Trincea/Solitudine


Trincea

Per guardare
l’orizzonte
ho scavato
una trincea
di solitudine.
Chiusero i fiori
il varco
per scoprire la vita
uccidere la morte.
E torneranno
i grilli
a confortare
il fango.

Solitudine

Talvolta la solitudine
sgocciola livida
ed io mi seggo
sul bordo della pozzanghera:
come un cieco guardo
il mio mondo meschino
e neppure l’orizzonte vedo,
chè tutto annacqua
il pianto.
A tastoni cerco
il mio riflesso, anima
tremante, foglia
da accarezzare.

Autore: tieniinmanolaluce

Sono attualmente avvocato, mediatore civile e commerciale, formatore di mediatori e mediatore familiare socio Aimef. Per undici anni sono stato docente di letteratura italiana e storia antica al liceo classico. Sono accademico dell'Accademia Internazionale di Arte Moderna. Scrivo da sempre senza privilegiare un genere in particolare. Ho pubblicato diversi libri anche in materie tecniche. Tra quelli letterari ricordo da ultimo: Un giardino perfetto, Poesie 2012-2016, Carta e Penna Editore, novembre 2016. La condizione degli Ebrei dai Cesari ai Savoia, Carta e Penna Editore, aprile 2017 La confessione, Dramma in quattro atti, Carta e Penna Editore, aprile 2017 Ho iniziato questo blog nel febbraio del 2006 e mi ha dato grandi soddisfazioni. Spero continuino anche su questa piattaforma. Tutto ciò dipende fondamentalmente dalla interazione con tutti voi, cari lettori.

86 pensieri riguardo “Trincea/Solitudine”

  1. …la mia più grande ed assoluta riconoscenza va a tutti voi che avete partecipato a questo forum…anche così si può fare cultura. Un abbracio da tutta la classe e un grazie particolare a Carlo e a Giulia perchè i loro versi sono davvero motivo di crescita…e nei cuori di qualche alunno, nel mio sicuramente, rimarranno certamente immortali! Grazie. Enrica

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  2. e lo fa con la delicatezza dell’ejembement, che dona grande ai versi una musicalità, un legame per l’appunto che lo riconduce a se stesso. Siete stati veramente eccezionali!!

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  3. da questo punto di visata il pianto non deve essere quindi visto come un atteggiamento masochistico compiaciuto o rinunciatario, ma come autentica espressione di un’anima che veramente soffre

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  4. da questa poetica immobile però il poeta esce, a tastoni, ma esce, tenta di evadere…nella prima lirica ci si rinchiude in trincea, qui si evade, si entra nella pozzanghera per accarezzare la propria anima, si prende coscienza di ciò che si è e ci si vuolbene con le proprie meschinità

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  5. è l’atteggiamento di chi sente tutta la sua aridità interiore, una sorta di pietrificazione spirituale che porta a vivere come spettatore inerme della vita stessa.

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  6. e meschino è il nostro mondo quando sentiamo dentro di noi questa incapacità di essere accolti…si crea un vuoto, un buio(cecità) dal quale possiamo uscire solo con l’aiuto di qualcuno. Patrizia

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  7. talvolta infatti la diserazione ci fa vedere le cose peggiori di quanto in realtà esse siano: ci si sente soli e quindi incapaci di trovare in sè le forze per reagire ad uno stato di prostrazione…è una ruchiesta d’aiuto questa lirica…talvolta l’uomo ha bisogno di aiuto, che venga da Dio o da un suo simile non conta molto…l’importante è comprendere che qualcuno capisce e partecipa del dolore che è nostro, ma anche comune a tutti gli uomini…abbiamo bisogno, talvolta, di altre foglie che ci sostengano nel nostro volo dal ramo al suolo.

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  8. guarda come un cieco il suo momdo meschino…forse è meschino perchè non lo guarda con l’obiettività dovuta, ma sotto l’emotività del pianto che tutto innacqua…così anche gli aspetti positivi del suo mondo vengono visti in modo negativo e sembra che nulla possa essere recuperato e salvato. Fabio

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  9. forse il distacco è solo apparente, forse è solo strumentale al fine di comprendere meglio se stessi…è una pozzanghera, la solitudine, in cui il poeta specchia se stesso…che significa questa ulteriore metafora?

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  10. è così tanta questa solitudine che ai piedi del poeta si crea una pozzanghera e lui si siede sul bordo…mi piace perchè non dice che vi è immerso dentro, ma sta su un lato e guarda la solitudine quasi in modo distaccato. Laura

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  11. mi sembra estremamente importante che la solitudine come non-condivisione, come chiusura egoistica in se stessi sia simbolo di morte, morte metaforica, ma comunque una negazione della vita. Il dramma è quando si subisce questo certo tipo di solitudine, quando ci si rende conto che sotto quel mantello nessuno si vuol riparare…siamo solo noi stessi col nostro piccolo e meschino mondo.

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  12. proprio in questo le due liriche si distinguononella prima la solitudine è rricercata per chiudersi nella vita, tra pareti di vita, nella seconda lirica invece la solitudine non è altro che un subire un assaggio della morte…che senso ha la vita se vissuta da sola? Se non c’è accanto a noi nessuno con il quale condividere la nostra gioia e la nosra disperazione non si vive di certo…si vive come se si fosse morti!

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  13. non solo…il livore è tipico dell’ecchimosi della pelle ma anche del cadavere…è una solitudine che sa di morte…guardate che questi due versi hanno una potenza espressiva intrinseca veramente straordinaria!

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  14. in tal modo la solitudine che è astratta si fa concreta, assume una dimensione di concretezza, si può toccare e si può vedere, perchè livido significa che è di un colore freddo e bluastro, come un livido. Paola

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  15. a me quel sgocciola faceva quasi venire in mente un mantello bagnato…non so se pioggia, forse più di pianto, perchè è un mantello che protegge solo una persona, la persona loquens, il poeta, e non c’è spazio per altri…da qui il senso di solitudine che per l’appunto intride tutto il corpo di chi è avvolto in essa. Fabio

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  16. originale questa interpretazione, anche se non credo che il poeta se la prena con Dio, perchè altrimenti non parlerebbe del suo mondo meschino e tantomeno darebbe valore all’anima….comunque apprezzo molto questo punto di vista!

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  17. sgocciola, la solitudine, sembra che sul poeta piova, ed è una pioggia amara, una pioggia che sembra non potersi mai ascuigare. In quello sgocciolare c’è insito un sadico stillicidio che è voluto da Chi forse neanche si rende conto della sofferenza che l’uomo possa provare. Elisabetta

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  18. che poi apatico non è, o forse l’apatia sta solo nel non voler neppure guardare in facia il dramma del momento stesso, perchè tropppo doloroso per poter sostenere anche solo uno sguardo di fronte ad esso! Furio

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  19. qui non si descrive una scelta di vita, l’innalzare di una trincea, si descrive un momento dell’esistenza umana, uno dei momenti forse più drammatici dove l’uomo è immerso in un nichilismo apatico. Roberto

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  20. talvolta, non sempre…si apre in modo meno drammatico di ciò che è stato messo in luce ieri…solo talvolta la solitudine prende il sopravvento e ci schiaccia…talvolta no! E’ un momento passeggero, un momento della vita.

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  21. mi fa pensare che non è poi così limpida e pulita la sua anima, che non è poi così accogliente la sua trincea di solitudine, che il fango che accoglie è comunque simbolo della presenza inevitabile della imperfezione, forse dell’insoddisfazione umana…la solitudine è solo un escamotage per sopravvivere! Fabio

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  22. e la vita sta tutta là…la vita è solo quella del poeta e della sua capacità immaginativa, se ne sta nella sua trincea di solitudine, beato dei suoi fiori che segnano un confine tra il bello che c’è nella sua anima ed il marcio che rappresenta il mondo. Fabio

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  23. pensate al significato simbolico che invece Pascoli attribuiva ai fiori: morte e sessualità, entrambe le cose sono celate ad esem,pio dietro al Gelsomino notturno

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  24. il varco montaliano segna la ricerca del metafisico al di là della catena del determinismo esistenziale ed indica la possibile “maglia rotta nella rete”…qui al contrario non si rompe alcuna maglia, ma il poeta innalza una trincea…

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  25. Montale parla di varco, “il varco è qui?” si domanda ne La casa dei doganieri. ma non mi pare che il valore sia il medesimo che nella Trincea. Alessandro

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  26. perdonatemi:tengo solo a precisare che il varco è un passaggio stretto, che si supera a fatica, metafora del passaggio tra la vita e la morte

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  27. quindi scavare una trincea di solitudine significa essenzialmente accettae la solitudine come unico mezzo di salvezza:il mondo non mi vuole, io non voglio il mondo e dunque non mi rimane che trincerarmi dietro una parete immaginaria di solitudine, dalla quale posso ancora sognare l’orizzonte. Paola

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  28. probabilmente indica la difesa…è una metafora di difesa:la trincea si innalza allo scopo di proteggersi e forse qui il poeta vuole difendersi dal mondo che non lo vuole, che lo rifiuta…Federico

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  29. è un qualcosa che ci permette di sognare, forse rappresenta l’illusione stessa di raggiungere una meta che si sa inafferrabile. Fabio

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  30. l’orizzonte è qualcosa di bello, qualcosa che porta a immaginare, che porta al di là di dove ci si trova. ha una valenza positiva. Elisabetta

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  31. anche a me, cara Alberta, era venuto in mente che siamo una foglia sola tra le tante…ma tante foglie insieme possono fare un albero, un tappeto nel bosco. Guardate quante cose splendide si creano con il contributo di tante persone su questo blog…oggi do la parola ai miei alunni, affinchè si possano espremere con un’analisi del testo. Buon fine settimana a tutti ed un grazie a Carlo e a Giulia per averci offerto ancora una volta una possibilità di confronto e di analisi testuale. Enrica

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  32. A mio parere la tragicitá della seconda poesia sta proprio in quella foglia, che esiste, che é fragile, che é da accarezzare, ma in realtá non c’é nessuno che lo faccia, come se nessuno, a parte la foglia stessa, si accorga della sua sofferenza, solitudine…é l’incomprensione piú totale di un mondo esterno, non lontanto, ma talmente vicino da far parte della nostra vita, talmente lontano da non accorgersi delle nostre lacrime. Nella seconda vedo la serenitá dopo la tempesta, il risveglio da una trincea, che per quanto ci abbia resi soli, ci ha protetti e l’abbiamo amata…e tutto intorno la vita continua.
    E’ bellissimo come di una poesia si possano avere opinioni completamente diverse, talvolta opposte, é bellissimo come questo blog ci dia questa possibilitá. Quando si é a scuola si impara ad amare la poesia attraverso parole che sono giá scritte, che i nostri insegnanti e quelli prima di loro hanno in un certo modo imparato, assimilato,amato,…impariamo ad amare attraverso le opinioni scritte dalla storia e per quanto sia straordinario, é difficile andare oltre. In queste pagine abbiamo la possibilitá di guardare ad un capolavoro come se fossimo i primi,i soli,e i risultati sono di una freschezza e genuinitá che credo superino il banco di scuola. Su queste pagine vediamo noi stessi e a seconda delle nostre esperienze e dei nostri stati d’animo diamo un significato. Alberta

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  33. è sempre una sorpresa leggervi! Leggere come diverse menti diano voce a un coro, come diverse opinioni possano trovare una sintonia e dar vita ad un concerto nel quale si vuol solo scavare dentro la propria solitudine per trovare da essa una guarigione. Grazie!

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  34. come del resto è concreta quella solitudine che piove addosso livida, quella solitudine che è una pozza che accoglie, come una trincea…è accogliente la solitudine, sembra una nicchia, un posto dove ci si sta al calduccio….tutt’altra cosa invece appare nella prima lirica, dove lo sgocciolare indica l’agonia delo stillicidio, un dolore che scava poco a poco…

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  35. ci sono echi leopardiani nell’orizzonte e in quel “mi seggo” che riportano senza dubbio al “sedendo e mirando” del capolavoro del nostro Leopardi, ma se in Leopardi e nella prima lirica si sente come una dolcezza il naufragare nel mare della solitudine, nella seconda lirica invece la situazione appare rovesciata ed il poeta sembra a mio parere addirrittura esprimere l’angoscia di questa eventualità e si riafferra alle cose che sono al di qua della siepe, al di qua della pozzanghera, alla sua anima, che diventa magistralmente concreta…

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  36. no…la via di scampo c’è, lo ripeto, ed è la presa di coscienza che anche nella nostra nullità è presente un’anima, animula vagula, blandula…qualcosa di tremante come una foglia, fragile, ma piena di vita, qualcosa che può essere sospinta in molte direzioni, che può arrivare tra dita che sanno donare una carezza.

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  37. in effetti a me trasmette più l’idea di chi si è affacciato sul nulla, sia colui che sta dietro la trincea che colui che sta sul bordo della pozzanghera. Si affacciano uno all’esteno e l’altro dentro se stesso:se guardo in me non trovo via di scampo, se guardo fuori la bellezza mi conquista e mi conforta. Carlotta

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  38. questo vale per la prima lirica, dove appare forte l’orizzonte, per cui la dimensione dell’esistente si smarrisce e sorge la dimensione di un altrove confortante. La cecità della seconda lirica è un guardare in se stessi e il non vedere che il nulla, il fae i conti con la propria inesistenza e nullità…è un altrove sgomentante, non confortante, anche se alla fine si accarezza pur sempre l’anima ed è come se si provasse pietà e tenerezza per se stessi.

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  39. anche se – va precisato – questo gelo di cui parla Renato è quello dell’angoscia che sopravviene al sentire quella natura in cui ci si trova fraternamente immersi, farsi ad un tratto estranea. Ecco, in queste liriche avviene il processo inverso:la natura è ancora un’ancora.

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  40. la cecità è per me sinonimo di quella perdita del senso della realtà e dello sgomento che deriva dal sentirsi del tutto sperduto in un limbo di inappartenenza. In questo i versi el post richiamano moltissimo la poesia novecentesca, nella quale spesso ci si imbatte in un gelo improvviso che cala sul cuore del poeta

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  41. in entranbe le liriche, anche nella seconda che è più incentrata sull’interiorità che non sull’esterno, oltre il senso di solitudine (più o meno ricercata o subita) c’è un approdo alla natura. Essa viene intesa come un rimedio contro l’angoscia del vivere, un’angoscia presente nello stesso titolo:trincea. Da questo punto di vista la natura, che sia fiore o grilli o foglia poco importa:ciò che conta è che sia una speranza, che rappresenti una speranza di vita e di ripresa…è proprio questo metaforicamente il significato che entrambi i poeti attribuiscono – per me – alla natura.

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  42. al contrario, nella seconda lirica, il poeta prende coscienza della propria inesistenza, del buio interiore al quale corrisponde un vuoto spaziale

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  43. Diciamo che nella prima lirica, attraverso la vista dell’orizzonte e la VOLUNTAS di scavarsi una solitudine dove ritirarsi in trincea c’è la presa di coscienza della esistenza del poeta, egli prende coscienza del suo spazio, lo spazio entro il quale vive e lo ama e lo apprezza.

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  44. e non c’è forse altrettanta disperazione nel guardare la natura da soli? Forse non è una scelta…forse vci si trova costretti e si ha la forza di sollevarsi grazie al dono della vista:il poeta vede ciò che lo circonda, trae godimento e forse appagamento dalla Bellezza che lo circonda…ma non per questo parte da una situazione meno disperata.

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  45. è per me questo un post fatto di parole -immagini:è un universo che si intuisce, non si vede, si immagina solo, si va definendo nella memoria di ogni singolo lettore…ed è questo il miracolo che la vera poesia sa creare! Furio

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  46. Nella prima lirica vedo una persona che ormai ha imparato a non illudersi piú, che ha scelto di guardare l’orizzonte da solo cosí che solo la natura possa sorprenderlo in tutta la sua voglia di vivere, nella seconda vedo pura disperazione, disperazione di quei momenti , che fanno parte della vita di ognuno, dove la solitudine é incomprensione, ci si é illusi, un’altra volta, il pianto é tale da non poter distinguere la pozzanghera dal proprio riflesso cosí che neppure ci sia dato di confortarci da soli. Bellissimi versi che possono far parte di una stessa persona in diversi momenti della vita. Alberta

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  47. a tastoni….l’orizzonte è qualcosa che ci si scava poco per volta, a tastoni. L’orizzonte ci salva dalla solitudine, ci porta a immaginare ciò che di buono va oltre la trincea, ciò che supera il bordo della pozzanghera…l’anima è in grado di volare…la follia, quella di cui parla la Merini, è la cecità che avvolge l’anima, ma è anche la capacità di essere confortati dai grilli, di allungare la mano ad accarezzare la nostra anima. Rossana

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  48. talvolta il nostro piccolo mondo, la nostra coscienza è così sporca, così meschino ciò che ci circonda, così meschina anche l’indifferenza stessa che ci circonda che possiamo solo augurare a noi stessi di esser ciechi…per evitare di morire dalla sofferenza….ma per fortuna spunta un fiore e un grillo tardivo si ferma sul bordo della nostra pozza, della nostra trincea…
    Davvero bellissimi versi, colmi di umanità.
    Voi due sentite la vita con la sensibilità di un bambino che soffre. I bambini hanno grandi capacità di recupero…e nelle pozzanghere sguazzano spesso felici!
    salvatore

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  49. io nella prima lirica trovo tanta speranza, quei fiori, quei grilli sono lo stesso orizzonte!
    Della seconda lirica mi ha colpito l’immagine del cieco che guarda…quante volte anche io guardo come se fossi cieco ciò che mi circonda! Riccardo

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  50. tutte quelle foglioline che la corrente sospinge verso la trincea di pietre….mi ricorda le anime dei dannati…Dante docet, sempre! E come quelle anime, ognuna è sola nella sua solitudine, ognuna va, sola, alla deriva, alla bolgia che le è destinata….versi molto veri, molto sentiti, molto sofferti soprattutto! L’anima dannata non trova alcuna consolazione. Il peccato è quanto di più discriminatorio ci possa essere…allontana l’uomo soprattutto da se stesso.
    Tornerò con i ragazzi su questo splendido post….abbiate pazienza, però…purtroppo non sarà cosa fattibile nelle prossime ore! A presto. Enrica F.

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  51. In quella foglia vedo anche un richiamo a Omero, a Dante, che avevano scelto questa immagine proprio come simbolo della fragilità umana. Qui c’è una aemulatio cum variatio, non più simbolo di fragilità, ma di solitudine….nella fotografia sono tante quelle foglie, si tengono strette sul bordo della trincea…si confortano….bella l’immagine abelardiana dei grilli!!!
    I miei più sentiti complimenti ragazzi! Nicola P.

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  52. l’anima come una foglia da accarezzare…il poeta l’accarezza da solo…non c’è nessuno, non vede nessuno accanto a sè che tende alla sua anima una carezza….c’è una sublimità della sofferenza in questi ultimi versi che squassa il panorama lirico del nostro Novecento!

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  53. la vita che uccide la morte…la Pasqua! Si risorge, ci si rialza dalla trincea, dalla pozzanghera…si deve risalire la china. Sempre! Quell’anima ha in sè la capacità di fornire all’uomo la forza di rialzarsi, di uscire daslla sua infeconda solitudine ed andare incontro al prossimo. Quell’anima è simbolo della spiritualità che è insita nell’uomo, una spiritualità che è spesso riflesso del nostro mondo…che non è meschino. La meschinità è quando l’uomo non riconosce la spiritualità che porta in sè, quando la vede, la sente, la percepisce egli è sulla strada della salvezza.

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  54. il poeta della seconda lirica non ha conforto:nessun fiore, nessun grillo sul bordo della pozzanghera…solo un piccolo mondo meschino che altro non è che il suo riflesso….taglia il cuore quel dolore che emerge con prepotenza e che con estrema delicatezza si ripiega tutto sull’immagine fragile e tremula di un’anima, una foglia in balia della solitudine!
    La foto che avete scelto mi pare che abbia la facoltà di racchiudere assai bene il senso di entrambe le liriche! Bravissimi!

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  55. ci stupite con qualcosa che è sempre MEGLIO di ciò che ci avete donato in precedenza…devo riconoscere il livello poeticamente alto degli ultimi post, proprio per quei richiami letterari a cui molti di noi hanno già accennato. In effetti, post del genere necessitano di un momento di pausa per poter essere “digeriti”, ma non perchè sono pesanti, tutt’altro, per l’intrinseco valore letterario che i versi portano con sè. Ad esempio a me viene in mente soprattutto Ungaretti, non solo per via della tematica della trincea e per la solitudine che dai versi ungarettiani spesso emerge in un contesto bellico, ma anche per quella ripresa della parola FOGLIA che accanto a quel TREMANTE mi ricorda la lirica FRATELLI.
    E quando si hanno fratelli è difficile sentirsi in solitudine, oppure no…la solitudine è qualcosa che si scava nel proprio io, che ti logora….sento molto il male di vivere soprattutto nella seconda lirica, mentre la prima è più ottimistica a parer mio, più aperta alla speranza di un orizzonte!
    Abbiamo bisogno di un orizzonte da guardare…dobbiamo essere noi un orizzonte per chi amiamo, affinchè la solitudine non possa insinuarsi nell’anima delle persone che abbiamo più care.

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  56. io invece in quella solitudine livida come la pioggia ci leggevo tanto di D’Annunzio…è bello notare che l’eco del passato ci colpisce sotto diversi punti di vista, richiamando in noi diverse lezioni dei Grandi!
    Torno anche io con calma, perchè su uno spunto così esistenziale e profondo è necessario riflettere a lungo prima di lasciare un commento che sia degno della levatura dei versi. Complimenti vivissimi!

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  57. credo che queste liriche siano tra le migliori che abbiate pubblicato, la seconda in particolar modo è espressione di una lacerazione che da leopardi mi riporta la mente sino a Sbarbaro, che è un poeta che non conosce quasi nessuno…ed è un peccato!
    Trincea come siepe, è vero, come è più idilliaca la prima lirica, in essa la natura ha decisamente più spazio ed è uno spazio – come avete osservato – benefico, salvifico…

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  58. è la natura ad assumere un ruolo salvifico dell’anima, la natura benevola che salva l’anima dal buio della solitudine, che è a parer mio una solitudine, una cecità interiore, spirituale…troppo bello questo post per commentarlo di fretta. Torno più tardi con maggior calma…il lavoro chiama!

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  59. la cecità è terribile, va a braccetto con la solitudine ed allora forse la realtà è fatta solo di ombre o di fantasmi, di ombre che spaventano…quando si è così soli non si riesce neppure a fingere l’infinito:il nostro piccolo mondo diventa insopportabilmente opprimente e solo fiori e grilli possono salvarci dalla morte dell’anima. Alice

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  60. e i grilli confortano il fango, il riflesso dà alla pozzanghera una dimensione di speranza…non tutto va buttato via, anche la solitudine può essere utile talvolta! Carlotta

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  61. vedo una pozzanghera trincerata nella foto…con tutte quelle foglioline che sono tremule come l’anima, che sono piene di vita come fiori:ecco per me un esempio di come un’immagine possa riassumere il contenuto di un testo, o almeno trasmettere a suo modo l’emozione che un testo intende donare!
    Vedo forte un richiamo a Leopardi, siepe come trincea, il cieco che vede e non vede, immagina e non vede…bellissimi versi!

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  62. due diversi modi di intendere la solitudine…essa può essere forse ricercata e in parte anche amata, spesso invece subita ed odiata.
    Oggi il materiale è altissimo per dar vita ad un’ottima analisi testuale. ritorno più tardi. A presto.

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