Oggi ho avuto molto da pensare ed ho provato una sensazione di forte disagio.
Ve ne parlo perché mi sembra costruttivo.
Mi sono recato alla commissione medica per il rinnovo della patente e per errore mi è stata prescritta una visita psichiatrica.
Poco male… direte voi… era un errore… non pensarci più.
E invece ci penso: non perché ci sia qualcosa di male in una visita psichiatrica… anzi… può darsi che io ne abbia realmente bisogno… visto le cose che scrivo ultimamente.
Ma il problema è un altro, il problema è che spesso non abbiamo sufficiente attenzione per il prossimo.
Mi perdonino gli psichiatri che mi leggono, per le inesattezze in cui posso incorrere e mi correggano se necessario.
Io ho contatti frequenti con disabili mentali per la mia attività di tutore e mi è capitato di parlare della malattia con disinvoltura, senza curarmi delle eventuali conseguenze.
Oggi ho capito quanto grave sia stato il mio errore, che ci sono sempre delle conseguenze, se anche un presunto sano di mente si può sentire atrocemente ferito nell’essere trattato come un malato.
E i disabili di media sono molto più sensibili dei non disabili.
E mi sono pure ricordato di quanto sia facile fare confusione tra una malattia ed un’altra e quanto questo determini spesso conseguenze irrimediabili, anche per gli affetti.
Troppo spesso la malattia condiziona la vita del malato sotto tutti gli aspetti…
Non è civile una società che debba costringere i datori di lavoro ad assumere disabili.
O forse non sono civili quei datori di lavoro che assumono disabili solo perché lo impone la legge…
Sono considerazioni pesanti, me ne rendo conto, ma non voglio sottrarmi dallo scrivere ciò che penso.
Assumere un malato non significa soltanto farsi carico della sua malattia, ma donare un’occasione di guarigione o comunque di superamento della malattia ed i frutti di ciò possono essere imprevisti.
Vi propongo al fine un piccolo atto unico: mi piacerebbe che fosse motivo di riflessione.
…il padre e la madre la seguivano preoccupati, si erano vestiti come per una cerimonia: eppure non si trattava di una ricorrenza ma di un semplice consulto medico.
Entrarono in una sala d’aspetto ordinaria e asettica; le solite stampe anonime sulla tappezzeria di cattivo gusto, i giornali di qualche mese prima sul tavolino, forse per una sorta di rispetto nei confronti dei pazienti veramente gravi.
<<Cerretti!>>
<<Siamo noi…>>
<<Non vi aspettavo così numerosi… dovrò portare altre sedie nello studio…>>
<<Se preferisce noi restiamo fuori… tanto è nostra figlia che si deve convincere: la nostra opinione l’abbiamo già espressa!>>
<<Sto scherzando naturalmente… faccio strada… potete accomodarvi… dicevate?>>
<<Noi abbiamo paura… come dire… che nostra figlia lo frequenti… niente di personale… d’altronde non lo conosciamo ma…>>
<<Posso darle del “tu”?>>
<<Faccia pure… ci mancherebbe!>>
<<Tu lo ami?>>
<<Beh… non saprei è così poco che stiamo insieme… amare è un termine un po’ grosso… ma scusi è vero che… che ha avuto l’esaurimento nervoso?>>
<<Chi ti ha riferito questa sciocchezza?>>
<<Mi sono informata nel posto dove lavora. Mi hanno detto che è un ragazzo intelligente, ma che due o tre anni fa ha avuto questo esaurimento.>>
<<La gente dovrebbe farsi gli affari propri…>>
<<È comunque una persona con dei problemi… un malato di nervi, no? così hanno detto a nostra figlia e quindi noi preferiremmo…>>
<<Ma perché avete chiesto di incontrarmi dal momento che sapete già tutto?>>
<<Perché è Anna che si deve convincere… possono sempre rimanere amici, no… poi, se è un bravo ragazzo come nostra figlia dice, non siamo contrari che in futuro si frequentino…>>
<<Ma tu lo ami?>>
<<No… non lo so… insomma… vorrei che mi tranquillizzasse… per i figli…>>
<<Ma se non sai nemmeno se lo ami… che cosa ti interessa? voglio dire… mi sembra un po’ prematuro…>>
<<Vorrei solo sapere se quella medicina che prende può essere dannosa…>>
<<No, non lo è. Lo sarebbe se dovesse partorire, perché il sangue alimenta anche il feto, ma non mi risulta che gli uomini partoriscano… almeno per ora… in ogni caso Enrico non ha avuto un esaurimento nervoso… è in cura perché quattro anni fa è svenuto ed ha avuto una crisi comiziale… crisi che peraltro non si è più ripetuta… quindi si può ragionevolmente pensare che per il futuro ci siano ampie garanzie…>>
<<Il guaio è che anche noi abbiamo un parente…>>
<<Se dovessimo risalire alle tare familiari… nel mondo nessuno si sposerebbe più… chi è che non ha qualche problema in famiglia?!>>
<<Sì, ma in questo caso il rischio ci sembra veramente grande!>>
<<A vostro criterio… quello che vi dovevo dire, l’ho detto… il mio paziente è stato molto corretto nei vostri confronti… forse anche al di là di quanto avrebbe dovuto… e in ogni caso, se fossi in te, ripenserei piuttosto ai tuoi sentimenti… di solito quando faccio colloqui di questo genere c’è sempre… come dire… un contrasto tra i miei interlocutori… in questo caso mi sembra invece che siate tutti d’accordo…>>
<<La ringraziamo molto per il tempo che ci ha dedicato… arrivederci.>>
Alcune strette di mano a suggellare non si sa che cosa e poi l’aria umida della strada, fuori dallo studio e dal problema; era deciso: Anna doveva smetterla con quel rapporto, in un modo o nell’altro.
Io avevo appena finito di lavorare e mi ero precipitato al telefono; sapevo di quell’incontro e non mi facevo soverchie illusioni.
<<Pronto… professore… mi scusi se la disturbo… è venuta la mia ragazza?>>
<<Non solo la ragazza… ma anche i suoi genitori… a proposito… davvero una bella ragazza… lei è pieno di risorse…>>
<<La ringrazio.>>
<<Comunque io li lascerei bollire nel loro brodo…>>
<<Anche lei pensa che…>>
<<Bah… di solito quando vengono a parlarmi c’è sempre un contrasto di interessi… ma in questo caso… per intenderci, non credo che la ragazza provi dei grandi sentimenti…>>
<<Ho capito… e come mi devo comportare?>>
<<Gliel’ho detto… li lasci bollire nel loro brodo… quel che sarà, sarà… non faccia più pressioni… che siano loro a fare la prima mossa…>>
<<Va bene… la ringrazio molto… arrivederci.>>
La sera era fredda ma tersa come ogni sera di novembre che si rispetti e il rosso del semaforo sembrava ancor più nitido del solito; con Anna al fianco, ero tutto sommato contento… il cinema con gli amici e poi chissà…
<<Oggi sono stata dal professore…>>
<<Ah! e cosa ti ha detto?>>
<<Ora sono sicura… ti voglio bene senza riserve…>>
<<Ma… sono venuti anche i tuoi?>>
<<Mi ha accompagnato mia madre… non voleva entrare ma poi ho insistito…>>
<<Come l’ha presa? voglio dire… si è convinta?>>
<<Non ha detto niente… e poi… in ogni caso… sono io che devo decidere…>>
A metà del film Anna si mise a rantolare nel buio, con la faccia riversa all’indietro; un medico mi aiutò a portarla nell’atrio; la distesi per terra e le sollevai le gambe.
<<Ti sei ripresa>>
<<Sì, quando fa così caldo mi succede… svengo.>>
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