L’eremita (Seconda parte) (Scena unica – parte sessantacinquesima)


 

L’eremita
Come si fa a superare col pensiero il senso della mediocrità? Io non ci riesco… non so rassegnarmi al fatto di finire giorno per giorno qualcosa che non mi pare nemmeno di avere incominciato…di essere sempre inadeguato ed incapace a svolgere anche il più semplice compito…di non potermi prefigurare il più banale dei traguardi…perché devo vivere e morire con un muro intorno di calce viva? E come è possibile che ogni piccola e temporanea variazione mi faccia dimenticare di essere ciò che sono? Quasi che la mia vita fosse solo una finta tragedia… Quando acquisterò un minimo di dignità almeno nel dolore? Quando toccherò la disperazione da cui si ricomincia veramente? Quando riuscirò ad essere sincero almeno con me stesso e a guardare la mia miseria morale con un terrore da perdere la coscienza o l’incoscienza?
Tante volte penso che Caino non abbia mai avuto un fratello, ma che rispondendo al Signore in realtà egli per primo abbia negato di essere il guardiano della propria anima… quante volte anche io mi comporto come se l’anima non mi appartenesse… come se si potesse chiudere gli occhi in un gioco di prestigio e rimanere vivi e vuoti… senza responsabilità… per vivere poi che cosa non so dire… forse un alito di vento…un maledettissimo istante che ci fa sentire vivi e pulsanti… eppure ha importanza anche se solo per noi …morire equivale tristemente a perdere quel momento… quelle promesse che ci siamo fatti da soli…quanto è patetica la granitica certezza dell’attesa!

Abelardo
Tu parli del filo della vita, ma Dio ne tiene un capo. Quindi ogni cosa è prevista. I mattoncini della Casa del Padre tuttavia non hanno un colore che l’occhio umano possa vedere. Di conseguenza è inutile pretendere di  progettarne anche la forma e la dimensione. Ma ogni mattoncino è necessario e non può che stare lì dove non appare. Anche il pensiero è fatto di memoria, ma nessuno potrà mai dirci che forma e che grandezza hanno i ricordi; tuttavia una mente senza ricordi non è nemmeno concepibile per noi che possiamo ricordare: la qual cosa, se ci rifletti bene, sembra un paradosso, ma non lo è… la mente è lo specchio del Paradiso… della Memoria del Padre che non ci ha dimenticato mai. Quando noi svolgiamo un qualsiasi compito si illumina quella particella di Dio che il microscopio non potrà mai descrivere, perché è in continua evoluzione e si distingue da Dio che la contiene fino al momento dell’Eternità che è già e che deve ancora venire.
La luce, vedi, non è provocata dai successi o dagli insuccessi umani, ma dalla riconoscibilità del nostro cuore. Dio ci ama perché siamo prima ancora di amarci per ciò che siamo. Così amava Adamo ed il Suo modo d’amare non è certo cambiato dal momento della caduta. L’esistenza è in buona sostanza una prova perché l’uomo sperimenti sino in fondo che significa dar fiducia al Serpente. Dio vuole che semplicemente comprendiamo la vera essenza del male e contemporaneamente che impariamo ad avere fiducia nel bene: è solo il dubbio ad aver tradito Adamo. Satana non sa che ci aiuta a capire quale è la parte di Dio e continua a tessere le sue trame orrende, non può far altro…e a lungo andare l’uomo si stanca delle sue menzogne, non ha più voglia di recitare, di avere riserve mentali.
Il tuo sfogo fa bene al mio cuore perché intuisco che la misura è quasi colma: tuttavia senza fede non ci può essere speranza; se tu non credi che la calce viva possa essere distrutta Satana possiede ancora il tuo cuore; il male è dubbio, non mi stancherò mai di ripeterlo; il bene è fiducia, anche in ciò che appare improbabile o addirittura impossibile. Non seppellirti prima del tempo e senza che Dio ti abbia chiamato a Sé, appoggia le tue mani al muro e chiedi di diventare pietra della tua casa, così da poter vedere fuori e dentro di te. Così avrai una certezza che non è attesa di sostenere un progetto, ma è il progetto stesso.

Autore: tieniinmanolaluce

Sono attualmente avvocato, mediatore civile e commerciale, formatore di mediatori e mediatore familiare socio Aimef. Per undici anni sono stato docente di letteratura italiana e storia antica al liceo classico. Sono accademico dell'Accademia Internazionale di Arte Moderna. Scrivo da sempre senza privilegiare un genere in particolare. Ho pubblicato diversi libri anche in materie tecniche. Tra quelli letterari ricordo da ultimo: Un giardino perfetto, Poesie 2012-2016, Carta e Penna Editore, novembre 2016. La condizione degli Ebrei dai Cesari ai Savoia, Carta e Penna Editore, aprile 2017 La confessione, Dramma in quattro atti, Carta e Penna Editore, aprile 2017 Ho iniziato questo blog nel febbraio del 2006 e mi ha dato grandi soddisfazioni. Spero continuino anche su questa piattaforma. Tutto ciò dipende fondamentalmente dalla interazione con tutti voi, cari lettori.

36 pensieri riguardo “L’eremita (Seconda parte) (Scena unica – parte sessantacinquesima)”

  1. mettersi in contatto con Lui…in questi mesi ne abbiamo parlato tante volte, tante volte – anche ieri ad esempio – mi avete spiegato come la preghiera possa essere strumento per “toccare” per avere un contatto con Dio e come tale contatto aviene nel quotidiano, attraverso i volti di chi soffre e la mano che si tende verso chi chiede aiuto. Carlotta

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  2. senza fede non ci può essere speranza e la fede va alimentata, tutti i giorni, come la rosa del piccolo principe. Questo blog è di sicuro per me un luogo dove si alimenta la fede, dove insieme si cerca di creare spreranza…la speranza è edera che corre sul muro della fede, si attanaglia alla fede e da essa non può essere recisa. Che cosa spera l’eremita? cosa sperare per lui? Che incontri il volto del Padre, che Lo riconosca in quello di Abelardo, dal momento che non ha altri interlocutori, che davvero quel germe di fede che langue nel suo cuore possa esere alimentato e possa darci un segno del suo ritrovato benessere…lo desideriamo tutti per lui.

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  3. Certamente:anche noi siamo in cammino nel nostro mare di Galilea, che oggi è fortemente spersonalizzato, tecnologizzato, velove, virtuale, in cui tutto sembra possibile. Il Signore passa nelle nostra vita mescolato alle tante persone, ai tanti avvenimenti e preoccupazioni di ogni giorno…e noi corriamo il rischio di perderlo, come accade all’eremita, travolti dalle troppe cose che ingombrano vita e cuore. Questa pagina è una provocazione per chiederci se cerchiamo Cristo…è tempo di cercarlo, quel tempo di cui parlava Giulia è il tempo della ricerca, per vedere se c’è in noi oppure se è solo una debole eco. E’ il tempo di metterci in discussione e vedere se siamo capaci di comunicare agli altri il Suo amore, sempre e dovunque, in qualsiasi situazione o condizione. Come passiamo dal cammino alla sequela?

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  4. “Erano circa le quattro del pomeriggio…lungo il mare della Galilea…” Avete ricordato questo passo ambientato nel lago di Tiberiade, dove i futuri discepoli compiono il loro quotidiano cammino di lavoro, di fatica, di relazioni, di riposo. Questo mare è l’immagine dell’ambiente in cui vive ed opera l’uomo di ogni tempo, del suo cammino quotidiano di vita e di lavoro. Anche l’eremita è uno di questi uomini. E sono felice che proprio uno di voi, ragazzi, abbia colto nel segno! All’improvviso passa Gesù, e a questo cammino che ritma la vita dei pescatori Gesù non esita a proporre un cambiamento radicale che nasce dalla Sua chiamata.
    Ed il cammino diventa così sequela. “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini! L’eremita ci pesca tutte le volte che ci incontra…

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  5. bellissimo…la sua sofferenza avrebbe finalmente uno sbocco, un fondo…ci sarebbe finalmente un senso bello a tutta questa ricerca che finalmente raggiunge la meta! Alice

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  6. ed ancora Gesù dice “non chiedere, fidati, muoviti, fa diventare questa ricerca un’esperienza, investi…” La fede non è £fare”, non è “sapere”, è “conoscere”. Ed essi andarono, videro e restarono con Lui.
    E l’eremita uscì da se stesso, andò, vide e restò con Lui…nella preghiera.
    Sarebbe un bellissimo epilogo, perchè no?

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  7. io credo che Giulia e Abelardo dicano la stessa cosa:non seppellirti prima del tempo e prima che Dio ti abbia chiamato a sè..non fare finte tragedie potrebbe essere inteso anche in questo modo! Che bello, quante sfumature si possono cogliere in un’espressione della nostra lingua così come dalla stessa fotografia…a me ad esempio dà l’idea delle mani che vogliono diventare pietra della casa, per sentirsi parte di un unico e grande progetto d’amore

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  8. mi viene in mente quel passo del vangelo in cui si dice “E subito,laciate le reti,lo seguirono”. Penso ai tempi biblici dell’eremita e a quella risposta con prontezza dei discepoli:subito! Ognuno ha i suoi tempi, è vero…rispettiamo pure quelli dell’eremita, però è anche vero che chi ha fede compie “subito” e ogni giorno la Sua volontà.
    E questo me l’avete insegnato ieri in quel bellissimo post sulla sofferenza.
    Fabio

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  9. molto molto interessante questo vostro confronto. Forse più del pianto è la preghiera ad essere liberatoria…un giorno un bimbo mi ha chiesto:”ma tu che sei un prete cosa dici quando preghi?” “Dico solo due parole – gli risposi – Padre nostro. Poi non riesco più ad andare avanti:lì c’è tutto.”

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  10. la luce non è provocata da successi o insuccessi umani…questa è un’ancora di salvezza molto pesante. La luce di cui abbiamo bisogno viene direttamente dal Padre e non da quanto siamo stimati dal genere umano, non dai riconoscimenti per i nostri meriti, non dal nostro conto in banca. La luce che Abelardo dice di tener bene stretta in mano è quel filo di cui Dio tiene il capo…ogni cosa è prevista ed ogni cosa è chiara agli occhi di Dio. E’ una luce che viene dal di dentro, quando osi mettere a nudo con te stesso tutte le tue meschinità…e da lì che si parte, dal dolore profondo di esserti specchiato nella tua miseria e nudo affidarti nelle braccia di Dio Padre

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  11. che ci possa davvero dare un segno di speranza l’eremita…ma neanche piangendo…solo con la voglia di reagire, solo incantandosi per un attimo sul bello che lo circonda, solo prendendo coscienza di una cosa bella che riconosce nel suo cuore come dono di Dio. E’ vero! Ne abbiamo bisogno. Federico e Carlotta

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  12. che sia sereno con se stesso allora e pianga lacrime vere…a che serve la finzione? ed il fatto di prendere coscienza di fingere se poi non si depone la maschera è forse un atteggiamento positivo? Dio lo ama solo per il fatto che ha desiderato la sua vita, vita che è un dono…ecco, io vorrei che i ragazzi amassero questa vita come un dono e non la vivessero nella finzione di una pièce teatrale. Vorrei che capissero che il dolore vero si prova quando senti dentro una morsa che è paura di perdere tutto, paura di non aver più tempo per essere quello per cui sei stato creato:un uomo, con un cuore, una testa, una volontà, una responsabilità. E’ bella la vita, ragazzi, è bellissima nella gioia e nel dolore, è bellissima nella sua autenticità.

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  13. se non ha ancora conosciuto la sofferenza vera allora di che si lamenta? Se recita finte tragedie e sa di fingere allora perchè continuare? Perchè fare del male a se stesso e a chi lo circonda? Tante belle parole ma in lui non c’è la volontà di cambiare, non vuole guardare in faccia la sua miseria…Abelardo lo prende per mano da sempre ma lui si ostina…e quest’ostinazione è terribile…è a parer mio infeconda.
    La vive eccome la vera tragedia se non si rende conto della gravità della sua situazione spirituale, se non prega….parla da anni con Abelardo…ma quando inizierà a recitare una preghiera come Dio comanda? Perdonatemi, e mi perdoni Alberta se sono così duro, ma credo che anche i ragazzi abbiano bisogno di un segnale di rinascita da parte dell’eremita, una parola di luce, un segno di speranza, una parola che possa farci capire che, sì, c’è qualcosa dentro di lui che ha un valore! Aspettiamo da tanto tutti questo momento…non vogliamo che tocchi il fondo perchè chi parla così il fondo l’ha toccato da tempo…vogliamo che il Signore ci dia un segno che qualche luce nel cuore dell’eremita comincia a brillare. Perdonate ancora, ma sento il bisogno morale di dare una scrollata al nostro amato protagonista…non voglio più giustificare finte tragedie.

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  14. deve pure avere un compito, l’eremita, un qualsiasi compito che lo aiuti a dare un senso alla sua vita…dovrà pur riconoscere il suo cuore in qualche modo…ma non ama nessuno? Genitori, una donna, figli…nessuno? Elisabetta

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  15. Personalmente sento la finta tragedia dell’eremita proprio come un’ulteriore passo in avanti, non é un insulto alla sofferenza ma anzi, é il rendersi conto che la sofferenza é un’altra, che la sua inquietudine é un limbo dal quale vuole uscire e chiede proprio aiuto alla Sofferenza vera, ha bisogno di provarla per toccare quel fondo dal quale non si puó che rinascere. Non é un pensiero masochistico, non é cosí semplice amarsi per quello che si é quando ci si sente in un limbo. Cosí come quando si soffre ci si chiede perché a me, perché proprio a me…perché a mio figlio!…talvolta ci si puó chiedere perché non a me, perché vivo in una mediocre tranquillitá incapace di urlare mentre intorno a me la vita urla di gioia e dolore! Io sono d’accordo con Abelardo oggi nel sentire quasi un pianto che sembra venir fuori tra le righe dell’eremita e il consiglio che gli vorrei dare é proprio quello di piangere, piangere a dirotto e vedere in quella fotografia ció che ho visto io (il fatto che sia stata casuale per me ha ancora piú significato), ti abbraccio eremita e ti dico con il cuore in mano che ti capisco, che Dio ti capisce, ti conosce e sono sicura che aiuterá a raggiungere quel fondo di cui hai bisogno quando sarai pronto a riconoscerlo. Alberta

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  16. mi piacerebbe anche dire all’eremita che siamo tutti chiamati a dare la vita e che questo significa anche aiutare gli altri a crescere fino alla loro pienezza…dove sono gli altri nella sua vita? parla sempre di se stesso…chi è il suo prossimo? Patrizia

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  17. nulla va perduto della nostra vita, del nostro cuore che è riconoscibile sempre agli occhi di un Padre. Nessun frammento di bellezza, di bontà va perso, nessun sacrificio, per quanto nascosto e ignorato, nessuna lacrima nè preghiera, nella consapevolezza che siamo stati salvati. L’eremita deve imparare ad accogliere questa certezza, altrimenti non riuscirà a camminare, ma sarà immobile su posizioni che non lo porteranno mai a crescere, non lo renderanno mai fecondo…ed ogni vita è feconda, solo per il fatto che è tata desiderata da Dio

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  18. la granitica certezza dell’attesa non è patetica. La morte non è da considerare come la fine di tutto, ma come il coronamento della propria esistenza, come “dono” da offrire agli altri, come un momento essenziale della vita, quello del grande incontro. E’ insita nel prpgetto stesso d’amore di cui parla Abelardo.

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  19. la dignità nel dolore si acquista quando si accetta il dolore stesso…finchè non lo si ama come progetto che DDio ha su di noi, non si può essere dignitosi nel soffrire

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  20. Io credo che bisogna chiarire un concetto: Dio fa in me grandi cose! E questo è fondamentale se vogliamo comprendere che tutto ciò che noi facciamo è stato reso “grande” da Dio. Se poi non ci sembra di fare abbastanza, allora dobbiamo chiederci:”Ma abbastanza per chi? Per me o per Dio? Che cosa vuole Dio da me? A che cosa mi chiama?

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  21. a quale ordine appartengono quelle suore di cui parla Giulia? Ci mandiamo per un mesetto l’eremita!! Scherzo, ma è vero: nessuna vita è sbagliata, neppure quella dell’eremita! E’ una grande lezione per noi giovani che spesso cerchiamo lo sballo perchè nulla più ci appaga. Alice

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  22. E’ importante per noi tutti comprendere che siamo chiamati ad una accettazione attiva e non passiva del Suo volere. La risposta ad ogni vocazione è di per sè sempre attiva:è adeguamento pieno e responsabile di ciò che Dio vuole da me (pieno e responsabile!), in questo momento, ed io devo essere consapevole che la Sua volontà su di me è sempre una volontà orientata al mio bene. Facile come sempre a dirsi, ben difficile da attuare, soprattutto se, come si diceva nei giorni scorsi, la Sua volontà implica una dura sofferenza.

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  23. Il che non è semplice per nessuno, si va per tentativi, spesso si rimane delusi, ma non bisogna rassegnarsi al niente…c’è un senso anche nel niente. Carlotta

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  24. ecco allora la necessità di capire in che cosa consista la sua chiamata…ma questo dobbiamo capirlo tutti, ognuno di noi vive proprio con questa finalità

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  25. che armonia tra testo ed immagine! Mi pare che l’analisi di Giulia sia molto precisa e puntuale: l’eremita deve sentire la sua chiamata alla vita! E’ questo che Abelardo tenta di far capire a quell’uomo:Dio lo chiama a vivere, così come l’ha strappato al suicidio, ed il suo Dio è il Dio della vita e non il Dio della morte.

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  26. eccezionale commento quello di Giulia, ricchissimo di spunti di meditazione ed ho apprezzato assai la citazione di san Paolo, che mi pare calzi davvero a pennello con le parole dell’eremita….quest’uomo che non sa rassegnarsi, ma il vero nodo non è la rassegnazione, è l’accettazione! Accettare non è rassegnarsi, c’è molta differenza tra i due atteggiamenti ed in mezzo, come ben dice Aelardo, ci passa la fede!

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  27. Carlo mi ha chiesto di condividere con voi la rabbia che ho provato dinanzi alle parole dell’eremita. Non dinanzi a quelle di Abelardo, ancora una volta pazienti e colme di speranza, ma dinanzi alla granitica posizione dell’eremita di rifiutare la vita…c’è come una noluntas nell’andare incontro alla speranza e ho scelto quell’immagine per rappresentare una fede, una speranza rossa, rossa perchè viene dal cuore, che corre gioiosa sui muri della frustrazione, una fede che corre con passo certo e sereno tra una calce che brucia la vita. Non accetto! Non accetto che si possa vivere solo una finta tragedia…le tragedia purtroppo si vivono per davvero e non si recitano…se si recitano si fa del male a quanti accanto noi si prodigano per il nostro bene..e questo è inaccettabile. Questo è proprio di chi è davvero senza madre, senza padre, senza fratello…senza anima! Perciò ho riflettuto tra la rabbia e l’impotenza di poter dare un aiuto a quest’anima priva di anima, come se le fosse preclusa quella particella di Dio che le appartiene in realtà fin dall’eternità…ma non è così. So bene che non può essere così. Contrariamente a quanto afferma il filosofo, non intuisco che per l’eremita la misura è quasi colma, bensì credo che per l’eremita sia tempo di anamnesi:ridimensionamento del passato e accettazione di ciò che è stato, anche dei fatti negativi o dolorosi (giacchè dei positivi e gioiosi egli mai fa menzione…eppure ci saranno, no?);tempo di rivalutazione di tutto ciò che ha vissuto, nel senso di attribuire al passato un valore solo per il fatto che gli ha insegnato qualcosa rendendolo maturo:”materiale da costruzione” che fa parte delle fondamenta della sua vita;tempo di assunzione della sua storia: “mettere in parole” ciò che ha vissuto, trasformare le sue ferite in cicatrici in modo da poter convivere con esse. Esiste in Francia un ordine religioso femminile che basa tutta la sua spiritualità sull’accoglienza senza giudizio:le suore si fanno prossime alle detenute, alle prostitute, a quante vivono ai margini della società, partendo dalla convinzione che nessuna vita è “sbagliata” e che è proprio sugli sbagli che si può costruire.

    Naturalmente il ricordo è anche, o dovrebbe essere, revisione di vita che diventa richiesta, accettazione e dono di perdono nei confronti di noi stessi e degli altri. E’ per l’eremita il momento della verità: tutto ciò che non è essenziale deve passare in secondo piano, cadono le illusioni e i desideri di grandezza e si fa ordine, per legare tutta la vita con un filo logico di cui Dio tiene il capo. E’ tempo di essere più che del fare, tempo in cui si ha finalmente modo di cogliere il valore profondo della vita in sè. Accettando l’incompiutezza di ciò che egli vorrebbe e non riesce a fare, l’eremita imparerebbe ad accettare l’incompiuto di se stesso, imparerebbe ad accettarsi per ciò che è e ad amarsi anche con i suoi limiti. In tal modo l’esperienza di diminuizione che continuamente facciamo di noi può diventare scuola di povertà evangelica e tempo in cui Dio può far risplendere la Sua forza.

    Questo vorrei dire all’eremita…ed aggiungerei : “Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perchè dimori in me la potenza di Cristo (…) quando sono debole, è allora che sono forte (2 Cor 12,9).

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  28. bellissima definizione di natura! E di fotografo! Il pensiero è fatto di memoria…cosa ha da salvare l’eremita nella sua memoria? Ci sarà qualcosa di bello che dona un profumo alla sua anima…ci sarà un “sema” un segno di Dio impresso in quell’anima che egli non vuol custodire…

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  29. la natura ha già intrinseco in sè il significato del tutto…la natura è qualcosa di “semantico” e il fotografo è un esegeta! Complimenti vivissimi!

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  30. Mi soffermo solo, per ora, sull’immagine, perché secondo me é la piú bella immagine che io abbia mai visto…vedo il torso del Cristo in Croce che si delinea attraverso le imperfezioni del muro e quel ramo d’edera sembra proprio essere quell’ultimo respiro di vita che Gli scorre dentro…non credo che mai pittore al mondo sia riuscito a dire cosí tanto in cosí poco… non si puó davvero superare l’essenzialitá della natura.Alberta

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  31. Mi piace il fatto che ognuno è guardiano della propria anima, un guardiano attento e vigile, generoso delle cose belle che la sua anima possiede, con gli occhi ben aperti per farne dono a quanti ne richiedano e con occhi altrettanto aperti ad arricchire la sua stessa anima! Costanza

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  32. il senso di mediocrità non si supera con il pensiero, ma con il cuore, la fede e la speranza…se l’eremita non impara a coltivare queste cose nella sua anima non potrà mai amarsi, mai accettare la sua condizione di uomo, ma sarà dannato a vivere in un eterno tempo di frustrazione con il rischio di arrivare tardi a comprendere il vero senso delle cose e delle parole di Abelardo

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  33. quell’edera che corre sul muro è metaforicamente il filo della vita…Dio ne regge il capo e l’immagine bellissima non è in grado di mostrarcelo, come noi non siamo in grado di vederlo. Vorrei dire all’eremita di scrollarsi, di sentire che sta correndo sul mura del tempo e può lasciare foglie rosse ed avvinghiarsi alle cose belle della vita:ce ne sono tante!

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