenide e sarà poi il riferimento principale delle due ontologie principali del pensiero antico:quella platonica e quella aristotelica.
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gli enti sono tutto ciò di cui possiamo dire:CHE E’, di cui affermiamo l’essere. L’acqua è, il fuoco è, l’aria è. Con Parmenide la filosofia si accorge delle cose non in quanto cose, ma – come dirà Aristotele – delgli enti in quanto tali. Noi possiamo conoscere le cose solo se le comprendiamo innanzitutto in quanto esse sono.
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solo con Eraclito e in modo compiuto con Parmenide la filosofia diventa invece DISCORSO SULL’ESSERE. Essa non cessa di riferirsi alle cose concrete, agli elementi della physis, ma li pensa in quanti essi sono, cioè li pensa in quanto enti.
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per i filosofi ionici i termini to eon e ta eonta non vengono distinti da altre che nella lingua greca indicano cose reali e concrete (ad es. pragmata). Volti alla ricerca dell’archè essi danno per scontato che le cose su cui indagano SIANO.
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bravissimi:il pensiero pensa per Parmenide obbligatoriamente ciò che è (to eon) cioè l’essere delle cose;mai invece pensa il non essere, cioè le cose in quanto non essenti (to me eon). Pensare il non essere equivale a non pensare. Pertanto solo ciò che è, l’essere, può essere pensatoed espresso con il linguaggio. Viceversa ciò che non è non può essere vero, non può in realtà venir pensato ed espresso con il linguaggio. esso non esiste:è il NULLA
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Al contrario, esprimere e pensare ciò che non è, il non essere, appare impossibile. Alberto
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Qualsiasi cosa, quindi, per poter essrere pensata deve dapprima ESSERE. Carlo
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Per il filosofo di Elea ogni nostra affermazione, giudizio e pensiero sono in primo luogo un dire ed un pensare che ciò che si giudica e afferma E’: Elena
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La seconda invece è una via impossibile, falsa e tale da condurre unicamente all’errore. Paola
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ma solo la prima è percorribile, è l’unica in grado di saper condurre alla verità. Luca
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Queste due strade, quella dell’essere e del non essere sono per Parmenide le sole pensabili. Elisabetta
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Parmenide individuò due linee di ricerca, due modi opposti di pensare, che ritiene i soli logicamente possibili: uno “che dice CHE E’ e che non è possibile che non sia”, l’altro “che dice CHE NON E’ e che è necessario che non sia”. Enrica F.
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la partenza è da Parmenide di Elea, il filosofo di Elea, il filosofo della alètheia che con la sua ontologia procedette alla definizione dedd’essere e delle sue proprietà fondamentali.
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Essere o non essere, questo è il problema: se sia più nobile d’animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell’iniqua fortuna, o prender l’armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli. Morire, dormire, nulla di più, e con un sonno dirsi che poniamo fine al cordoglio e alle infinite miserie naturale retaggio della carne, è soluzione da accogliere a mani giunte.
Morire, dormire, sognare forse: ma qui é l’ostacolo, quali sogni possano assalirci in quel sonno di morte quando siamo già sdipanati dal groviglio mortale, ci trattiene: é la remora questa che di tanto prolunga la vita ai nostri tormenti.
Chi vorrebbe, se no, sopportar le frustate e gli insulti del tempo, le angherie del tiranno, il disprezzo dell’uomo borioso, le angosce del respinto amore, gli indugi della legge, la tracotanza dei grandi, i calci in faccia che il merito paziente riceve dai mediocri, quando di mano propria potrebbe saldare il suo conto
con due dita di pugnale? Chi vorrebbe caricarsi di grossi fardelli imprecando e sudando sotto il peso di tutta una vita stracca, se non fosse il timore di qualche cosa, dopo la morte, la terra inesplorata donde mai non tornò alcun viaggiatore, a sgomentare la nostra volontà e
a persuaderci di sopportare i nostri mali piuttosto che correre in cerca d’altri che non conosciamo? Così ci fa vigliacchi la coscienza; così l’incarnato naturale della determinazione si scolora al cospetto del pallido pensiero. E così imprese di grande importanza e rilievo sono distratte dal loro naturale corso:
e dell’azione perdono anche il nome…
Vorrei poter scrivere il mio nome, ma, come ben tutti sapete é Shakespeare che parla e lascio a voi la parola. Alberta
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mI RENDO CONTO CHE L’ONTOLOGIA NON è ARGOMENTO FACILE, MA POTREBBE ESSERE INTERESSANTE RIVEDERE QUESTA MATERIA!
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lancio un amo ai ragazzi…che ne dite se ci si confrontasse sulla tematica dell’ESSERE e del NON ESSERE ?
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sono due aspetti, questi, che richiedono esperienza, sofferenza, non sono scontati:è la vita che insegna tutto ciò, è la vita che insegna a vivere, ad annientarci, ad accontentarci
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quello che mi colpisce da una parte è la sobrietà, la maturità del sapersi accontentare, dall’altra l’umiltà di sapersi annullare nel dono gratuito di sè al prossimo. Costanza
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è questo che ti fa accontentare di esistere, è questo che scatena in te la gioia di esistere! Enrica
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ed il palpito non lo avverti solo dentro te, perchè questo accade quando si è piegati, quando respiri è perchè avverti il palpito della Bellezza di cui tu sei parte integrante:è q
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annientati nell’amore, sentiti un nulla nel momento in cui avverti in te questo palpitp universale di cui anche tu sei parte…qui è la gioia! Patrizia
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non annientare te stesso senza finalità, se vuoi sentirti un nulla, fallo dinanzi a Dio, a chi ti ha voluto perchè fossi qualcuno, qualcosa, perchè potessi rappresentare anche solo un atomo di Lui su questa terra
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si pensi solo al linguaggio ascetico, come ad esempio al fatto che la vera santità consiste nell’annullarsi in Dio. Qui il vivere consiste nell’annullarsi nell’amore! E mi pare assolutamente in linea con quanto detto sinora da Abelardo! Coerentissimo dialogo poetico!
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beh…un po’ alla morte, anche se solo in apparenza e giocando sul lessico, ci si riferisce. Annientarsi significa in fondo essere niente, un nulla, un non-essere, ma qui il senso è molto diverso, perchè in quell’annullarsi c’è un annichilimento nell’amore
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ed infatti dal respiro si passa ai palpiti, ed è il cuore la sede dei palpiti, è il cuore il muscolo dell’amore…questo amore che per una volta non viene associato alla morte!
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mi piace quella metafora, respiro la gioia, mi piace pensare alla gioia come a un qualcosa che possa essere respirata, che entra nei polmono, che ossigena il sangue e arriva dritto al cuore:è una bellissima immagine, una lode a Dio!
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ed è proprio la rassegnazione che non piace ad Abelardo: non piegarti, respira! Non chiuderti, apri il cuore! Non chiudere gli occhi, spalancali! Quante volte ha mostrato all’eremita la Bellezza, quella Bellezza inafferrabile che lo circonda e di cui non riesce a godere…ora l’eremita sta imparando, si accontenta di quel poco che ha. La vita! E vi pare poco la vita? Non è forse il dono più prezioso?
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forse che nell’accontentarsi c’è un rifiuto di assumersi responsabilità? non credo…credo piuttosto che si prenda atto di una situazione…una situazione che non può essere cambiata, ci si rassegna e basta.
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e vorrei far notare che “respiro la gioia” è tutto un verso, come a sottolineare che non solo è importante respirare , ma è importante prendere consapevolezzza di esistere! Questa è una vera e propria responsabilità.
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nulla, d’altro canto, è più vitale della respirazione stessa: senza di questa saremmo morti, saremmo non-essere! L’apertura al mondo, al prossimo, al cambiamento è di vitale importanza, è questo che Abelardo risponde con quel “respiro la gioia”. Furio
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è il discorso del cammino che ancora una volta prende forma: l’eremita ed Abelardo da tempo si sono presi per mano e procedono sulla stessa strada, fanno un cammino, sono partiti da un punto per raggiungere la meta. Mi pare assai bello che queste due liriche mostrino che da una situazione di difficoltà come quella del piegarsi si possa giungere ad una situazione di apertura, come quella del respirare…è un po’ un alternarsi di diastole e sistole questo post ed è spiritualmente elevato il valore di questo contrare e distendere!
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è proprio la riflessione, il ripiegamento a mostrarmi i limiti, è dalla chiusura che si parte, ma poi bisogna giungere all’apertura! Questo è fondamentale se si vuole essere vivi!
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al contrario nel piegarsi c’è un atteggiamento di chiusura, di ripiego su se stessi, di raccoglimento anche, di riflessione, questo solo per dire che non è comunque un atteggiamento negativo. Furio
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il respiro implica una apertura, si aprono le braccia, i polmono, si lascia entrare l’aria, si ha un atteggiamento, per l’appunto, di apertura!
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diversa è la posizione di Abelardo:intanto guardate solo la postura; nella prima lirica c’è qualcuno che è piegato, la seconda invece si apre con un verbo solare, respiro! Già in questo c’è una differenza sostanziale nel porsi dinanzi al destino stesso.
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proprio in questo consiste la gioia:nell’accontentarsi, nell’essere appagato dal solo fatto di essere vivo…non importa poi se il destino farà di me un non-essere:io so che sono nel momento esatto in cui vivo e mi accontento di ciò
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nella prima lirica vedo un uomo piegato, un uomo provato dal destino, un destino spietato che però lascia ancora una possibilità:l’accontentarsi!
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vorrei dire che se l’eremita è piegato è solo grazie alla presenza di Abelardo, il quale è capace di annullarsi nell’amore per il prossimo…se così non fossse, l’eremita sarbbe non piegato, bensì spezzato. Corrado fadda
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Che bello rileggervi tutti!, Anch’io, guardando l’immagine ho pensato subito alla Trinitá ed ho pensato anche che, viste dall’alto quelle tre teste sono proprio come il trifoglio che St. Patrick ha usato per spiegare tale mistero. Leggendo le poesie non ho visto tanto una domanda ed una risposta, quanto una continuazione ad un medesimo concetto, in quell’accontentarsi dess’esser vivo vedo l’istinto alla sopravvivenza, l’essere che vince sul non essere e divengono poi la medesima cosa tramite l’amore, la gioia di essere e l’annullarsi in essa.
Non ci sono piú pensieri, la mente si é liberata di tutto, svuotata e in essa si puó ascoltare il mistero della Trinitá. Alberta
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e nulla viene tolto ai personaggi, che appaiono anche nei versi con le medesime caratteristiche:l’eremita piegato e Abelardo rassicurante, un Abelardo che continua con l’esempio a mostrare una via, a indicare all’eremita un modo per non essere piegato, per fare del non essere un essere! ecco, per me la genialità del post sta in questo particolare! rossana
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no, è un chiasmo…fateci caso:la replica procede per un chiasmo! Geniale! Se riflettere vedrete che anche in prosa Abelardo risponde sempre in questo modo…fedelissima anche la struttura interloquiare del dialogo…nulla viene tolto alla prosa! Bravissimi
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una metafora? Annalisa
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ed in questo la replica attua un bel processo di straniamento attraverso una figura retorica…quale?
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e poi l’ACCONTENTARSI viene ripreso dalla GIOIA. Paola
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e quell’essere viene ripreso da ESISTERE. Elisabetta
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dal punto di vista formale si gioca ad esempio sulla parola “ESSERE”. Fabio
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ma ponete attenzione anche a come sono costruite formalmente queste due bellissime liriche, a noi maggiormente care proprio perchè parlano di due personaggi fittizi che ci sono cari…le parole non sono messe a caso…
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ed infatti a parer mio queste due liriche sono molto sentite, nascono dal profondo del cuore, da un’umile constatazione di ciò che è la propria vita, dall’amarla, questa vita, con le sue difficoltà…contento solo di viverla, ma nello stesso tempo con l’aver capito che si vive veramente soltanto quando veramente si ama. Trovo il messaggio molto profondo!
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un’erma trifronte:la trinità…forse è un modo per sottolineare che quando due sono uniti nel Suo nome, Egli è in mezzo a loro!
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la cosa di cui ringrazio più Carlo e Giulia è di aver creato un dialogo. Anche in poesia i due personaggi continuano a parlare, con le loro connotazioni, fedeli al loro modo di essere…l’eremita piegato, piegato e non spezzato…ma questo solo grazie alla presenza del filosofo…il filosofo che si erge, umilmente non si piega, si annulla, si annienta ogni volta che dona se stesso…straordinari davvero. grazie.
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oppure quella terza figura sull’erma potrebbe rappresentare Dio, il disegno di Dio, la capacità dell’uomo di accettare tale disegno, di amarlo addirittura…
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del resto il termine FORTUNA è vox media ed in quanto tale può essere positiva o negativa, favorevole o avversa, propensa a farci esserci oppure a farci sentire un non essere. Enrica
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la Fortuna, o meglio il Fato, quel Fato per i Romani che è inconoscibile ed insondabile, che fa della nostra vita un essere o un non essere
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Potrebbe essere la FORTUNA…Marta
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Oppure potrebbe rappresentare l’essere e il non essere .. però non saprei a questo punto come considerare il terzo! Carlotta
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forse rappresentano l’uno l’eremita, l’altro Abelardo ed il terzo è la personificazione della vita. Federico
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ma che bella cosa avete tirato fuori!! Mi concentro un attimo sull’immagine sull’erma che mostra tre volti…e vi esorto a dire la vostra…
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Carissimi, sono innanzitutto felice di ritrovarvi:queste due liriche sono davveroo una SINTESI di ciò che sono l’eremita e Abelardo;siamo abituati a leggere di loro attraverso ragionamenti, attraverso una prosa che spesso prende forma attraverso similitidini e figure tratte dal concreto, dal reale…qui abbiamo un’astrazione, una sintesi, come dicevo prima di che cosa significa vivere per ciascuno dei due personaggi.
E mi stupisco di come così pochi versi possano essere talmente fedeli alla psicologia tracciata in tanto tempo e con tante parole dei due interlocutori…davvero la poesia ha la grande capacità di lanciare messaggi incisivi e fedeli a ciò che siamo…ma cosa siamo? già, che cosa siamo? essere o non essere? Siamo oppure non siamo? e se non siamo perchè accade ciò? perchè sentirsi un niente? Oppure no:oppure forse l’annientarsi è essere pienamente….dite voi!
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che piacere rileggervi! Ero in pensiero!!Davvero un post eccezionale che bisogna commentare con ordine: innanzitutto la brillante idea dei titoli….la prosa viene messa in versi liberi, le tante pagine che sinora abbiamo letto, commentato, le tante parole che nel cuore di ognuno hanno lasciato un segno , segnano ora una traccia lirica, il disegno preciso, il profilo di due personaggi che da mesi ci fanno compagnia. Che cos’è l’esistenza, come si sopravvive? che appigli abbiamo, che credo abbiamo? quante domande riassumono queste due poesie, quale sintesi di concetti!
Lascio la parola ai ragazzi che sicuramente saranno spronati a dare il meglio di sè. Con ammirazione e stima. Nicola P.
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