L’eremita (Seconda parte) (Scena unica – cinquantasettesima parte)


riflesso


L’eremita
Mi risulta difficile parlare con Dio…così come avere rapporti con gli esseri umani…specie quando hanno bisogno di me e sono in difficoltà…non so piangere con loro, né sorridere…non piango mai nemmeno con me stesso e mi stupisco di tanta aridità d’animo…da un certo punto di vista mi sento forte, molto più forte degli altri…eppure darei qualsiasi cosa, se l’avessi, perdona la battuta… per un momento di sincero disarmo… di abbandono disperato alla fatalità del vivere con la certezza di essere compreso dai più…vorrei non essere più così solo in cima di una torre invisibile ed inutile.

Abelardo
Dio non ha dato a tutti la capacità di comunicare con le parole, ma ai più soltanto quella di creare un mondo interiore: sono tanti i pezzi di legno che non bruciano nel camino…la loro essenza sta nel resistere al fuoco… anche se all’apparenza ciò può sembrare inutile…quel che conta in certi casi è soltanto, si fa per dire, l’esistenza… anche se il significato sfugge… e forse la sofferenza di non poter colmare le nostre lacune fa il resto…come per magia.

L’eremita
Ma non ci si dovrebbe sforzare di andare incontro al prossimo?

Abelardo
L’amore non è fatto di parole soltanto, spesso il silenzio può avere una potenza dirompente…e così l’ascolto, per quanto ci possa sembrare vuoto.
Spesso non conosciamo nemmeno il vero destinatario delle attenzioni di Dio…e scopriamo con una insperata speranza che in realtà voleva parlare al nostro cuore…e che quel silenzio di cui ci facciamo una colpa era la condizione più favorevole.
Un’esperienza del genere può essere il lutto. Quando ci rechiamo a casa di qualche amico che magari ha perso un genitore crediamo spesso di portare consolazione…poi magari le parole non vengono e ci limitiamo ad ascoltare i segni di una disperazione sconfinata…la sensazione può essere quella di un grave disagio…possiamo arrivare a pensare di essere inutili…ma chi è utile davanti alla morte? Nessuno. Tuttavia è questa una conclusione che per quanto semplice ed immediata non alimenta di certo la speranza… Dovremmo invece rovesciare la domanda e chiederci a chi la morte porta utilità…se Dio permette che soffriamo per la morte altrui, ci deve essere un senso profondo…la sofferenza non è mai priva di un significato arricchente.
Chi è colpito negli affetti dalla morte diventa un catalizzatore formidabile dei messaggi di Dio… un po’ come i messaggeri divini che incontriamo nei tempi antichi e che sotto mentite spoglie si rivolgono agli eroi ed indicano la strada per le scelte più importanti…poche sillabe ci possono cambiare la vita… ci possono portare a fare un bilancio non solo sulla nostra preparazione alla morte… tutti noi siamo preparati quando il Signore decide di prenderci con Sé e allo stesso tempo nessuno è pronto ad affrontare un’esperienza così totalizzante esclusivamente con i propri mezzi… il bilancio vero e proprio avviene invece sulla nostra vita spirituale… se chi soffre ti confessa che inizia a dubitare dell’esistenza di Dio e che non riesce più a frequentare la Chiesa con l’abituale assiduità… il messaggio è chiaro… Dio sta parlando alla tua coscienza e ti fa dire da un altro ciò che sei tu… perché tu non hai alcun problema eppure dubiti…non ti manca nulla di importante eppure non ringrazi Dio.
In definitiva il morto a cui stai recitando il rosario sei tu. Guardati nella stanza e trova la vita…guarda i volti rigati dal pianto e pensa alle loro promesse, ai rimorsi che troveranno con grande fatica una soluzione; tu invece hai ancora il tempo di riportare l’armonia dove c’è dissonanza… colpevole dissonanza…sei ancora in tempo!

Autore: tieniinmanolaluce

Sono attualmente avvocato, mediatore civile e commerciale, formatore di mediatori e mediatore familiare socio Aimef. Per undici anni sono stato docente di letteratura italiana e storia antica al liceo classico. Sono accademico dell'Accademia Internazionale di Arte Moderna. Scrivo da sempre senza privilegiare un genere in particolare. Ho pubblicato diversi libri anche in materie tecniche. Tra quelli letterari ricordo da ultimo: Un giardino perfetto, Poesie 2012-2016, Carta e Penna Editore, novembre 2016. La condizione degli Ebrei dai Cesari ai Savoia, Carta e Penna Editore, aprile 2017 La confessione, Dramma in quattro atti, Carta e Penna Editore, aprile 2017 Ho iniziato questo blog nel febbraio del 2006 e mi ha dato grandi soddisfazioni. Spero continuino anche su questa piattaforma. Tutto ciò dipende fondamentalmente dalla interazione con tutti voi, cari lettori.

36 pensieri riguardo “L’eremita (Seconda parte) (Scena unica – cinquantasettesima parte)”

  1. Sarebbe interessante vedere come il funerale in se stesso é vissuto in altre religioni e culture, so per esempio che in certe tribú il morto viene convissuto dalla famiglia e nella famiglia per molti giorni, per non parlare di quell’aspetto artistico legato alle maschere affricane di esorcizzazione della morte stessa…lascio a voi la parola che sicuramente ne sapete piú di me, se pensate possa essere interessante. Alberta

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  2. ciò che Alberta ha detto è di interesse, eccome! Abbiamo tutti bisogno dell’apporto di ciascuno per crescere…ognuno è una piccola tessera musiva…il mosaico è composto da tante tessere, tutte colorate, tutte pazientemente affiancate dalla Mano! Io ora vado ai funerali soltanto…e rimpiango i tempi dei matrimoni…cerchiamo solo di non capirlo troppo tardi!

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  3. proprio perchè i malati terminali sanno che hanno poco da vivere fino all’ultimo istante avvertono accanto a loro una presenza che li aiuta, li fa sentire ancora vivi, li rende consapevoli del tempo che a loro rimane e che noi spesso sprechiamo come se ne avessimo a iosa tra le mani. Ma quando hai pochi giorni di vita devi essere consapevole che il tempo che ti rimane DEVE ESSERE PIENAMENTE VISSUTO. Che bello se potessimo avere tutti un po’ di questa consapevolezza…Non perderemmo occasione, ora, in questo istante, di vivere pienamente!

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  4. La morte è da sempre un mistero che portiamo in noi e che cerchiamo di rimuovere in ogni modo come se fosse qualcosa di sporco o di vergognoso. Anni fa ho letto un libro molto toccante di Marie de Hennezel, La morte amica, che è una testimonianza su come coloro che stanno per morire (parlo di malati terminali) hanno molto da insegnare a chi vive. Il messaggio è per me molto simile a ciò che Abelardo sta dicendo all’eremita e ve ne consiglio la lettura.

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  5. E’ da ieri, dalla lettura di Abelardo che sono assorta in un mondo complementare della memoria, cercando di poterne trarre un filo ma sembra tutto molto frastornato. In un altro commento dissi di non aver mai sofferto ed é proprio alla morte a cui alludevo. Il senso della morte é sempre stato con me fino a partire da un’etá in cui sinceramente non so come sia possibile il solo pensiero. E’ strano come faccia parte della nostra vita. Ricordo il primo incontro con essa é stato nell’assistere all’agonia di un gatto. Non avevo piú di cinque anni e ho visto questo gatto ferito appartarsi dietro un cespuglio, in perfetta solitudine e abbandonarsi alla morte. Ricordo di domandarmi se sentisse male ma me ne stai lí, immobile, forse per rispetto della sua ricerca di solitudine, forse perché presa da un qualche cosa che in se aveva un fascino particolare. La vita mi ha posto dinnanzi a determinate situazioni in modo molto delicato, come a volermi preparare piano piano. C’é quella fase della vita in cui, prima ancora di renderci conto del significato della parola stessa, questa si svela attraverso i sogni…ho sognato cosí tante volte il funerale dei miei genitori, persino il mio, a volte durante il sogno riuscivo a fare una scelta quasi conscia di chi mettere nella bara, di chi piangere. C’é l’etá in cui si é invitati ai matrimoni, uno dietro l’altro, come per prepararti a quello che sará il tuo…poi vengono i Battesimi e poi, ogni volta che chiami i tuoi genitori ti raccontano di essere stati a questo o quel funerale. Tutto viene capito nel momento in cui siamo noi sull’altare, siamo noi a Battezzare i nostri figli,e suppongo, siamo noi a perdere le persone che amiamo. Io sono una persona che riesce a piangere a dirotto guardando un film, ma ogni volta che mi sono trovata in una folla, spesso di persone che neppure si conoscono, mi sono sempre sentita inadeguata, fuori posto e quasi in colpa, in colpa di stupirmi della dignitá e compostezza che certe persone mostrano in un momento del genere, di vedere come ci sia sempre quello che cerca di sdrammatizzare osando una battuta, di quelli che sembrano trovarsi lí per un qualche senso di dovere. Spesso per riuscire a provare qualcosa ho dovuto vedere su quel tavolo cosí freddo e impersonale il corpo di mio padre o di mia madre, diventa cosí un momento assolutamente intimo che credo sia ben diverso dall’essere lí per sostenere quella data persona. Credo di essere in qualche modo portata ad ascoltare perché ho incontrato molte persone che in modo curioso mi hanno raccontato dettagli intimi della loro vita e penso di essere piú o meno stata capace di ascoltare e magari di dare un’opinione o un conforto, ma in un funerale per me esiste solo il silenzio, la sola parola “condoglianze” la trovo priva di significato e personalmente la toglierei dal dizionario. Quello che ho capito leggendo Abelardo oggi é che ogni volta che qualcuno mi ha detto che non crede piú, é vero, erano parole per svegliarmi da un pigro torpore. Stranamente i miei amici mi hanno sempre considerata come una persona religiosa eppure sono stata quasi vent’anni senza andare in Chiesa, perché, sinceramente non lo so, nonostante anni di azione Cattolica, nonostante l’esempio che i miei genitori mi hanno dato e il fatto che non ho mai dubitato dell’esistenza di Dio, ho dovuto aspettare di partorire per capire il pianto e credere nel Battesimo e ho dovuto assistere alla morte del papa per ritornare a messa, per confessarmi abbandonandomi al pianto convulso.
    Scusatemi, non so neppure io perché vi racconto tutto ció, in effetti non ho detto nulla, nulla che possa essere di qualche interesse per il blog, forse avevo solo bisogno di parlare e per questo vi ringrazio perché so che siete tutti li ad ascoltarmi. Grazie Alberta

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  6. credo che accompagnare qualcuno al passo decisivo sia un grande privilegio, che evita rimorsi e sensi di colpa. Perchè poi alla fine il problema è per chi resta, non per chi ha intrapreso il suo viaggio nel mondo ultraterreno. E ci pare di non aver mai fatto abbastanza…e soprattutto caiamo, paradossalmente, i valore di chi non c’è più! E non possiamo più tornare indietro a dire quanto è contato per noi! Luciano

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  7. per me sono state tantissime le lezioni a cui ho preso parte…ve ne sono immensamente grato. Ho imparato molto della vita grazie al vostro testimoniare cosa siete e soprattutto cosa sentite. Federico

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  8. carissima Tiziana, grazie per questa testimonianza straordinaria di vita e di fatica quotidiana. Io sono stato messo alla prova duramente, la persona che più ho amato mi è stata strappata dalle braccia ed il mio tronco è rimasto per sempre monco. So che c’è linfa in esso che proviene dal Cielo e bagna i miei poveri rami, so che non si perde mai del tutto chi abbiamo amato e continuiamo ad amare con maggior intensità e purezza, so che quei rami che son parte dell’unico tronco appartengono a Dio e saranno la mia salvezza in parte, ma certi lutti davvero non si elaborano mai completamente. Non ho mai dubitato dell’amore di dio Padre, ma ho sempre chiesto a Lui il perchè di una sofferenza atroce e priva di senso. La risposta non l’ho trovata. Ho solo imparato a voler bene in silenzio e a dire a chi amo di dimostrare sempre con affetto e sincerità i propri sentimenti perchè oggi ne abbiamo l’occasione, domani chissà! potremmo non esserci oppure potrebbe non esserci più chi è oggetto del nostro amore. Credo che la nostra autenticità, la veridicità del nostro BUON SENTIRE sia specchio di quell’amore che il Signore prova per noi e che Tiziana vede riflesso in Alberto. Vi ammiro molto per il cammino che insieme a Giacomo state percorrendo, per come dimostrate di essere tronco, per come affrontate insieme le difficoltà senza mettere in discussione la presenza di Dio.

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  9. che fatica però. Filippo…che fatica essere testomi nel dolore e nella malattia! E’ stato facile per me dubitare, eppure non mi è mai accaduto…ho sempre pensato di avere Chi potesse sostenermi in queste prove continue. Ma ho bisogno anche del sostegno umano, del sostegno di mio marito innanzitutto e lui ha bisogno del mio…insieme siamo quel tronco di cui si parlava giorni fa. Insieme volgiamo gli occhi alle foglie malate e tentiamo di depurare la nostra linfa per essere nutrimento per Giacomo…è difficile Filippo. E’ durissima certi giorni. Senza l’aiuto di Dio che si fa carne nelle mani di Alberto nei cui occhi Lo vedo riflesso non credo che avrei resistito sinora! Tiziana

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  10. Quando dubiti, fa’ spazio nel tuo cuore e inizia a pregare…lascia da parte il cervello, la testa, la logica umana e affidati alla Sua bontà ed alla Sua misericordia…credo che non esista dolore più grande della perdita di un figlio! Ed anche un aborto può essere vissuto con lo stesso dolore, se si dà alla vita quel valore sacro che essa dà. Ho visto donne in questi frangenti dimostrare una fede umile e generosa, prostrarsi ai piedi di Dio e affidarsi nelle Sue mani. Non c’è una logica alla perdita di un figlio…si preferirebbe morire noi piuttosto che vedersi strappare dalle mani il nostro bambino. Questo è uno dei casi in cui maggiormente l’uomo dubita di Dio…e chiunque potrebbe capire il perchè, ma il fatto è che non c’è nulla da capire…la fede non si può capire. La fede si vive. E la si testimonia. Anche vivendo determinati terribili lutti che faranno di noi strumenti formidabili dell’Amore di Dio. In questi casi sì che siamo catalizzatori dei messaggi di Dio. Non quando testimoniamo il dubbio, quando bensì testimoniamo la fede, la certezza della Sua presenza nonostante tutto! Filippo

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  11. sono due gli alberi riflessi nell’acqua, come a sottolineare che alla morte non si arriva mai da soli, c’è sempre chi ci accompagna e questo qualcuno è Dio che ci solleva tra le braccia e ci chiama a sè quando ritiene opportuno ed è la persona con la quale abbiamo più vissuto. Guardate che ho detto VISSUTO. Non si tratta di tempo, semplicemente di tempo. Si tratta di ciò che questa persona ha tirato fuori da noi, di quanto Dio si è servita di essa per rivelarsi ai nostri occhi. Di quanto essa è stata spia della nostra spiritualità, campanello d’allarme, perchè ci ha stimolato ad un cammino, ci ha spronato dai nostri torpori (e magari l’abbiamo tante volta delusa ed amareggiata!). Può essere una madre, un figlio,, un consorte…anche tutte queste persone insieme, tutti questi rami…ma ciò che conta è che non arriviamo a quel momento da soli! Anche in questo consiste il non dubitare della presenza di Dio. Rodolfo

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  12. finchè continuerai a vedere quei rami, i tuoi rami riflessi negli occhi altrui allora significa che in te non c’è dubbio. Finchè continuerai a vedere una scintilla divina in chi ami, a sentire chi ti sta accanto come uno strumento nelle mani del Signore per operare insieme a te la Sua armonia allora non dubiterai della Sua esistenza. Lo so che nei lunghi momenti di prova la tentazione del dubbio è forte, ma è dei più deboli…e comunque la misericordia di Dio copre anche questi vuoti…e li colma del Suo infinito amore. Rossana

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  13. non credo ci sia un’unica risposta. A volte va tutto storto e allora si dubita che ci possa essere un Padre che si accanisca così sadicamenre sui Suoi figli…e il sillogismo è presto fatto:se mi capita tutto ciò, tu, Dio, non esisti! Ma questa è cosa troppo facile per chi ha una fede fragile, costruita su convenzioni e non su convinzioni. Chi ha fede crede nella prova, nelle continue prove e non dubita. Non dubita mai dell’amore di Dio. Ogni cosa accade sempre per il nostro Amore.

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  14. la vita spirituale…ma che cos’è la vita spirituale? paradossalmente è la vita e non la morte che deve farci riflettere sulla nostra vita spirituale…è il come viviamo la quotidianità che deve portarci a fare un bilancio. La morte è il capolinea, è certo un’occasione di riflessione, ma possibile che dobbiamo pensare alla vita solo in occasione di un funerale? Guardate che siamo ben strani! C’è un bisogno estremo di parlare di spiritualità, di tirar fuori da noi ciò che spesso rimane nascosto, sopito per via dei ritmi frenetici, per paura di mostrarci vulnerabili. Pensate solo a quanto viene scritto su queste pagine, alla necessità ed al piacere che ognuno di noi ha nell’aprire un varco dentro sè, nel ricavarsi una nicchia, uno spazio piccolo nel quale confrontarsi con se stesso…eppure qui non celebriamo veglie nè rendiamo onori funebri…la morte altrui è senza dubbio occasione di riflessione, ma Dio ci lancia così tanti segni tutti i giorni per fare i conti con la nostra aridità spirituale! Ci offre mille occasioni per aprire il nostro cuore a una preghiera di ringraziamento…E’ necessario prestare maggior attenzione a questi richiami, a questi spazi in cui Egli ricerca il dialogo con ognuno di noi.

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  15. sono così tante le occasioni che Dio escogita per parlare al nostro cuore…ilo lutto è una di queste, ma ce ne sono di più vitali ed allegre che forse proprio in quanto tali passano sotto silenzio…come se stupidamente avessimo sempre bisogno di vivere emozioni forti per ricongiungerci a Dio. Paola

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  16. a me personalmente fa molta paura la morte, questo nulla eterno di cui parlano i classici mi spaventa, mi porta a pensare che non devo perdere tempo, ma non che io debba vivere di corsa, quanto che non debba sprecare occasioni per riportare, per gustare anche solo di quell’armonia di cui si parla. Alberto

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  17. l’immagine così bella e significativa fa riflettere soprattutto sul fatto che il lutto altrui porta inevitabilmente a pensare ai nostri, a quelli che abbiamo già elaborato o sono in fase di elaborazione e a quelli che invece dobbiamo ancora vivere. E ci sembra di essere forti nella misura in cui ci pare di essere preparati ad affrontarli, ma non è mai così. Per fprtuna non siamo mai preparati alla morte, soprattutto a quella di chi più amiamo. Crediamo di poterci preparare, ma di fatto al momento opportuno siamo sempre colti dalla disperazione ed in cuor mio mi auguro davvero che l’eremita possa provare una simile disperazione, ma non per sadismo, per carità, perchè possa liberarsi di tutte le infrastrutture che lo rendono forte ai suoi soli occhi mascherandone la sua autenticità. Gli auguro un momento di totale disarmo, per rendersi così conto che non si trova disarmato, ma solo tra le braccia di Dio.

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  18. ho pensato a quanto il funerale moderno sia caratterizzato dalla fretta..chi è addolorato non corre. Corre chi è spaventato. Ci sono queste auto funebri che sfrecciano nel traffico…sembra quasi che, valutando nell’uomo la sua capacità di produrre e di consumare, non si voglia perdere tempo con chi mai più lavorerà o consumerà, e dunque non serve più a nulla. So che è assurdo, ma ultimamente ho proprio percepito una tale impressione. Nicola P.

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  19. da noi si usa far visita ai parenti del morto. Queste visite adempiono ad una doppia funzione:aiutano i visitati, che vedono testimoniata una solidarietà comunitaria e aiutano i visitatori, permettendo loro di prender atto dell’inevitabilità della morte e quindi di dar periodico sfogo all’angoscia che in noi è sempre presente.

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  20. in una paese vicino casa nostra il parroco una volta, disperato per la scarsa affluenza del fedeli a Messa, affisse su tutti i muri una locandina in cui si invitava la cittadinanza a partecipare numerosa ai funerali della FEDE improvvisamente morta per capire il perchè di questa inaspettata scomparsa. In parecchi si recarono allora in Chiesa e trovarono nella bara della fede un enorme specchio in cui ognuno rispecchiandosi capì per quale motivo la fede di fatto fosse mancata all’improvviso. Ecco, questa bella foto che con tanta sensibilità avete scelto mi ha riportato alla mente quel singolare aneddoto e mi ha fatto riflettere che ogni volta che partecipiamo della morte di qualcuno, partecipiamo in realtà della nostra vita, facciamo i conti sulla strada che abbiamo percorso, contiamo i rami che siamo stati in grado di intrecciare, le foglie a cui abbiamo dato vita con la nostra linfa…facciamo il punto della situazione…per non perdere più tempo. Nella morte degli altri si rispecchia la nostra vita.

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  21. e cos’altro è il lutto se non amore per chi ci ha amati, per chi abbiamo amato? Strappandoci coloro che ci sono più vicini la morte apre in noi una ferita profonda che deve essere seguita e curata per potersi cicatrizzare a poco a poco.

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  22. penso anche che la sofferenza per la perdita di una persona cara abbia bisogno di manifestarsi anche in una dimensione esterna e sociale. Così avviene per tutto ciò che è autenticamente umano, a cominciare dall’amore, che ha bisogno di essere gridato in pubblico, di ricevere un’approvazione sociale.

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  23. è proprio questo che fa rabbia nell’eremita:questo suo vivere di nascosto, ma non al modo degli epicurei, questo essere privo di emozioni, il non saper pregare è in realtà una mancanza di emozione nel suo cuore…mi fa rabbia e pena. Marta

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  24. due cose soltanto. La prima è un inchino sulla scelta dell’immagine che davvero rappresenta una crasi tra ciò che è scritto e ciò che il lettore interiorizza! La seconda riguarda il tema del lutto:sono sicuro che alla maggior parte delle persone capiti di allontanarsi da chi è in lutto, ma questo non per mancanza di cuore o di commozione. Al contrario, è più commossa e più indotta a nascondere i suoi sentimenti per ubbidire ad un’inespressa ma pressante censura che ci obbliga a parlare come se la morte non esistesse. Furio

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  25. io non credo che si possa parlare di utilità dinanzi alla morte. Siamo tutti utili, siamo tutti presenze quando ci stringiamo attorno a chi subisce un lutto. Quello che provi quando muore una persona cara è un senso di vuoto. Questo vuoto rimarrà incolmabile, ma il vedere che hai attorno persone che condividono sinceramente il tuo dolore è un segno della presenza di Dio. Il fatto è condividere sinceramente. Quando c’è condivisione c’è relazione, c’è diaogo, c’è una parola di conforto che giunge inaspettata ed è parola che viene dal cuore, è Dio che parla attraverso noi. Sono certo che possiamo essere di grande consolazione per chi soffre a causa di un lutto solo se ci poniamo dinanzi a chi soffre con il cuore umile, se siamo capaci di piangere insieme a lui. La forza si misura in altro modo, conaltri parametri. Gesù ha dimostrato la Sua forza soffrendo come un cane nel morire crocifisso…Filippo

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  26. se un qualcosa non ti viene naturale ma pensi sia giusto allora tanto vale sforzarsi per raggiungere la meta. Non tutti siamo disposti alla filantropia e mi pare sia un buon segno sforzarsi di andare incontro agli altri quando ci si sente inadeguati alle relazioni umane

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  27. ma perchè bisogna SFORZARSI di andare incontro al prossimo? Perchè tutto questo sforzo? Non dovrebbe essere spontaneo? Non dovrebbe nascere dal cuore ed essere un atteggiamento naturale? Federico

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  28. vedete ragazzi, quei rami intrecciati siamo noi:alla fine della vita vedremo la nostra esistenza spezzata come un tronco i cui rami sono intrecciati:sono le relazioni che abbiamo intessuto in vita, sono quanto di buono abbiamo sentito nel cuore e soprattutto siamo riusciti ad esprimere…perchè è fondamentale imparare ad esprimere ciò che abbiamo dentro, lasciarsi andare al pianto come all’amore totalizzante

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  29. non lo so Carlotta,..vedi, questa pagina è tanto tanto poetica proprio perchè si parla della vita associata alla morte, proprio perchè siamo noi a essere riflessi vivi del Cristo che è morto per noi per donarci la vita…io credo che priama o poi anche l’eremita si risolleverà…non aver paura. Ognuno di noi passa momenti di “alienazione”…

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  30. l’armonia per essere tale necessita dell’apporto di tutti, ognuno è un pezzetto di legno…ognuno di noi è uno di quei rami, vedete, ci specchiamo nella vita e solo quando ci specchiamo nella morte ci rendiamo conto di ciò che potenzialmente abbiamo tra le mani…ma se non ci si muove allora la lezione non è stata compresa e a nulla è servito vivere, perchè è stato vegetare, non vivere.

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  31. poesia è una prosa asciutta che scava dentro, un’immagine che riassume il senso complesso di una pagina: quei rami riflessi siamo noi, le nostre miserie, le nostre relazioni mancate, le nostre omissioni, noi riflessi in quel corpo privo di vita…ecco cosa saremo. L’eremita vive come un morto. Oppure non vive nemmeno…a tratti è paralizzato, come privo di vita e soffio vitale. Deve muoversi:l’armonia ha bisogno anche del suo apporto!

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  32. credo che la vera forza risieda nel sapersi abbandonare alla vita, al suo soffio vitale. L’eremita dice di non saper pregare, di non riuscire a parlare con Dio e con gli uomini…in realtà egli non sa apprezzare le piccole cose, i doni invisibili e preziosi che la vita ci dispensa…forse si aspetta sempre qualcosa di plateale, di scenografico, di straordinario…ma è l’ordinario a fare di noi degli uomini veri…Riccardo

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